“Lo spazio tre le cose” di Antonio Benforte edito da Scrittura & Scritture. Estratto

Sinossi

Paolo ha appena tolto l’ultimo quadro dalla parete del suo bilocale. Sotto, ci scorge una crepa di cui non sapeva: quando si è creata? Nello stesso momento in cui si è incrinata la sua vita coniugale? Perché non se ne è accorto prima?Le scatole sono ammonticchiate lì, vicino alla porta, alcune ancora piatte rastrellate in giro un po’ alla volta in previsione del trasloco verso una casa più spaziosa. Altre scatole, invece, sono già piene, impilate in ordine, lo stesso ordine maniacale con cui Paolo tiene sistemati tutti i suoi vecchi dischi, colonne sonore della sua giovinezza, della sua e di quella di Marta. Marta… dov’è ora?Lo ha lasciato solo ad affrontare un trasloco di cose e di cose-ricordi.Ed ecco che in quella casa oramai quasi vuota e forse troppo stretta, ogni scatola assume un valore, ogni oggetto innesca un ricordo. A ogni canzone che Paolo fa andare sul giradischi – ultimo baluardo a campeggiare ancora al centro del salone – scorre nella sua mente la metaforica ricerca di una libertà che, per paradosso, rinsaldi il legame con la moglie, che chiuda quella crepa nel muro vuoto e apra la porta della sua nuova vita.Ci riuscirà?

Estratto

A Benedetta

Ogni dimora è un candelabro dove ardono
in appartata fiamma le vite.

Jorge Luis Borges

1. Kintsugi

Marta lo sa, questo trasloco lo rinviamo da troppo tempo e ormai non possiamo più far trascorrere altri giorni. Abbiamo bisogno di una casa più grande, maggiore spazio, due camere da letto e quattro mura stabili in cui finalmente portare tutto ciò che abbiamo accumulato nel corso degli ultimi cinque anni. 

Sono già passati cinque anni, vero, è stato un lampo. Sì, è tempo di cambiare. Chi ha tempo non aspetti tempo, diceva sempre mio nonno. Poi è arrivato pure un bambino, il nostro amore piccolo e paffutello, Niccolò, da prendere a morsi, e non possiamo più rimandare. Anche se nell’ultimo periodo siamo in crisi, come dice lei, “in un vicolo senza uscita” o “ci siamo arenati”, e lo dice, sia ben chiaro, scandendo bene le lettere, le mette una dopo l’altra con un fare altezzoso che mi fa incazzare. E intanto fisso gli occhi sulla bocca e vedo la sua lingua che si muove rapida, e fa capolino tra i denti, arrotandosi sulle esse e sulle zeta, e io mi sento così impotente, non so che fare. E non capisco neanche perché Marta in questo periodo con me voglia parlare e interagire il meno possibile.

E allora eccomi qui da solo, a mettere ordine tra le cianfrusaglie che ci siamo trascinati dietro, di casa in casa. Ma quanti traslochi abbiamo fatto da quando ci conosciamo? Ho perso il conto. Le mie e le sue cose, i miei dischi vintage e i suoi soprammobili tutti colorati, i miei fumetti ingialliti dal tempo e le sue collezioni di tartarughine portafortuna sparse qua e là tra gli scaffali pieni di polvere. All’inizio ho provato a metterle in ordine, quelle maledette tartarughe dagli occhi grossi e inquietanti, cominciando prima ad ammonticchiarle per terra in modo ordinato e poi a prenderle a due a due e posizionarle delicatamente negli scatoloni. Niente da fare, spuntavano dappertutto, come per tendermi agguati e non riuscivo a metterle a posto. Lo facevo senza un criterio preciso, ero ancora intimorito di fronte a tutto questo disordine. Sì, il disordine mi ha sempre creato angoscia. Ma adesso che è passato qualche giorno ci ho preso dimestichezza. Vedere la casa sottosopra, nulla al posto giusto. Polvere e disordine ovunque. Ma ci si abitua a tutto. 

Nel fondo di un cassetto, spostando un paio di contenitori per occhiali di plastica rinforzata, ho trovato un bel quaderno con la copertina rossa e l’elastico e nei ritagli di tempo ho iniziato ad appuntare, usando matite spuntate e penne di fortuna, le mie sensazioni, i miei pensieri sparsi. Me lo diceva sempre, la psicologa che ho consultato per qualche mese un paio di anni fa: “mi raccomando, Paolo, appunti sempre quello che sente, se c’è qualcosa che la fa star male, qualcosa che non riesce a mandar giù. Si sentirà meglio”. Ma io pensavo, sono anni che mando giù tutto senza reagire, tonnellate di merda, cosa cavolo dovrei mettermi a segnare ora? e abbandonai dottoressa, quaderno e intenzioni di scrivere il mio diario degli errori. Lo faccio adesso, che mi è venuta voglia di sfogarmi, adesso mi serve come non mai.

Sto facendo spazio nella mia vita, finalmente ordine, con questo trasloco, e mettendo a posto oggetti e cianfrusaglie sta cambiando anche la percezione del mondo che ho intorno.

“È sempre e soltanto una questione di tempo, Paolo” mi diceva Carlo quando condividevamo la stessa scrivania al quinto piano dell’ufficio informatico, prima che decidessero di licenziarci senza un motivo preciso. O meglio, il motivo si sapeva: delocalizzazione in Bulgaria. Chi vuole, va a Sofia e mantiene lo stipendio, decurtato del venti per cento, in ogni caso uno stipendio da ricchi per l’est Europa. Chi non vuole trasferirsi, fa la valigia e torna a casa. Non ricordo neanche che anno era… ma ricordo altro.

Io stavo sul lato destro, lui sul lato sinistro di un grosso tavolo in legno leggero. Sotto la scrivania, coperta di fogli, relazioni, documenti inutili e lungaggini burocratiche, i nostri piedi spesso si sfioravano, si incrociavano, alle volte scappava un calcetto fastidioso, qualcuno un po’ più malizioso poteva pensare gli facessi piedino. Ma quello passava il convento, una sola scrivania affollata di cartacce, da dividere in due ottimizzando gli spazi. Con il passare degli anni ogni cosa sulla superficie di legno consumato aveva trovato un suo posto esatto, e quello ci bastava. Lavoravamo bene e, come tutti, sgomitavamo per fare una carriera gratificante, per lo meno soddisfacente.

“Paolo, hai poco più di trent’anni, un lavoro fisso, tante responsabilità e pochi soldi. Di cosa ti lamenti?” ironizzava Carlo con le mani dietro la testa, stiracchiandosi all’indietro sulla sua sedia arancione con le rotelle, logora e vecchia. 

“Panta rei” rispondevo io, “tutto scorre, lo sai bene e ci abitueremo anche a questo. Quello che non ti uccide, ti fortifica”. In realtà non è andata proprio così; sono stato un bugiardo, non ho tenuto fede alla mia parola e tuttora non mi sono abituato ai cambiamenti.

Mentre avvolgo la mia prima coppa vinta al torneo di scacchi della scuola elementare, è come se aspettassi ancora che qualcuno venga a dirmi che è tutto uno scherzo, che nessuno ci licenzia, che non delocalizzano l’azienda in Bulgaria e che sono una persona importante e ho il mio ruolo di responsabilità. Che servo a qualcosa, per il lavoro che faccio, e non sono soltanto un numero e un nome sbiadito su una fotocopia in un piccolo faldone ad anelli, destinato a rimanere in sede o a essere cancellato con un pennarello indelebile, all’improvviso, senza troppi problemi da un addetto all’amministrazione del personale. 

Ecco, ho chiuso questo primo scatolone con le coppe, le medaglie e altre chincaglierie polverose, la polvere mi entra nel naso e mi fa tossire, eh sì, ma da qualche parte dovrò pure iniziare, ma ora meglio che mi prenda una piccola pausa – penso da questo trasloco, ma forse intendo da mia moglie, da tutta la mia vita. Le cose no, non vanno bene affatto tra noi. Meglio essere sincero, almeno con questo diario. Scrivere è terapeutico, dicono. Alzo gli occhi verso l’orologio, non sono neanche le dieci del mattino e sono già esausto.

Mi guardo attorno e vedo solo caos, chi diavolo ce l’ha fatto fare penso, mia moglie è andata a recuperare alcune cose a casa della mamma, mia suocera, e a lasciare mio figlio, nostro figlio, che non è il caso che respiri quest’aria viziata, carica di polvere e altro marciume, così ha detto, sempre scandendo le lettere, con la lingua a fare capolino tra i denti con aria cattiva, incazzata, rancore negli occhi. 

Ce l’ha con me, Marta, come se questo trasloco avessi deciso improvvisamente di farlo io da solo, senza interpellarla, per un mio stupido capriccio personale. Come se provassi gusto nello stare in un simile casino. Invece, non ricorda, Marta, che abbiamo deciso di comune accordo di cambiare casa e di andare in un appartamento più grande. Lo abbiamo fatto per Niccolò, per il suo bene e per il nostro futuro…

L’autore

Antonio Benforte, giornalista, è Social Media Manager del Parco Archeologico di Pompei. 
Ha lavorato per anni in una casa editrice per poi occuparsi soprattutto di nuovi media e comunicazione digitale.
È cofondatore del magazine green e dell’associazione culturale Econote.
Per Scrittura & Scritture, ha pubblicato anche il romanzo La ragazza della fontana(2018).

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.