“Trappola morale” di Roberta Bobbi

Sinossi

Francesca Ausili, una donna di circa sessant’anni, è oramai ridotta a lavorare come cartomante telefonica. Una sera, durante il suo turno, la solita esasperazione e insofferenza che prova verso chiunque la chiami per farsi consolare e illudere, la induce a maltrattare una giovane cliente, Monica Selloni, decisamente troppo masochista per i suoi gusti. La ragazza, nel corso del consulto sbanda, si cappotta e finisce fuori strada nei pressi di un incrocio mentre Elena Venanzi, una ex Marescialla estromessa dall’ Arma anni prima e impiegata attualmente come Guardia Giurata, transita nel luogo in cui avviene l’incidente. La cartomante chiude malamente la telefonata senza rendersi conto dell’avvenuto. La Guardia Giurata, per il timore di non raggiungere in tempo un supermercato da cui è partito un allarme d’infrazione non si ferma né a prestare soccorso né a sollecitare interventi. La ragazza, semisvenuta, riesce comunque a uscire dal veicolo e a trascinarsi sul ciglio della carrabile. Dopo qualche ora passa finalmente  il primo automezzo, un articolato che trasporta maiali danesi da scaricare in un salumificio lì vicino. L’autista la vede, frena, scende e la carica in cabina. Quando la Guardia Giurata, dopo una notte in cui ha rischiato di finire in balia della gang di teppistelli guidati dal figlio del proprietario del supermercato  ripassa nel luogo dell’incidente, nella macchina non trova nessuno. Prende allora il cellulare che nota all’interno dell’abitacolo col proposito di consegnarlo alla Polizia. L’indomani, i facoltosi genitori della ragazza, avvertiti del ritrovamento dell’automobile della figlia e non rintracciandola ricoverata in nessun ospedale, sporgono denuncia di sparizione temendo un rapimento con finalità estorsive. L’indagine è affidata a De Sanctis, un Commissario dai trascorsi in Interpol, il quale avviando immediatamente l’analisi dei tabulati telefonici del numero in possesso della ragazza, risale alla Guardia Giurata che trattiene ancora con sé il cellulare e alla cartomante alla quale ha inviato l’ultima chiamata. Le convoca dunque entrambe in Commissariato. Per prima interroga la Venanzi che non riuscendo a giustificare né l’omissione di soccorso, né il motivo per cui nonostante l’allarme fosse risultato falso come è costretta ad asserire per non rivelare l’abuso di potere che ha esercitato a discapito di semplici minorenni, fosse ripassata sul luogo dopo così tanto tempo, né tantomeno perché si fosse impossessata del cellulare senza segnalare il sinistro, subisce le sue vessazioni senza riuscire a difendersi. Poi, convoca L’Ausili che invece si discolpa con insistenza e convinzione. Grazie alle

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immagini registrate dalla telecamera di una falegnameria situata nei pressi  dell’incrocio, De Sanctis scopre il passaggio e la sosta dell’autoarticolato. Decide allora di avviare le indagini per scoprire la destinazione del mezzo. Una volta accertato che il camion era diretto a  un salumificio della zona, risale al conducente e alla ditta danese per cui lavora. Si mette dunque in contatto con essa e saputo che il loro dipendente, sulla strada del ritorno avrebbe fatto tappa in un albergo di Brema, decide di allertare la polizia tedesca e di raggiungerlo. Trova dunque Monica in sua compagnia, sana, serena e addirittura innamorata del suo sequestratore. La ragazza si rifiuta categoricamente di seguirlo asserendo di essere maggiorenne e  in possesso di tutte le sue facoltà. Il Commissario De Sanctis, contrariato per quel viaggio a vuoto e per l’inefficacia della propria capacità persuasiva, decide di sfruttare le ore che mancano al volo di ritorno andando a visitare il Museo del Clima della città dove una serie di simulazioni lo irrita però ancora di più. Nel frattempo una Francesca Ausili quasi di buon umore, continua a esercitare la sua attività con rinnovata pazienza, quasi volentieri soprattutto quando a telefonarle è  Elena Venanzi. È proprio la sua, la chiamata che sta aspettando alla solita ora a inizio turno quando invece, dall’altra parte del cavo si materializza la voce disperata di Monica Selloni che dalla Danimarca, la chiama per chiederle se il ragazzo che la maltrattava la ama ancora, aggiungendo che con il ragazzo danese non sta bene perché lui la tratta con troppa gentilezza.

Capitolo 1

Ci siamo quasi. Il segnale di fonia sta per convertirsi in impulso elettrico, è in procinto di mettersi in cammino. Per ora è ancora lì, all’imbocco della rete di accesso, immobile e pulsante come uno sciatore che in cima alla piattaforma aspetta di saltare sulla pista di lancio, ma a breve sarà commutato e poi instradato dentro i fasci dei cavi delle telecomunicazioni, nel caso provenga da un apparecchio fisso o agganciato dalle onde e caricato su un ponte radio, nel caso scaturisca invece da un apparecchio mobile. La lancetta dell’amperometro schizzerà dunque verso l’alto e in un lampo la vibrazione acustica agiterà il portatile poggiato sul tavolo facendolo squillare. Allora sarò costretta a portarmelo all’orecchio, a stendere forzatamente le labbra in un sorriso fasullo e rispondere: «Pronto, sono Loredana, in cosa posso esserti utile?»

Ridotta a un utensile, a donna di pubblica utilità, ma non di servizio. Questo sono diventata. Ho a che fare con l’ottusità del genere umano, soprattutto con quella femminile. Io lavoro per chi si vuole comprare un vaticinio favorevole, per chi non sa oltrepassare le proprie misere passioni. Vendo chiacchiere, le vendo al minuto, per pochi centesimi e pure in nero. I clienti più vantaggiosi sono coloro i cui amici, stanchi di dare lo stesso consiglio per poi sentirsi subito di nuovo interpellati e addirittura indotti a darne un altro più gradito, hanno pensato bene di allontanarsi. E poi ci sono quelli che si sentono troppo intelligenti per andare da uno strizzacervelli, oppure gli altri, quelli che non chiamano tutti i giorni, ma solo una volta ogni tanto, che preferiscono parlare con noi in anonimato pur di evitare chi, conoscendoli, potrebbe giudicarli e non benignamente. Nello stesso attimo che le loro dita iniziano a comporre i numeri dei nostri otto-nove-nove, si sentono tutti già consolati alla sola idea che di lì a poco qualcuno, in cambio di pochi spiccioli, avrà finalmente comprensione e cheterà le loro ansie con un responso favorevole ai loro desideri frustrati. Ed è questo che noi dovremmo fare, che dovrei fare anch’io: offrire loro attenzione, regalare assenso a ogni loro speranzosa certezza. Siamo pagati per avere pazienza, noi. Solo che io la pazienza non la possiedo più, l’ho persa da un po’. Non li sopporto. Sono casi umani fatti con lo stampino. Querule voci in affanno, portatrici delle medesime domande a riguardo dei sentimenti degli amanti, delle mogli, dei mariti, dei colleghi, dei parenti, degli amici e dei nemici. Gemiti di sofferenza endemica senza soluzione. Stolti individui imprigionati dentro bolle di risentimento. Gente che ti costringe a mentire sapendo benissimo che è il tuo mestiere che ti obbliga a farlo. Non tollero più prodigarmi in penose stesure risolutive solamente perché bisogna pur campare.

Una volta mi ci affezionavo ai clienti, sputavo l’anima per cercare di aiutarli, mi profondevo a raffica, li pensavo di continuo anche nelle ore libere. Adesso li detesto. Non è servito a nulla saccheggiare le riserve di buon senso che ero riuscita a conservare, né consumare fiato per pretendere realismo o invocare coraggio. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Quel loro continuo interrogativo: «È questo il mio destino secondo le carte?» Tutti assolti dal destino si vogliono sentire! In modo da poter placidamente incrociare le braccia e non fare niente, se non aspettare che le carte annuncino quando quel loro destino d’infelicità avrà il riscatto della ricompensa. Pensano che qualsiasi sforzo per cambiarlo sarebbe fatica sprecata.

Poverini! E lo dico a loro difesa e contro me stessa, stavolta. Loro si affidano a te che ti spacci per cartomante e sensitiva perché pensano che il destino sei capace a leggerlo, che le competenze per predirlo onestamente le possiedi… e be’, non per scagionarmi, ma a dire il vero, la notte prima che iniziassi a cimentarmi in questo lavoro l’ho davvero letto per intero (no, non il destino di qualcuno) un manuale sui Tarocchi. E su ognuno dei settantadue Arcani, a matita, ho scritto il suo significato e la simbologia che lo contraddistingueva e a penna, su un quadernone, le innumerevoli combinazioni predittive. Ho diligentemente frequentato il Corso di Tecniche di approccio psicologico e quello di Interpretazione dei temi astrali organizzati dall’azienda. Ho provato a mettere a frutto ogni gentile suggerimento dei responsabili delle risorse umane. Insomma, ce l’ho messa tutta.

Tant’è che il primo mazzo di tarocchi mi è durato appena un mese. Durante il turno lo mischiavo di continuo, ininterrottamente, fino a che un giorno mi si è sbriciolato tra i polpastrelli. Anzi, sfarinato. Sono rimasta con un pugno di polvere in mano e ho dovuto farmene prestare un altro da una collega. Ero sempre in conversazione, i clienti avevano preso a ricercarmi, a fidarsi di me. Guadagnavo abbastanza da potermi permettere di vivere in un appartamento con un gran terrazzo adagiato su una vallata, ma poi ho cominciato a capire che era spesso inutile interpretare le stesure perché quando erano sfavorevoli, pur di far rimanere il cliente in linea, dovevo ingegnarmi in una serie di contorcimenti sintattici e in un uso così spropositato di ossimori che la voce, mentre la dignità andava spappolandosi, mi si alterava così tanto da risultare stridula. E allora avvertivo sempre più spesso, alle spalle, la fastidiosa presenza di qualche socio dello staff che sussurrando m’incitava a usare un tono più rassicurante. E qualche volta si sedeva pure accanto per ascoltare meglio come gestivo il cliente. Poi mi aspettava a fine turno per dirmi che stavo scendendo di minutaggio, che la mia produttività era in calo, che dovevo assolutamente ritornare a sfornare almeno cinquemila minuti ogni mese. Ci sono riuscita per poco. Poi ho lasciato quella casa sulla valle di siepi selvatiche dove ogni mattina una coppia di colibrì volteggiava per me davanti alla finestra, perché non avevo più i soldi per pagare l’affitto.

Ora lavoro a domicilio, in un monolocale con il tetto bassissimo e un’unica finestra che dà sul cortile interno di un caseggiato squallido, odoroso di muffa e infestato di zanzare. Nessuno mi controlla, nessuno mi munge. Le uniche facce che ho davanti, sullo schermo dell’Acer, sono le foto delle mie colleghe, o meglio, le foto che la titolare ha scelto per presentarle. Quella che rappresenta me mostra una donna dal sorriso bonario, una bionda tinta di bruno. Chissà chi è e se lo sa che mi presta la faccia perché io mi vergogno di metterci la mia. Sembra un volto dell’Est. Siamo in dieci e in questo momento parla solo Clotilde, la più gettonata, il codice 143, quella che si reclamizza sostenendo di essere in costante interlocuzione con gli angeli e tiene i clienti in attesa mentre, lei dice, aspetta che l’angelo le guidi la mano e le faccia scrivere la risposta al quesito. Che sfacciata. I clienti, nei commenti sul sito si dichiarano estasiati e commossi dai suoi scritti. A forza di scrivere avrà di certo una bella calligrafia. Con quelle punte dei capelli ossigenati che le battono sulle spalline imbottite della giacca e si piegano all’insù, e con quel sorriso da fatina cartonata sembra una di quelle professoresse di francese leziose in maniera stomachevole.

Roberta Bobbi nasce a Narni, in Umbria, nel 1964. Si trasferisce poi a Roma dove intraprende studi di recitazione e di drammaturgia. Scrive dapprima alcuni testi teatrali tra cui “Ustascia”, prodotto  e messo in scena dalla Compagnia Beat 72 e “La farina del diavolo”, allestito dal Teatro Argentina.

Nel 2016 pubblica, insieme ad un’altra autrice, il romanzo “Da principio venne il diavolo”, firmato Agatha Beta e pubblicato da Walkabout Agency. Nel 2018 pubblica il romanzo “Velia, amorevole estetista delle salme” con La Caravella Editrice. Nel 2022 collabora con un suo racconto all’Antologia “Scritti per gioco” edito da Ronchetti Editore. Sempre nel 2022, con un altro racconto partecipa all’Antologia “Estate in cento parole” edito da Giulio Perrone.

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.