“Festa sotto la neve” di Jessica Redland

Disponibile in tutte le librerie e sugli store on-line dal 28 Ottobre 2021

La neve ha cominciato a cadere, le luci scintillano per le strade e la corsa ai regali è iniziata: lo spirito natalizio sta conquistando proprio tutti… tranne Tara. La proprietaria della più esclusiva caffetteria nel cuore di Whitsborough Bay, infatti, sembra essere immune alla magia del Natale. Sono anni che Tara ha eretto un muro intorno a sé, nascondendosi dietro l’immagine di donna d’affari di successo, fredda e priva di scrupoli. Ma la realtà è un’altra. Ci sono segreti nel suo passato che ancora fanno male. E che l’hanno convinta ad allontanarsi da tutto, per paura di soffrire ancora. Amici, famiglia e persino la speranza di un nuovo amore vengono tenuti a distanza: ha imparato a sue spese quanto può far male un cuore infranto. Ma quando un nuovo vicino si trasferisce accanto a lei, minacciando il futuro della sua caffetteria, Tara si rende conto che è arrivato il momento di affrontare il passato una volta per tutte. Chissà che non ci riesca in tempo per vivere il Natale più magico della sua vita…

Il libro perfetto per rifugiarsi sotto le coperte e aspettare Natale!

«Commovente, riesce a toccare il cuore e a far sorridere.»

«Questo libro ha un potere straordinario: ti catapulta ai tavolini della caffetteria, ti fa assaporare il profumo del cioccolato e, per qualche ora, riesce a farti dimenticare il presente.»

«Non riesco a smettere di pensare a quanto Tara sia una protagonista meravigliosa: mi sono affezionata alla sua sensibilità, alla sua forza d’animo, al suo coraggio.»

A Liz
Amica di penna, lettrice beta, favolosa compagna.

Vedere una persona – vederla davvero –
vuol dire notare tutta la sua magia.
Amare una persona – amarla davvero –
vuol dire ricordarle la sua magia
quando non ricorda più di averla.

1

Uno sferragliare metallico mi destò dal sonno. Rotolando sulla schiena, restai sdraiata per un minuto o due, passando gradualmente dal mondo dei sogni al mondo reale.

Il rumore ricominciò e io sorrisi. «Ti sento, Hercules. Arrivo».

Il mio coniglio gigante delle Fiandre di due anni era più efficace di qualsiasi sveglia avessi mai posseduto. Ogni mattina alle sei, infallibilmente, spingeva contro la porta dell’enorme gabbia per cani dove dormiva la notte e continuava a farla sferragliare finché non mi alzavo e lo facevo uscire.

Mentre mi toglievo il piumone di dosso, mi fermai per un momento e mi sentii sprofondare ricordando che giorno era: la Vigilia di Natale. Ottimo. Sospirando, mi infilai le pantofole e una maglia di lana, poi mi feci strada verso la gabbia.

Hercules mosse il codino non appena mi vide, proprio come un cane che scodinzola. Giuro che si identificava più con un cane che con un coniglio. Nell’attimo in cui aprii la porta, balzò fuori dalla sua gabbia per farsi coccolare, poi mi seguì in bagno, ansioso di ricevere altre attenzioni. Non mi sarei sorpresa se una mattina si fosse messo a pancia in su per farsela grattare.

Dopo avergli dato del cibo e dell’acqua fresca, feci una doccia e il getto potente mi aiutò ad allentare la tensione nelle spalle. Era quasi finita. Mancava solo quel giorno, poi il seguente, e anche per quell’anno il Natale sarebbe passato. Ovviamente per il momento non ero del tutto fuori pericolo. C’era ancora la Vigilia di Capodanno da affrontare – il giorno peggiore di tutti – ma un passo alla volta. Un passo molto difficile alla volta.

Un tempo la Vigilia di Natale era il mio giorno preferito. Da bambina, persino lo preferivo al Natale. Mio padre faceva tutto il possibile per rendere quella giornata entusiasmante e magica. La mattina, casa nostra si riempiva di un inebriante aroma di pan di zenzero perché preparavamo insieme l’impasto e poi creavamo le forme di cui avevamo bisogno per il nostro progetto. Quando il pan di zenzero era pronto, costruivamo e ricoprivamo di glassa una casetta e mamma mi aiutava a decorarla con dei dolcetti. A volte le energie le bastavano solo per stare qualche minuto in piedi al tavolo, ma persino la più piccola quantità di tempo significava tutto per me.

Io e papà passavamo il resto della giornata a preparare gli addobbi con la musica natalizia in sottofondo. Quando arrivava il crepuscolo, ci coprivamo bene e vagavamo per le strade del paese alla ricerca delle case con le migliori decorazioni. Portavo con me un taccuino e un pennarello e, in base a quanto erano belle, assegnavamo da uno a dieci punti. Al vincitore spettavano un biglietto di congratulazioni fatto a mano e una barretta di cioccolato lasciati nella cassetta della posta “dagli elfi di Babbo Natale per la casa più bella del mondo”.

Quando si avvicinava l’ora della nanna, io e papà uscivamo fuori e ficcavamo un cartello di legno con scritto “Fermata di Babbo Natale” in mezzo al giardinetto – o nell’aiuola se c’era 

stata qualche pesante gelata – mentre mamma preparava la cioccolata calda con i marshmallow.

Ognuno di noi apriva un pacco regalo che conteneva un libro, un pigiama nuovo, un paio di pantofole e, nel mio, c’era sempre un orsetto di peluche. Indossati i nostri doni, guardavamo un film di Natale – solo noi tre più il mio nuovo orsetto – rannicchiati uno accanto all’altro sul divano. La perfezione.

«Allora, mia piccola Pollyanna», diceva mio padre mentre preparavamo da bere e da mangiare per Babbo Natale e le sue renne dopo il film, «pensi che Babbo Natale si ricorderà di passare quest’anno?»

Ridacchiavo sempre quando mi chiamava Pollyanna, dal nome della protagonista dell’omonimo libro. «Non mi chiamo Pollyanna. Mi chiamo Tamara».

«Ma sei proprio come Pollyanna. Un raggio di sole e positività nelle nostre vite».

Poi mi abbracciava forte forte e mi diceva quanto lui e la mamma mi volessero bene e quanto fossero fortunati ad avermi, specialmente quando “il velo nero” avvolgeva mia madre e lei non riusciva a vedere il sole oltre l’oscurità.

«Promettimi che sarai sempre come Pollyanna», mi diceva.

«Te lo prometto»

E non era difficile farlo, nonostante le condizioni di mia mamma. Eterna ottimista, proprio come Pollyanna, riuscivo a trovare del buono in ogni persona e situazione, indipendentemente da quanto fosse disperata. Credevo nella Fatina dei denti e in Babbo Natale. Credevo che la famiglia e gli amici fossero persone da amare incondizionatamente, che non ti avrebbero mai fatto del male. Credevo che tutte le persone fossero buone e dicessero la verità.

Man mano che gli anni erano passati e la mia vita era cambiata fino a diventare irriconoscibile, io avevo sempre tentato di essere come Pollyanna. Cercavo disperatamente di mantenere la promessa fatta a papà. Credevo che “il velo nero” avrebbe abbandonato la mamma com’era successo nel Giorno Migliore di Sempre. Credevo che un giorno non sarei più stata data in affidamento e mi sarei riunita a mia madre. E credevo che tutte le famiglie a cui venivo affidata tenessero sinceramente a me e avessero a cuore i miei interessi, specialmente la mia sorella adottiva, Leanne.

Ma alla fine ho scoperto che non tutte le persone sono buone, che non dicono la verità e che se ne infischiano di chi feriscono o di come fanno stare male gli altri.

2

Osservai l’esposizione di polo dai colori sgargianti – la mia divisa da lavoro – appese nel mio armadio come un arcobaleno.

«Immagino di dover dimostrare buona volontà e optare per un bel rosso festoso oggi, vero?», dissi a Hercules. «Arriccia il naso una volta per dire no, due per dire sì».

Chinandomi, gli massaggiai le soffici orecchie, poi mi infilai i jeans e la polo rossa prima di farmi strada giù per due rampe di scale fino alla porta interna del Chocolate Pot, la caffetteria che avevo aperto un’estate di tredici anni prima, quando avevo ventidue anni.

Accesi le luci, mi fermai e sorrisi mentre mi guardavo intorno. La mia caffetteria. La mia casa. Ogni volta che ne varcavo la soglia, non potevo fare a meno di provare un moto d’orgoglio per ciò che avevo realizzato.

Un eclettico mix di tavoli di legno spaiati di dimensioni diverse era fiancheggiato da sedie di legno, panche imbottite o poltrone di pelle dallo schienale alto. La combinazione di legno, luci e tonalità creava un ambiente caldo e accogliente. Le pareti color crema erano un mare di colore grazie a una vasta collezione di cartelli di metallo vintage. Alcuni pubblicizzavano torte, caffè e frullati, altri rappresentavano la costa: barche, case sul mare e, il mio preferito, un faro a strisce bianche e rosse che ricordavano quello nel porto di Whitsborough Bay. Proprio come quelli che dipingeva mia mamma.

Mentre superavo ogni pilastro sul mio cammino verso il bancone e la cucina, accendevo i fili di luci che avevo avvolto intorno a essi. L’orario di apertura era ancora lontano, ma non c’era nulla di male nell’addobbare il locale di prima mattina. Sebbene temessi la Vigilia e il giorno di Natale, continuavo ad amare le lucine e le decorazioni e gioivo del fermento e dell’eccitazione che li circondavano. E poi, ovviamente, era un periodo dell’anno estremamente redditizio con tutti quei frenetici clienti bisognosi di nutrimento. Anche le mance erano generose e il mio staff lavorava duramente, meritandosele tutte.

Accesi le lucine multicolore appese tutt’intorno all’esile albero nell’angolo tra il bancone e la vetrina e mi fermai a girare un paio di decorazioni che erano rivolte verso il lato sbagliato. Quell’anno avevo scelto un tema nautico con barche a vela fatte di legno, vele di stoffa, conchiglie e stelle marine glitterate, palline di vetro trasparente riempite di sabbia e conchiglie, casette sulla spiaggia di tessuto e feltro dai colori accesi. Ogni anno ricevevamo complimenti a profusione per le originali decorazioni del Chocolate Pot. Ringraziavo distrattamente i clienti e dicevo loro che era tutto realizzato nel North Yorkshire e disponibile da “La Fabbricatrice di Ciottoli” su Etsy. Era la verità. In fondo, era tutto davvero disponibile su Etsy se qualcuno avesse voluto comprarlo – semplicemente evitavo di menzionare il fatto che La Fabbricatrice di Ciottoli ero io. Non era necessario che nessuno – staff o clienti – sapesse che l’artigianato era una mia passione. Non era necessario che nessuno sapesse niente di me all’infuori del mio lavoro. Lasciavo che vedessero ciò che io volevo che vedessero: un’imprenditrice di successo, un’eccellente chef e un capo giusto che non si perdeva in chiacchiere. Quando ci si apre con le persone – completamente – si corre il rischio di restare delusi, per cui è più facile tenerle a distanza. In questo modo non potranno spezzarci il cuore. Lo avevo imparato a mie spese.

Dietro il bancone, attivai la macchina del caffè, poi mi diressi in cucina per cominciare a preparare i dolci. Da bambina papà aveva acceso in me una scintilla di passione verso la preparazione dei dolci che non si era mai spenta, indipendentemente da ciò che mi aveva riservato la vita. Anche se la sua specialità natalizia erano le casette di pan di zenzero, le sue abilità culinarie non si riducevano a quello. I suoi nonni avevano posseduto una pasticceria e lui adorava passare i fine settimana da loro per dare una mano. Cercavo di non pensare a quanto sarebbero state diverse le cose se non fossero andati in pensione vendendo la pasticceria quando lui andava ancora a scuola, destinandolo a una carriera completamente diversa; una carriera che lo aveva portato via da me.

Io e papà preparavamo dolci insieme quasi tutti i fine settimana e lui la faceva sembrare sempre un’avventura, parlando a voce bassa di “ricette segrete” e “ingredienti magici”. Mi gustavo quei novanta minuti circa di pace e solitudine ogni mattina, quando avevo la cucina tutta per me, e spesso immaginavo papà al mio fianco, con il dito premuto sulle labbra mentre lanciava occhiate furtive verso la porta, prima di aggiungere qualcosa di “speciale” all’impasto.

Con un nome come “Chocolate Pot”, probabilmente non c’è da stupirsi se ogni nostra specialità conteneva del cioccolato. Oltre a una vasta scelta di tè e caffè, servivamo vari tipi di cioccolate calde, modificando i gusti a seconda della stagione e della moda. C’erano sempre una torta al cioccolato come specialità del giorno, un brownie al cioccolato, un brownie classico e tanti altri dolci, tutti fatti in loco e appena sfornati. Vegani? Celiaci? Potevamo soddisfare chiunque.

Dal lunedì al sabato, la caffetteria apriva alle otto e mezzo per cogliere il flusso degli ordini d’asporto. Di domenica, come quel giorno, aprivamo alle dieci. Normalmente non lavoravo di domenica se non per fare i dolci, ma, essendo la Vigilia uno dei giorni più affollati dell’anno, non sarei mai rimasta di sopra mentre il mio staff lavorava senza sosta.

foto presa dal web

Jessica Redland, vive a Scarborough, nella splendida costa del North Yorkshire. I paesaggi intorno a casa sua sono una preziosa fonte di ispirazione per le ambientazioni suggestive dei suoi romanzi. Dopo una lunga carriera nel settore delle risorse umane, dal 2020 ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura. Vive con il marito, la figlia e un’adorabile cagnolina di nome Ella. Per saperne di piùwww.jessicaredland.com

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Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.

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