Prossimamente: “Succede quasi sempre per caso” di Emily Stone

Disponibile in tutte le librerie e sugli store on-line dal 4 Ottobre 2021

Chi l’ha detto che i miracoli non esistono? Josie detesta il Natale. A peggiorare il suo umore contribuiscono il fatto che Oliver, il ragazzo con cui ha appena rotto, sta uscendo con una sua collega e la sua coinquilina trascorrerà delle splendide vacanze all’estero. Le strade di Londra addobbate a festa, i negozi decorati e le gioiose musiche tintinnanti nell’aria le procurano tristezza. Senza contare che l’espressione di felicità stampata sulle facce di chi si appresta a riunirsi con la famiglia le ricorda quel terribile Natale in cui persero la vita i suoi genitori. E così, ogni anno, invia loro una lettera con le stesse identiche parole: “Mi mancate”. Ma stavolta il suo viaggio rituale verso la cassetta delle lettere viene interrotto da un evento imprevisto: la bicicletta di Josie finisce contro un affascinante sconosciuto, Max. Dopo qualche giorno di idillio, però, lui sparisce senza una parola…

Per apprezzare la bellezza di un fiocco di neve
è necessario resistere al freddo.
Aristotele

Prima parte
Dicembre

Capitolo uno

Josie se ne stava sulla porta del suo appartamento sotto il vischio che Bia aveva insistito per appendere, “a ogni buon conto”, e fissava in silenzio lo scatolone che Oliver stringeva tra le braccia. Con una mano sulla maniglia, la ragazza frenò a stento l’impulso di sbattergli la porta in faccia, su quel viso da bugiardo e traditore, dai lineamenti sin troppo regolari, come osservò in quel momento.

Oliver si schiarì la voce. «So che volevi indietro le tue cose, allora ho pensato di…». L’espressione sul volto di Josie gli impedì di terminare la frase; abbassò lo sguardo e armeggiò con lo scatolone nel tentativo di darglielo, ma finì goffamente per sbatterlo contro il telaio della porta.

«Bene», disse Josie prendendolo, ed evitando sfiorargli la mano. Sbuffò sotto il peso dell’oggetto: era molto più pesante di quanto sembrasse. D’altra parte era ovvio che fosse così: là dentro c’erano le cose che per due anni aveva accumulato nel suo appartamento, cose che aveva dimenticato da lui per comodità e che, fino a qualche settimana prima, credeva sarebbero rimaste là a lungo, perché immaginava di trasferirsi da Oliver in futuro. Chissà cosa aveva pensato lui, raccogliendole tutte e mettendole nello scatolone. All’inizio l’aveva supplicata di non mettere fine alla loro relazione, ma adesso era lui quello determinato a troncare.

Josie serrò le labbra con decisione per farle smettere di tremare e gli voltò le spalle. Proprio in cima allo scatolone, su uno dei suoi libri – probabilmente li aveva gettati là sopra all’ultimo momento – c’erano gli orecchini con le renne, quegli orecchini scintillanti che le aveva regalato tre settimane prima, prima del fatidico pranzo natalizio al lavoro. Quando, invece di tornare a casa con lei, dopo il dessert, Oliver si era trattenuto per bere e flirtare con una loro collega. Quando, invece di rincasare nel giro di un’ora come aveva promesso, era andato a casa della collega. E ci era finito a letto.

La ragazza poggiò lo scatolone sul pavimento in vinile, proprio davanti alla porta di Bia. Quegli orecchini con le renne erano stati un regalo di addio, anche se all’epoca nessuno dei due poteva saperlo. C’era un pensiero che continuava a tormentarla con insistenza, sin da quella “mattina dopo”, quando Josie era ancora a letto e lui le aveva raccontato brutalmente quel che era successo. Quel pensiero le trafiggeva di nuovo la mente, nonostante si sforzasse di reprimerlo: se lei non avesse deciso di rientrare a casa prima di lui dopo quel pranzo, forse non sarebbero mai arrivati a questo punto. Forse, se fossero tornati a casa insieme, Josie si sarebbe raggomitolata accanto a Oliver sul minuscolo divano rosso a guardare le repliche della serie Line of Duty e poi avrebbero ordinato del cibo thailandese takeaway e una bottiglia di vino bianco. Forse lui non avrebbe ceduto alla tentazione, altrimenti detta Cara. 

O forse quel momento sarebbe stato solo rimandato, alla successiva occasione in cui ci fossero stati del prosecco e un vestito rosso attillato.

Josie si alzò facendo un bel respiro profondo e giurò a sé stessa che avrebbe buttato quegli orecchini nella spazzatura non appena possibile. Quando si girò, Oliver era ancora sulla porta, e lei fece di tutto per mantenere un’espressione impassibile e mandar giù il nodo di rabbia che le serrava la gola. Lui si infilò le mani in tasca, nei jeans troppo stretti, e si dondolò sui talloni sbirciando oltre Josie, come se vedesse l’appartamento per la prima volta. Lei incrociò le braccia sul petto e lo guardò torva: non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose più facili.

«Allora, tutto… okay?». Oliver incrociò finalmente il suo sguardo e sembrò trasalire un po’. Bene. Significava che l’aveva fulminato con un’occhiata. Josie alzò le sopracciglia in maniera esagerata; non si sarebbe stupita se fossero scomparse sotto la frangia, ma non le importava: si rifiutava categoricamente di farsi trascinare in qualsiasi forma di conversazione, dopo ciò che le aveva fatto.

«Insomma, dopo oggi in ufficio, volevo assicurarmi che…». S’interruppe di nuovo: sembrava aver perso la capacità di formulare frasi compiute. Josie tenne le braccia bene incrociate sul petto e sperò con tutta sé stessa che non si vedesse il calore che le infuocava le guance. Ovviamente aveva tirato fuori l’argomento. Ovviamente aveva capito perché Janice  le aveva voluto parlare. Uno degli inconvenienti del dividere l’ufficio col tuo ex, oltre al fatto di doverlo vedere tutti i giorni, era il non poter mentire dicendo che tutto andava liscio al lavoro.

«Tutto bene», tagliò corto Josie, ma lui addolcì lo sguardo e indugiò sul suo viso: segno che non le aveva creduto. Josie, in evidente imbarazzo, si pentì di non essersi ancora tolta l’abito a righe bianche e nere che indossava solo al lavoro. In quel momento gli sembrò troppo stretto, e rivelava anche troppo della sua giornata: era tornata a casa alle due del pomeriggio, e se non si era ancora cambiata forse significava che era rimasta seduta per quattro ore di fila senza fare niente. A essere sinceri, era proprio ciò che aveva fatto. Ma dopo tutto probabilmente Oliver non se ne sarebbe nemmeno accorto: non aveva mai prestato troppa attenzione a ciò che Josie indossava; un atteggiamento che lei aveva trovato affascinante, come se non gli importasse che fosse in tuta o con i tacchi alti. In quel momento però ebbe il dubbio che fosse stata tutta una recita, considerato con quale genere di ragazza era poi finito a letto.

Oliver fece per aprire bocca ma poi cambiò idea, rinunciando a qualsiasi consiglio o sostegno paternalistico fosse sul punto di offrirle. «Bene», disse con voce neutra, passandosi una mano tra i capelli castano scuro che gli stavano appiattiti sulla testa, come incollati, anche se la riga laterale che si faceva tutti i giorni (come lei ben sapeva) era leggermente scompigliata. «Ma lo sai che puoi sempre parlare con me, vero, piccola? Io sono ancora…».

Josie alzò una mano. «Non chiamarmi piccola». Sospirò. «Ti prego, non farlo». Non voleva sentirla, l’offerta di una spalla su cui piangere, né voleva sentir dire che lui ancora ci teneva a lei. Perché se ci avesse davvero tenuto, non sarebbe andato a letto con un’altra. E di sicuro non con un’altra che lavorava con entrambi, un’altra che lei avrebbe dovuto vedere tutti i santi giorni, un’altra che si aggirava in ufficio con quei tacchi vertiginosi e scomodi come se fosse il capo.

«Bene», ripeté lui, accarezzandosi la nuca, poi allontanò lo sguardo e lo puntò sul pianerottolo, che era poco illuminato perché una delle luci lampeggiava debolmente all’estremità opposta: in qualche modo quell’effetto rendeva ancora più brutto il parquet lurido che cozzava con il pavimento in vinile all’interno dell’appartamento di Josie, che la ragazza si impegnava a tenere lucido e pulito. Oliver fece un bel respiro, poi la guardò di nuovo con quegli occhioni da Bambi, quegli occhi castani che l’avevano fatta innamorare due anni e mezzo prima quando l’aveva incontrato in ufficio per la prima volta. Lui aveva avuto un atteggiamento abbastanza sicuro di sé da risultare attraente, ma non irritante. «Jose, ascolta, so che ti ho ferito, e so anche che sei convinta che non mi potrai mai perdonare, ma odio l’idea di saperti qui seduta da sola mentre cerchi di affrontare tutto questo. Penso che potremmo parlarne, che noi…».

Josie scrollò il capo. «Oliver, non ci riesco, non adesso». Lui lasciò cadere una mano lungo un fianco, e in quel momento gli sembrò così patetico con le spalle ingobbite sotto il giaccone nero della North Face, così dannatamente patetico che fu quasi sul punto di cedere e mettergli una mano sul braccio. Quasi. Finché non si ricordò che non era lui la vittima. Oliver non aveva alcun diritto di cercare di far breccia, di farla sentire come se la sua fosse una reazione esagerata. «E non sono da sola», puntualizzò Josie in tono secco. «Ho Bia».

«Giusto». Lui annuì più volte, come quel cane giocattolo che faceva su e giù con la testa: le era capitato come regalo “a sorpresa” alla festa di Natale dell’ufficio, e da quel giorno l’aveva tenuto sulla scrivania per dimostrare che aveva gradito, anche se poi tutti quelli che passavano da lei, al momento di andarsene, lo facevano ballonzolare e così Josie, mentre digitava al computer, era costretta a guardarlo oscillare fastidiosamente finché non si fermava.

«Bene». Oliver si schiarì la voce. «Be’, immagino che ci vedremo martedì alla festa, no?». Le rivolse un sorriso timido, mostrandole quei denti storti che lui stesso odiava.

«Immagino di sì», replicò lei, trattenendo il fiato. La festa alla quale tutti in ufficio dovevano partecipare, pur essendo stata fissata proprio la sera della vigilia.

Oliver indugiò ancora sulla porta, e Josie si domandò se si aspettasse che lei cedesse e lo abbracciasse, o lo invitasse a entrare. In fin dei conti, durante la loro relazione era stata sempre lei a cercare compromessi: lei l’aveva sempre assecondato, dalle uscite serali fino a tardi ai frenetici giri in città, invece di cercare un po’ di relax in campagna. Lo sapevano tutti e due, entrambi avevano i rispettivi ruoli da recitare in coppia…

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Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.

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