In libreria: “Il coraggio di Rachel DuPree”

Manca l’acqua, nella terra che Isaac e Rachel DuPree hanno scelto per la loro famiglia, e un vento violento soffia sulla prateria sollevando sabbia ed erbacce. Siamo nelle Badlands, South Dakota, e l’anno è il 1917. Non piove da mesi e ogni cosa è secca, come le labbra screpolate di Rachel o gli occhi opachi dei suoi figli. Nonostante le asperità di quella vita, Isaac e Rachel non possono abbandonare la casa di legno e i duemilacinquecento acri che affacciano sulle colline, il loro avamposto sulla frontiera dove è così raro vedere, fra i coloni, un uomo che non sia bianco. Dopo anni vissuti in uno spazio scavato nel fianco di una collina, hanno finalmente una casa, e una casa è segno di rispetto, così come la terra, soprattutto se sei nero. La sete, tuttavia, continua a farsi sentire. Un giorno Isaac chiede alla piccola Liz di calarsi dentro il pozzo. La bambina potrebbe cadere e rimanere uccisa o essere morsa dal serpente con gli occhi rossi che tanto la terrorizza. Qualcosa allora si rompe dentro Rachel. La ribellione comincia a farsi strada nella sua testa. Nella sua città d’origine, Chicago, basterebbe aprire un rubinetto per avere dell’acqua. Perchè, dunque, vivere di stenti al solo scopo di permettere a Isaac di coltivare il suo sogno di proprietario terriero? L’amore e il sacrificio sono davvero tali quando ne va della vita dei figli e della propria esistenza? E che cosa sono sottomissione e rassegnazione se non una forma di tradimento verso i suoi figli e verso se stessa?
Aprendo uno squarcio sulla vita dei coloni neri nella prateria, Ann Weisgarber dà voce a un’eroina indimenticabile che, in una terra desolata, scopre la vacuità del sogno americano e dei suoi valori, illusori come una manciata di polvere.

A mio marito, Robert L. Weisgarber

Possiamo, e lo faremo!
Motto del Nono Cavalleria

Penso che sarebbe diverso senza il vento. Soffia e soffia, finché non mi fa sentire solo e tanto lontano… dall’Illinois.
Oscar Micheaux, colono in South Dakota

Nota alla traduzione

I termini negro e razza negra traducono in questo romanzo l’inglese Negro e Negro race; tali espressioni appartenevano alla lingua d’uso negli Stati Uniti d’America all’epoca dei fatti narrati e sono state mantenute per accuratezza storica.

1.

Le Badlands

Mi pare ancora di vederla, la nostra Liz, seduta su un’asse di legno che dondolava sopra il pozzo. Stava aggrappata alla corda che pendeva dalla puleggia, i piedi nudi premuti insieme con tanta forza che si vedeva il bianco dei malleoli. Aveva sei anni. Indossava i pantaloni diventati piccoli a suo fratello; prima, quando glieli avevo dati, mi aveva chiesto se indossare i calzoni faceva di lei un maschio. Chissà, le avevo risposto, e lei aveva fatto una risatina.

La tavola di legno su cui sedeva Liz oscillava e ruotava su sé stessa per effetto del vento che soffiava sabbia pungente. Il fazzoletto le copriva il naso e la bocca. La corda che la stringeva in vita era legata a quella che sosteneva la tavola. Isaac, mio marito, la chiamava imbracatura. Mi assicurò che le avrebbe impedito di cadere.

«Noi siamo qui» le dissi. «Il papà ti regge».

Lei mi guardò, il viso scuro paralizzato dalla paura. Il vento soffiava e Liz sussultò, gli occhi ridotti a due fessure. Isaac e la nostra figlia maggiore, Mary, uno accanto all’altra, afferrarono la manovella del pozzo. Puntarono i piedi a terra e la azionarono spingendola verso l’alto.

La corda ebbe un guizzo improvviso. Liz scese di qualche centimetro. Aspirò una boccata d’aria e cacciò un grido acuto, penetrante.

Mi sentii cedere le ginocchia, ma mi appoggiai al pozzo. «Sei coraggiosa» le dissi mentre scendeva a occhi chiusi.

Il sole le illuminò la sommità del capo. Le trecce castane legate con lembi di stracci diventarono color ruggine. Le spalle le tremarono. Emise un gorgoglio, poi scomparve.

Non ero tipo da rivolgermi a Gesù per chiedergli favori. Ma quel giorno lo feci. Gesù misericordioso. Dolcissimo Gesù misericordioso. Accompagna mia figlia in questo pozzo.

Isaac e Mary stringevano la manovella, la facevano girare controllandone i movimenti con i muscoli del collo e delle braccia tremanti per lo sforzo. John, nostro figlio di dieci anni, fece ciò che

io non riuscivo a fare. Si sporse oltre il parapetto e guardò Liz. Sopra di lui, appeso a una seconda carrucola – di fortuna, che Isaac aveva installato quel giorno – c’era un secchio. Altri quattro si trovavano per terra alla base del pozzo.

Tossii e sputai polvere, strinsi il nodo del fazzoletto che mi copriva i capelli e risollevai la fascia che mi proteggeva bocca e naso. Prima l’avevo abbassata; volevo che Liz mi guardasse bene in faccia. Non volevo che pensasse che sua madre si nascondeva dietro uno straccio.

Tienile la mano, caro Gesù. Tienila stretta.

Il giorno prima la pompa dell’acqua accanto a casa aveva tirato su solo aria. Poi Isaac aveva provato con il pozzo del fienile. Il secchio era risalito vuoto, ma il fondo era bagnato. Quando lo vidi legare una tavola di legno alla corda del pozzo, mi si gelò il sangue nelle vene.

«No» gli dissi. «Quello no».

«Devo» replicò.

«Ma c’è ancora acqua nel White River. Non puoi…»

«Solo un filo».

Lo guardai.

«Liz» rispose, come se glielo avessi chiesto .

«Dio santo».

«Andrà tutto bene».

«Potresti lasciarla cadere».

«Non la lascerò cadere».

«Non farlo».

Le sue labbra si contrassero. «Devo».

«No» ripetei, «no», ma non c’era nulla dietro quelle parole e Isaac lo sapeva.

«Ferma» disse ora a Mary, che come lui continuava a stringere la manovella. La fune era finita; Liz era in fondo. Mary lasciò andare la manovella e scosse mani e spalle. Si passò i palmi lungo i fianchi della gonna. Aveva quasi tredici anni ed era alta per la sua età. In quello assomigliava a Isaac, ma era scura come me. Quando il padre le aveva detto che non avrebbe potuto girare la manovella senza di lei, aveva raddrizzato la schiena e sollevato il mento. Isaac aveva quell’effetto su certe persone. Poteva assegnarti l’incarico peggiore e farti sentire onorato per essere stato scelto. Avevo avuto quattordici anni per capire come faceva. Questa era la risposta che avevo trovato. I suoi occhi ti ammiravano quando tenevi duro, e quando ti guardava in quel modo non c’era niente di più bello. Un’altra cosa, anche. Isaac non si tirava mai indietro. Sapeva quel che doveva fare, e lo faceva.

Essendo la moglie di Isaac, lo sapevo meglio di chiunque altro.

«Fa’ scendere il secchio» ordinò Isaac a John. «Piano. Chiamala, dille che sta arrivando».

John obbedì e poi, stringendo le labbra screpolate, cominciò a girare la manovella improvvisata. Il vento sballottava il secchio, facendolo roteare. La tazza di metallo al suo interno sbatteva qua e là tintinnando.

Nel pozzo la corda che reggeva Liz era tesa e vibrava un po’. Isaac, anche se immaginavo che non ce ne fosse bisogno, teneva le mani sulla manovella. In lontananza, nei pascoli a nord, un vortice di sabbia si muoveva a scatti e raccoglieva frammenti di rotolacampo. Le mucche, strette l’una all’altra lungo il recinto di filo spinato, appiattirono le orecchie quando il turbine passò loro accanto. Io stetti a guardare, ma era la nostra Liz che vedevo versare acqua nel secchio, al buio, una tazza dopo l’altra.

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Però temevo che qualcosa potesse venirmi a mancare. Erano stati la mia avidità, il mio orgoglio, l’amore per la mia casa di legno a prendere quella decisione. E la terra, anche. La terra era tutto per Isaac. Isaac. Ero disposta a fare qualsiasi cosa volesse. Qualsiasi cosa.

Su pascoli erbosi mi fa riposare.

Il vortice di sabbia si contorse come un lenzuolo sul filo del bucato, si raccolse e si mosse verso la casa. Soffiò sulla veranda davanti all’ingresso, priva di tettoia, e poi si spense, lasciando ramoscelli di rotolacampo appiccicati alle finestre e alla porta.

Ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca.

Le lacrime mi bruciavano gli occhi. Le Badlands del South Dakota consumavano tutto, anche i bambini. Ma avevo la mia casa di legno. Dopo soli due anni le assi erano già scorticate. Ciuffi di erba delle praterie crescevano sul tetto dove le lamiere si erano spostate e si era insinuata la sporcizia. La polvere filtrava dai bordi delle finestre di vetro e della porta, e potevo spazzare quanto volevo, varie volte al giorno, ma non riuscivo a scacciarla. E ora c’era quel rotolacampo schiacciato contro casa nostra che la faceva apparire trasandata come se non ci abitasse nessuno.

Mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.

Il sudore colava dai capelli di Isaac, anche se le sue mani erano posate mollemente sulla manovella. Dei cerchi fradici gli scurivano il davanti della camicia. Faceva così caldo che ero sicura di udire la terra dura scricchiolare sotto i piedi. Avevo la bocca gonfia, come se avessi mangiato sabbia. Il pioppo nero accanto al bucato ormai asciutto ondeggiava, quasi privo di foglie. La mia mano andò a toccare la nuca, consapevole del dolore che doveva provare Liz alle braccia e alle spalle mentre attingeva l’acqua.

Signore, pietà. Gesù, abbi misericordia.

Una nube bassa, piatta sotto e gonfia in cima, scivolò davanti al sole. La sua ombra si diffuse sul terreno oscurando la casa, il fienile e il pozzo. La frescura procurata dall’ombra mi fece battere il cuore ancora più in fretta. Erano passati più di due mesi dall’ultima pioggia; tanto, troppo tempo. Attesi speranzosa, sapendo che era sciocco aspettarsi qualcosa da quella nube. Passò, rivelando di nuovo il bagliore implacabile del sole.

foto presa dal web

Ann Weisgarber è nata e cresciuta a Kettering, nell’Ohio. Ha vissuto a Boston, nel Massachusetts, e a Des Moines, nello Iowa. È autrice di The Promise e The Personal History of Rachel Dupree, selezionato per l’Orange Prize e finalista all’Orange Prize for New Writers. Attualmente vive in Texas.

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.

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