Vi presento “La circonferenza di una nuvola” di Carolina Capria,edito HarperCollins

A tutte

Per quanto mi sforzi, 
non sono la fanciulla di cui parlano i poeti.
Non sono fatta di maree oceaniche
e il mio cuore non è un tamburo di cristallo;
sarà sempre un’arma
piu’ di ogni altra cosa.

Carolone Kaufman

Sul davanzale ci sono tre foglie secche.Blocco l’anta della finestra e le intrappolo tra il mondo fuori e la mia stanza, in un piccolo spazio di pace in cui non succede niente,si sta e si riposa.
Mentre sarò via non deve entrare neppure una striscia di luce.
Il cassetto del comodino è leggermente aperto. Si intravedono due caramelle al miele,una crema per le mani, due bacchette cinesi e una foto di me e mamma al mare: lei giovane, io felice.Lo faccio scorrere finchè non tocca il fondo e la fessura scompare.
Pochi passi e la mia mano è sull’interruttore,immobile per il tempo di uno sguardo di addio.
Spengo la luce e chiudo la porta.Il rumore delle rotelle del trolley sul marmo mi accompagna fino all’ingresso di casa.
<<Sei pronta?>>domanda papà.
Vorrei dire per l’ennesima volta che stanno sbagliando e che ho tutto sotto controllo, ma inizio a non esserne sicura nemmeno io.
Mamma cerca la mia attenzione.<<Tesoro, so che sei arrabbiata, ma passerà…questa è la scelta migliore.>>
Vi state sbarazzando di me, non mi passerà un bel niente.
<<Non è una prova da superare, ma solo un tentativo>> aggiunge mio padre.
State portando la figlia in manutenzione per vedere se è possibile aggiustarla.
Procedo verso il pianerottolo, sono stanca di discutere,mi sembra di non fare altro da anni.
Ascensore,androne e qualche secondo di aria prima di entrare in macchina: papà guida, mamma è accanto a lui e continua a cambiare stazione radio.
Nessun brano sembra andarle bene, come stesse scegliendo un pacco di biscotti su uno scaffale del supermercato.Concede a ogni canzone qualche secondo,il tempo di leggere gli ingredienti, poi allarga impercettibilmente le narici per l’insoddisfazione, e ricomincia a cercare.
Una voce canta che la vita è un meraviglioso viaggio fatto di salite da affrontare senza paura e di sorprese inaspettate, e mamma finalmente allontana il dito dal tasto torturato fino a quel momento: il pacco di biscotti che cercava era brano capace di descrivere le emozioni che lei crede stiamo provando.
Parole in grado di darci speranza, di farci sentire tutti e tre dalla stessa parte.
Papà sorride ogni volta che incrocia i miei occhi nello specchietto. Io tengo lo sguardo fisso sul finestrino.Entrando in autostrada ho visto un cartellone pubblicitario che diceva TUTTI I PASSI CHE HAI FATTO NELLA TUA VITA TI HANNO PORTATO QUI!, e non ho smesso di pensarci.
Qui. In questa macchina diretta verso una residenza dove si curano i disturbi alimentari. Quali sono i passi che mi ci hanno portata?
Qui. Dopo essere arrivata a pesare trentasei chili e aver imparato a vomitare con un colpo di tosse. Quali sono i passi che mi ci hanno portata?
Qui. Ad appena sedici anni e già i denti cariati, le ossa fragili, pochi capelli in testa.
Qui. Dopo due ricoveri.
Qui, come ci sono arrivata?

E’ bellissima,a scuola non c’è persona che non la guardi desiderando di somigliarle almeno un pò. L’ho desiderato anche io.Se sei così bella,sei felice.Lei era felice perchè era bella.La bellezza è felicità,no?Non è così? Ho comprato una maglietta come quelle che indossava lei, che lasciava intravedere una strisciolina di pancia bianca sopra l’ombelico. Nello specchio della mia stanza mi pareva di stare bene,non felice come lei, ma almeno carina. Poi mi sono rivista riflessa nel vetro impiastricciato della macchinetta delle merendine nel corridoio di scuola: ero ridicola.

E questo è stato uno dei passi che mi hanno portata fino a qui.

<<Mi sa che ci siamo>>annuncia la mamma.
Eccola lì, Villa Erica, una macchia marroncini all’orizzonte, un regalo che sto per scartare.
Valuto l’ipotesi di deporre le armi e alzare le braccia,pregare e supplicare. Vi prometto che farò tutto quello che decideranno i medici, ma non lasciatemi qui, riportatemi a casa, nella mia stanza, nel letto sotto le coperte.
E’ un attimo, e passa.
Papà parcheggia appena fuori dal cancello che dà su un giardino. La villa è distante e nascosta  dagli alberi ancora verdi, ma riesco a scorgere i mattoni della facciata e l’edera che la abbracia quasi totalmente.
Scendo, richiudo la portiera e poggio le scarpe bianchissime sulla terra giallastra,qualche passo e saranno sporche.
Dal cancello all’entrata è un percorso di ciottoli,un sentiero frammentato che attraversa il giardino. Mamma e papà avanti, io qualche passo dietro di loro.
Uno,due,tre,quattro,cinque,sei,sette… alla mia destra intravedo una ragazza.E’ seduta su una coperta stesa sull’erba e legge.Alza la testa e osserva le mie cosce, i miei fianchi, le braccia, tutti i pezzi che compongono il mio corpo.
<<Tesoro, guarda, una ragazza che vive qui.>>
Vorrei che mia madre non avesse parlato, vorrei non aver visto quella ragazza, vorrei che lei non si fosse accorta di me. Distolgo rapida lo sguardo e lo punto prima sul portone di legno e poi sui quattro gradini che mi separano dall’ingresso nella villa.
<<Buongiorno.>>
Una donna di meno trent’anni, si chiama Agata.
<<Lei è Lisa>> si premura di annunciare mia madre scostando il suo corpo in modo che al mio spetti il centro della scena.
<<Piacere,Lisa, la dottoressa Petrelli ti sta aspettando nel suo studio.>>
Agata aggiunge solo un sorriso cordiale e si mette in marcia facendoci strada. Mamma e papà la seguono con il passo leggero di chi è convinto di andare incontro al lieto fine.
Sentire il nome di Marta Petrelli mi ha fatta sospirare di sollievo. La conosco, ho parlato con lei per ore ed è lei che ha ritenuto la mia condizione compatibile con questa struttura.
Quando apro la bocca per dire qualcosa, lei ferma sempre una ciocca di capelli dietro all’orecchio, come volesse accogliere meglio le mie parole. Ha due rughe che dal naso raggiungono le sopracciglia, fisse e profonde anche se il viso è rilassato.
Dovrei odiarla e la odio, tantissimo, ma in questo momento il suo volto familiare è ossigeno,perchè ormai credevo di essere senza fiato. <<Accomodiamoci qui.>>
I miei genitori prendono posto sul divanetto in pelle, io e la dottoressa ci sediamo sulle due poltrone.
La prima cosa che vedo sono gli oggetti poggiati sulla scrivania di legno intarsiato, fogli che non riesco a leggere, penne, un telefono. Poi la libreria alta quanto la parete,scorro velocemente i titoli dei volumi come se ne cercassi uno in particolare. I muri, la laurea in medicina, la specializzazione in psichiatria e una fotografia incorniciata, l’immagine in bianco e in nero di una donna sorridente accanto a un’automobile.
<<Lisa, come ti ho spiegato durante i nostri incontri, il percorso che stai per intraprendere, no ha delle tappe prefissate, decideremo tutto assieme e valuteremo quello che succede e come ti trovi.>>
Annuisco. Potrei ripetere tutta la manfrina a memoria: i miei genitori non mi lasceranno, me verranno coinvolti nei miei progressi, ogni due settimane valuteremo  se la terapia alimentare se è quella giusta o se è il caso di cambiarla, avrò poco tempo libero, ma potrò riempirlo come meglio credo per cercare di rientrare in contatto con una quotidianità fatta di attività che non siano legate al cibo e al pensiero del cibo, e blablabla-blablabla.
Quando dobbiamo salutarci è papà il primo ad alzarsi, afferra il trolley, lo trascina per meno di un metro e me lo consegna come fosse il timone della nave.
Sono io la capitana, adesso.
Mamma mia abbraccia a mi bacia la guancia. Una lacrima, credo l’unica evasa dagli occhi serrati, mi bagna, salata, l’angolo della bocca: ci vediamo presto andrà tutto bene vedrai si forte se hai bisogno noi siamo qui.
Non è la dottoressa ad accompagnarmi nella mia stanza, ma Agata. La seguo lungo la scalinata che porta al secondo pino; mi racconta di essersi appena laureata in psocologia e che farà qualche mese di tirocinio in questa struttura nella quale le piacerebbe lavorare.
<<Eccoci!La tua è la stanza Azalea!>>
Mi accorgo solo ora che sulle porte bianche , in fila lungo il corridolio, sono appesi dei quadretti che raffigurano delle piante.Che idea deliziosa e carica di simboli, avranno certamente pensato, legare la sorte di queste ragazze quasi appassite all’immagine di piante pronte a rifiorire al primo soffio di primavera.
Agata mi sorride, e dopo avermi detto che troverò sul letto il programma della settimana, mi lascia davanti alla porta socchiusa.
Respiro come se non lo facessi da ore.
<<Ciao,benvenuta…>>
Avrà all’incirca quindici anni e una trentina di chili di troppo.
Chiude il pennarello con cui stava colorando e lo lascia cadere sul letto, si alza e mi viene incontro con la mano tesa. Mentre compie i tre passi per raggiungermi, tira in giu’ il bordo della T-shirt nera e sgualcita che indossa, nel vano tentativo di nascondere quanto è grassa.
<<Io sono Susi.>>
Ecco la mia compagna di stanza.
<<Lisa, piacere.>>
<<SE hai qualche domanda falla pure, sto qui da un pò ormai>>
<<Certo.>>
<<Tra un quarto d’ora ci sarà il terzo pasto, se prima vuoi sbrigarti a sistemare tutti i bagagli posso darti una mano…>>
<<Grazie, ma non c’è bisogno>> rispondo poggiando i vestiti su quello che è appena diventato il mio letto.
<<Sono contenta, oggi è una bella giornata: lo psicologo mi ha detto che sto facendo progressi e devo essere soddisfatta perchè mi sto impegnando molto.>>
Susi deve riempire lo spazio di parole in modo che la mia attenzione si concentri su ciò che dice e non su di lei. Quando la guardo, abbassa gli occhi e si tocca i capelli ricci e crespi lunghi alle spalle cercando di appiattirli e renderli meno voluminosi.
<<Sono felice per te>>

 

 

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.

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