TRAMA
Una ragazza è stata uccisa nel parco giochi di un quartiere residenziale di Stoccolma, in piena notte. Sulla scena del crimine restano i chiari segni di un’esecuzione in piena regola.
Ma chi può aver voluto infliggerle una morte così spettacolare e crudele?
Se lo chiede il commissario Joona Linna mentre scopre che la vittima era sparita nel nulla un pomeriggio di cinque anni prima, e da allora non si era più saputo nulla di lei.
Joona deve ricucire i pezzi di questa storia dai contorni sempre più inquietanti, trovare il colpevole e consegnarlo alla giustizia il prima possibile. Ma come fare? Da dove partire se nessuno sa, nessuno ha visto?
Eppure qualcuno deve avere visto, qualcuno che forse non vuole parlare o non riesce a parlare. Qualcuno che per qualche oscuro motivo dev’essere aiutato a ricordare, perché il segreto è imprigionato nel buio della sua mente. Ed è per questo che Joona, bloccato in un labirinto di specchi, decide di infrangere ancora una volta le regole della polizia. Perché sa di non avere altra scelta, deve ricorrere all’aiuto di un professionista che in passato gli ha fornito la chiave per arrivare alla verità: il dottor Erik Maria Bark, meglio conosciuto come l’Ipnotista…
Teso, veloce, beffardo. L’uomo dello specchio è il nuovo attesissimo romanzo della coppia più amata del thriller scandinavo.
ESTRATTO
1
Dalle finestre sporche dell’aula Eleonor osserva la furia del vento che solleva la polvere lungo la strada e costringe alberi e cespugli a inchinarsi.
È come se davanti alla scuola scorresse un fiume.
Torbido e silenzioso.
La campanella suona, i ragazzi raccolgono libri e quaderni. Eleonor si alza e segue gli altri in corridoio.
Osserva la sua compagna di classe Jenny Lind: si sta abbottonando il giubbotto davanti all’armadietto in corridoio.
Il viso e i capelli biondi si riflettono sullo sportello di lamiera ammaccata.
Jenny è bella e diversa. Ha occhi intensi che ogni volta scuotono Eleonor e le fanno arrossare le guance.
Jenny ha un’inclinazione artistica: fa fotografie ed è l’unica della scuola a cui piace leggere. Ha compiuto sedici anni la settimana prima ed Eleonor le ha fatto gli auguri.
Di Eleonor non si interessa nessuno: non è abbastanza carina, lo sa benissimo, anche se Jenny una volta le ha detto che avrebbe voluto scattarle dei primi piani.
Era successo dopo l’ora di ginnastica, mentre facevano la doccia.
Ora Eleonor prende il suo giubbotto dall’armadietto e segue Jenny verso l’uscita.
Il vento solleva la sabbia e le foglie dell’anno passato e le trascina lungo la facciata beige dell’istituto e lungo il cortile.
La corda della bandiera frusta insistente l’asta.
Jenny raggiunge il parcheggio delle bici, si ferma e urla qualcosa con un gesto d’irritazione prima di mettersi in marcia a piedi. Eleonor le ha bucato le gomme: pensava che così avrebbe potuto aiutarla a portare lo zaino e a spingere la bici lungo la strada di casa.
Avrebbero ricominciato a parlare dei primi piani, di come le foto in bianco e nero siano simili a sculture di luce.
Interrompe il sogno a occhi aperti prima che arrivi al primo bacio.
Eleonor segue Jenny, superando lo stadio Backavallen.
Il dehors del ristorante è vuoto, gli ombrelloni bianchi sono agitati dal vento.
Eleonor pensa che dovrebbe raggiungere Jenny, ma non ne ha il coraggio.
Jenny cammina a passi rapidi, alla rotonda con al centro la nuova scultura gira a destra.
Eleonor continua a seguirla lungo il percorso pedonale accanto a Eriksbergsvägen, tenendosi a duecento metri di distanza.
Le nuvole corrono sopra le cime degli abeti.
I capelli chiari di Jenny si sollevano al vento. Quando un bus verde sfreccia lungo la strada, la terra trema e lo spostamento d’aria le fa ricadere i capelli sul viso.
Jenny si lascia alle spalle gli ultimi edifici e il centro scout. Attraversa la strada e prosegue sul lato opposto.
Il sole penetra le nuvole, le cui ombre si inseguono lungo un prato.
Jenny abita in una bella villa a Forssjö, proprio sulla spiaggia.
Una volta Eleonor è rimasta fuori da casa sua per più di un’ora. Aveva ritrovato un libro che Jenny aveva perso (in realtà era stata lei a nasconderlo), ma non aveva osato suonare il campanello, e quindi l’aveva infilato nella cassetta della posta.
Jenny si ferma sotto i cavi dell’alta tensione e accende una sigaretta prima di proseguire. I bottoni bianchi sul polsino della camicia scintillano alla luce.
Eleonor sente il rombo di un veicolo alle proprie spalle.
Il terreno vibra quando un tir con la targa polacca le passa accanto a velocità sostenuta.
Un istante dopo i freni fischiano e il rimorchio sbanda di lato. L’autista sterza verso la corsia d’emergenza, il veicolo slitta oltre la striscia d’erba e, apparentemente fuori controllo, invade il percorso pedonale proprio alle spalle di Jenny.
«Che cazzo!» la si sente in lontananza.
L’acqua scorre lungo il telone blu che copre il rimorchio, lasciando tracce lucide sulla superficie sporca.
La portiera si spalanca e l’autista scende dalla cabina. La schiena massiccia è avvolta in un cappotto di pelle nero, con una strana macchia grigia sul retro.
I capelli ricci quasi gli sfiorano le spalle.
Avanza a grandi passi verso Jenny.
Il motore è ancora acceso, dai tubi di scappamento cromati salgono sottili fili di fumo.
Eleonor resta impietrita quando vede l’autista colpire Jenny al viso.
Alcuni dei tiranti del telone sono sfuggiti ai ganci e il vento solleva un lembo della copertura del rimorchio, nascondendo Jenny allo sguardo di Eleonor.
«Ehi!» grida Eleonor, riprendendo a camminare. «Cosa stai facendo?»
Il cuore le martella nel petto.
Quando lo spesso telone si riabbassa, Eleonor vede che Jenny è caduta a terra, a qualche metro dalla cabina del tir.
È stesa sulla schiena, solleva la testa e ha la bocca coperta di sangue.
Il vento afferra di nuovo il telone facendolo sventolare.
Eleonor scende nel fossato fangoso lungo la strada con le gambe che tremano. Pensa che dovrebbe chiamare la polizia e quindi prende il telefono, ma anche le sue mani tremano e così perde la presa.
Il cellulare cade a terra, inghiottito dalle erbacce.
Eleonor si china, lo raccoglie, alza lo sguardo e, nello spazio sotto il tir, vede i piedi di Jenny che scalciano mentre l’autista la solleva.
Eleonor torna in strada e inizia a correre verso il tir, un’auto passa suonando il clacson.
Gli occhiali a specchio dell’autista scintillano al sole mentre si asciuga le mani insanguinate sui jeans, poi risale in cabina e chiude la portiera. Ingrana la marcia e parte, una delle ruote anteriori della motrice solca ancora il percorso pedonale. Quando il tir rientra in carreggiata rombando per poi prendere velocità, dalla striscia di erba secca si alza una nuvola di fumo.
Eleonor si ferma col cuore in gola.
Jenny Lind è scomparsa.
A terra sono rimasti un mozzicone calpestato e lo zaino coi libri di scuola.
La polvere vortica sulla strada deserta. Nuvole di terra corrono sui campi e sui giardini. Il vento soffierà sulla terra in eterno.
2
Jenny Lind è stesa in una barchetta incatramata al centro di un lago scuro. Le assi sotto di lei cigolano al ritmo delle onde.
Un conato di vomito la strappa al sogno.
Il pavimento dondola.
Jenny ha male alle spalle e i polsi in fiamme.
Capisce che si trova a bordo del tir.
In un modo o nell’altro l’hanno legata, le hanno chiuso la bocca con del nastro adesivo. È stesa a terra sul fianco, con le mani bloccate sopra la testa.
Non riesce a vedere nulla, come se i suoi occhi fossero ancora preda del sonno.
Uno spiraglio di sole penetra dal telone incerato.
Jenny sbatte le palpebre e il suo campo visivo si ricompone.
Ha una nausea terribile e un mal di testa martellante.
Gli enormi pneumatici rimbombano sull’asfalto sotto di lei.
Ha le mani legate con una fascetta alla struttura di metallo che regge il telone.
Jenny prova a capire cosa sia successo. L’hanno sbattuta a terra, le hanno premuto uno straccio gelido sulla bocca e sul naso.
Un’ondata di angoscia la travolge.
Abbassa lo sguardo e vede che la gonna le si è sollevata in vita, ma ha ancora addosso i collant.
Il tir percorre un rettilineo a gran velocità, i giri del motore restano costanti.
Jenny cerca disperatamente una spiegazione sensata, qualcosa che abbia dato luogo a un malinteso, ma in realtà ha già capito cosa sta succedendo. L’unica risposta possibile è che ora si trova nella situazione che tutti temono più d’ogni altra, che tutti hanno visto nei film dell’orrore, che nel mondo reale non dovrebbe mai verificarsi.
Ha lasciato la bici a scuola e si è incamminata a piedi, fingendo di non aver notato che Eleonor la stava seguendo, quando il tir ha sterzato dietro di lei invadendo il percorso pedonale.
Il colpo al viso è stato così inatteso che non ha fatto in tempo a reagire e, prima che potesse rialzarsi da terra, aveva già lo straccio gelido premuto sulla faccia.
Non ha idea di quanto sia rimasta priva di sensi.
Ha le mani fredde per la circolazione bloccata.
La testa le gira e per qualche istante, prima che torni la vista, vede tutto nero.
Posa la guancia sul pianale.
Prova a controllare il respiro, non deve vomitare finché il nastro adesivo le serra la bocca.
Una testa di aringa affumicata è rimasta incastrata nel bordo del cassone. Dentro al rimorchio l’aria è intrisa di un tanfo dolciastro.
Jenny solleva di nuovo la testa, batte le palpebre e vede, più avanti lungo il cassone, un armadietto metallico chiuso da un lucchetto e due grandi bacinelle di plastica. Sono fissate con corde robuste e tutt’attorno il pianale è bagnato.
Prova a ricordare i racconti di chi è sopravvissuto a un serial killer: i tentativi di opporre resistenza, o di creare un legame con l’assassino parlando di orchidee.
Non ha senso tentare di urlare con il nastro adesivo sulla bocca, nessuno la sentirebbe, tranne forse l’autista.
Al contrario, deve restare muta: è meglio che lui non scopra che si è svegliata.
Cerca di alzarsi, tende il corpo e solleva la testa verso le mani.
Il rimorchio sbanda e Jenny ha uno spasmo allo stomaco.
Un conato le sale fino alla bocca.
I muscoli tremano.
La fascetta le solca la carne.
Con le dita addormentate riesce ad afferrare il bordo del nastro adesivo e a sfilarselo dalla bocca. Sputa, ricade su un fianco e prova a tossire il più silenziosamente possibile.
La sostanza che impregnava lo straccio le ha compromesso la vista.
Quando guarda la gabbia d’acciaio che sorregge il telone è come sbirciare attraverso il tessuto di un sacco.
Ogni barra sale in verticale fino al soffitto, poi si piega ad angolo retto, prosegue sotto la copertura per poi piegarsi di nuovo a novanta gradi e scendere sull’altro lato del rimorchio.
Come una serie di capriate, collegate da altre barre orizzontali lungo i fianchi.
Jenny batte le palpebre, prova ad aguzzare la vista e nota che sull’altra fiancata le barre orizzontali mancano: lì il telone è fermato da cinque file di piastre cucite al suo interno.
Jenny capisce che serve a sollevare la copertura quando si deve caricare il rimorchio.
Se riuscirà a far scivolare le mani legate lungo l’arco di acciaio che passa sotto il soffitto del rimorchio e a ridiscendere lungo l’altra fiancata, forse potrà sollevare il telone e chiamare aiuto, o attirare l’attenzione di un automobilista.
Prova a sollevare la fascetta lungo la spranga ma si blocca subito.
La plastica affilata le fa bruciare la pelle.
Il tir cambia corsia, Jenny scivola di lato e batte la tempia contro una barra di metallo orizzontale.
Si mette seduta, deglutisce più volte e ripensa alla mattina, alla tavola della colazione imbandita con pane e marmellata. Sua madre le aveva detto che il giorno prima la zia aveva subito un’operazione al cuore, con l’impianto di quattro stent coronarici.
Jenny teneva il cellulare sul tavolo accanto alla tazza di tè. La suoneria era spenta, ma il suo sguardo era comunque ipnotizzato dalle notifiche sullo schermo.
Suo padre si era arrabbiato perché continuava a fissare il cellulare, disinteressata a tutto il resto, lei si era arrabbiata a sua volta per quel rimprovero.
«Perché mi stai sempre addosso? Cosa ti ho fatto? Pensa alla tua vita, che evidentemente ti fa schifo», aveva urlato uscendo dalla cucina.
Il camion rallenta, scalando marcia lungo una salita.
A tratti la luce del sole filtra ancora dal telone facendo scintillare il pianale sporco.
Tra i grumi di fango secco e le foglie annerite Jenny scorge un incisivo.
Le arterie le si riempiono di adrenalina.
Il suo sguardo schizza tutt’attorno.
A un metro appena di distanza vede due unghie spezzate, smaltate di rosso. Lungo una delle barre verticali è colato del sangue, e un ciuffo di capelli strappati si è incastrato in uno dei bulloni lungo il bordo del cassone.
«Oddio, ti prego, Dio, ti prego, Dio», mormora Jenny sollevandosi sulle ginocchia.
Resta immobile, alleviando la pressione sulla fascetta di plastica, e il sangue torna a scorrere nelle dita con mille punture di spillo.
Sta tremando in tutto il corpo, prova di nuovo a farsi strada verso l’alto ma la fascetta si è incastrata.
«Ce la posso fare», sussurra.
Tiene a freno i pensieri, sa che non deve farsi prendere dal panico.
Inclina leggermente le mani, tira da un lato, si accorge che è possibile scorrere lungo la barra orizzontale più in basso.
Mentre prova ad avanzare il suo respiro si fa più concitato; è arrivata nella parte anteriore del cassone, ma si accorge che la barra è saldata all’ultimo sostegno verticale, ed è impossibile staccarla.
Lancia un’occhiata all’armadietto d’acciaio: il lucchetto è aperto, dondola appeso all’occhiello.
La nausea torna a farsi sentire, ma Jenny non può permettersi di aspettare: il viaggio potrebbe finire da un momento all’altro.
Si allunga il più possibile, tende le braccia il più possibile e raggiunge il lucchetto con la bocca. Lentamente lo solleva, lo tiene stretto tra i denti mentre si inginocchia e poi se lo fa cadere in grembo; piano piano allarga le cosce, e lo lascia scivolare a terra senza rumore.
Quando il pesante veicolo imbocca una curva, l’anta dell’armadietto si spalanca.
L’interno è pieno di pennelli, barattoli, tenaglie, seghetti, coltelli, cesoie, detersivi e stracci.
Il cuore di Jenny batte più forte, rimbombando nelle tempie.
Il motore emette un suono diverso, il camion sta rallentando.
Jenny si alza di nuovo, allungandosi di fianco, e tiene aperto lo sportello con la testa: su un ripiano, tra due barattoli di vernice, scorge un coltello con l’impugnatura di plastica, sporca…
Gli autori
Lars Kepler è lo pseudonimo dei coniugi Alexander Ahndoril e Alexandra Coelho Ahndoril. Entrambi sono scrittori, ma nel 2009 hanno deciso di sospendere momentaneamente le loro carriere separate per scrivere un romanzo insieme. Ne è nato il caso editoriale europeo del 2010, L’ipnotista, il romanzo che ha scalzato dalla vetta delle classifiche svedesi la trilogia di Larsson, e che ha inaugurato la fortunata e amatissima serie di romanzi con protagonista il commissario Joona Linna, tutti pubblicati da Longanesi: L’esecutore (2010), La testimone del fuoco (2012), L’uomo della sabbia (2013), Nella mente dell’ipnotista (2015), Il cacciatore silenzioso (2016), Lazarus (2018). Sempre presso Longanesi è uscito Il porto delle anime (2015), L’ uomo dello specchio (Longanesi 2020).