Recensione del romanzo “Vardø. Dopo la tempesta” di Kiran Millwood Hargrave edito da Neri Pozza

“Vardø. Dopo la tempesta”
Kiran Millwood Hargrave
titolo originale: The mercies
traduzione di: Laura Prandino
Casa editrice: Neri Pozza
genere: romanzo storico
pagine: 345
prezzo: 18,00 euro

1617, Norvegia nordorientale. In una funesta vigilia di Natale, il mare a Vardø si è improvvisamente sollevato e una folgore livida ha sferzato il cielo. Quando la tempesta si è acquietata in uno schiocco di dita, così com’era arrivata, le donne si sono raccolte a riva per scrutare l’orizzonte. Degli uomini usciti in barca non vi era, però, nessun segno.
Quaranta pescatori, dispersi nelle gelide acque del Mare di Barents. Alla ventenne Maren Magnusdatter, che ha perso il padre e il fratello nella burrasca, e a tutte le donne di Vardønon resta dunque che un solo compito: mettere a tacere il dolore e cercare di sopravvivere. Quando l’inverno allenta la presa e le provviste di cibo sono quasi esaurite nelle dispense, le donne non si perdono d’animo: rimettono le barche in mare, riprendono la pesca, tagliano la legna, coltivano i campi, conciano le pelli. Spinte dalla necessità, scoprono che la loro unità può generare ciò che serve per continuare a vivere.
L’equilibrio faticosamente conquistato è destinato, però, a dissolversi il giorno in cui a Vardø mette piede il sovrintendente Absalom Cornet, un fosco e ambiguo personaggio distintosi, in passato, per aver mandato al rogo diverse donne accusate di stregoneria. Absalom è accompagnato dalla giovane moglie norvegese, Ursa, inesperta della vita e terrorizzata dai modi sbrigativi e autoritari del marito. A Vardø, però, Ursa scorge qualcosa che non ha mai visto prima: donne indipendenti. Absalom, al contrario, vede solo una terra sventurata, abitata dal Maligno. Un luogo ai margini della civiltà, dove la popolazione barbara dei lapponi si mescola liberamente con i bianchi e dove una comunità di sole donne pretende di vivere secondo regole proprie.
Romanzo che trae ispirazione dai processi alle streghe di Vardø del 1620Vardø. Dopo la tempesta «getta luce su uno spaventoso spaccato di storia, raccontando la brutale sottomissione delle donne, la superstizione che aleggia nei luoghi isolati e le atrocità compiute in nome della religione.

“Le donne di Vardo si raccolgono sul bordo scavato della loro isola, e anche se qualcuna grida ancora le orecchie di Maren rimbombano di silenzio. (…)
Mentre guarda, un ultimo lampo illumina il mare odiosamente immobile, e sulla superficie nera emergono i remi e i timoni e un albero intatto con le vele ammainaite, relitti sdradicati di un bosco sottomarino. Dei loro uomini nessun segno. E’ la vigilia di Natale.”

Da qualche tempo si è riaccesa in me la passione per la storia medioevale e nel contempo per la cruda tematica riguardante l’inquisizione alle streghe,
 non fosse altro che per amore di verità e per una forma di empatia per le migliaia di donne e uomini (pare milioni) che nel corso dei secoli sono state uccise barbaramente in nome di Dio.

Per questo motivo qualche settimana fa, vagavo in libreria alla ricerca di un saggio storico, tuttavia dopo lungo cercare, optai per un romanzo che mia moglie mi aveva fortemente consigliato nei giorni precedenti, ossia “Vardø dopo la tempesta”. Non posso che ringraziarla, dato che è uno dei migliori libri che ho letto negli ultimi mesi.

È un vero e proprio romanzo storico, poiché, la giovane autrice Kiran Millwood Hargrave, propone con abile penna, una storia di caccia alle streghe che trae ispirazioni dai processi avvenuti nel 1600 nei confronti di presunte streghe che vivevano a Vardø, un comune norvegese sito nella Contea di Troms of Finnmark che vanta il primato di città piu’ orientale della Norvegia.

Vardø è’ incastonato in una piccola isola che è collegata alla terraferma attraverso un tunnel di quasi tre km. E’ un posto molto suggestivo, almeno ai nostri giorni, ma decisamente difficile in cui vivere soprattutto per un gruppo di donne rimaste vedove nel 1619, durante la vigilia di Natale a causa di un atipico mare in tempesta che manda rapidamente a picco  la barca da pesca su cui lavoravano faticosamente  i proprio mariti.
Quaranta uomini dispersi in mare e altrettanto donne disperate per il lutto e per l’incertezza del loro futuro, in una terra desolata e gelida.

Ma quelle donne norvegesi d’altri tempi, ben presto, si animano di un coraggio impensabile, iniziano a coltivare, a pescare, a raccogliere legna a lavorare le pelli. Tutti lavori pesanti che solitamente svolgevano i fratelli o i mariti.

 Nel corso delle settimane, la piccola comunità pare animarsi e strappare dai profili delle case, dai volti e dal cuore, tracce della tragedia avvenuta. Le donne sono sempre piu’ unite anche se, come in tutte le comunità, covano sotto la cenere gelosie e cattiverie.

Con l’arrivo del sovraintendente Absalom Cornet tutto muta. È un uomo che vuole fare rapidamente carriera anche a discapito della vita altrui per riscattarsi dalla sua mesta famiglia e dalla sua triste infanzia. È accompagnato dalla moglie Ursa, la figlia di un armatore norvegese di navi mercantili e da pesca che ha concesso la mano alla figlia ancor piu’ presto del calar del sole.
Ursa, infatti, nel corso del romanzo, scoprirà i reconditi segreti celati dal marito ma anche una qualità che riteneva utopica: l’indipendenza femminile.

“Si pianta saldamente a gambe larghe, le mani intrecciate dietro la schiena, e lei si chiede se sia stato un marinaio o un soldato. Di nuovo avverte la strana energia che emana da lui, come aveva già sentito al porto, fredda e magnetica, quasi minacciosa in un uomo della sua posizione e corporatura.”

Apprende ben presto che alcune donne di Vardø , forse di primo acchito dai modi duri, sono un esempio di forza, di indipendenza, e di valori semplici,  forse pagani ma familiari e affascinanti. Un modus vivendi che il marito, però, ritiene sia opera del maligno.

Così mentre Abalon trama un modo di fare carriera,  cappeggiato da bigotte perpetue cattoliche, Ursa intreccia una strana amicizia, densa di passione con una donna dell’isola che la porterà a mettere in gioco se stessa, la sua concezione di amore ma anche a far nascere in lei un vigore, una forza che mai avrebbe pensato di avere.

Il finale, infatti, è crudo e reale, giusto ma intenso.

Ho apprezzato particolarmente lo stile di scrittura di questa autrice, è in grado di farvi percepire il freddo nelle vene anche se leggerete il suo romanzo sotto le coperte e davanti al camino scoppiettante. “Vardo dopo la tempesta” profuma di ghiaccio, di fango appiccicoso, cera di candela e salmastro”.

I sentimenti dei protagonisti sono ben delineati così come il loro profilo psicologico mai banale. La narrazione è avvincente e non vi darà fiato. Sono convinto, infatti, che consumerete questo romanzo, pagina dopo pagina, senza voglia di fermarvi.

È l’ennesimo libro che mostra all’uomo moderno come l’ignoranza celata dietro il fondamentalismo religioso sia stato elemento di torture e ignobili uccisioni nel nome di un Dio che se mai esistesse piangerebbe per aver concepito dei figli così irrispettosi della vita e delle diversità.
Vardø dopo la tempesta è un romanzo storico, nel contempo malinconico, romantico, a tratti truce ma molto reale….e lo consiglio, vivamente.

“L’ aria è fredda sul suo collo. Il denaro le pesa in tasca. Guarda davanti a sè, dove si intravede la montagna. Mentre fa un passo avanti i suoi pensieri vanno a Ursa… e questo le basta.”

Appassionato di lettura sin da bambino, lavora nel settore divulgativo astronomico, naturalistico e fotografico, attraverso il suo magazine on-line https://www.binomania.it e collaborando con varie riviste di settore.