“Voci nella nebbia” di A. E. Pavani edito da Mondadori. Estratto.

Trama

Immagina un’isola rigogliosa, e cinque bambini che rubano una barca per visitarla. Immagina una nebbia improvvisa, che tutto avvolge. E lì, nello strano sottobosco, immagina un albero illuminato dal sole, e le foglie che scintillano e vibrano alla brezza, riempiendo l’aria di un suono crepitante.

Solo che non sono foglie: sono fotografie.

Fotografie di occhi.

Gli stessi occhi che, diciannove anni più tardi, affollano gli incubi di Lisa Harding, detective della Omicidi di Londra. Delle ultime settimane Lisa ricorda poco. I colleghi le raccontano che è stata assalita, che ha rischiato di morire, ma mentre cerca di ricostruire l’accaduto, riesaminando il caso di omicidio su cui stava indagando, Lisa si rende conto che i lampi frammentari nei suoi sogni sono più antichi, memorie sopite di un’estate lontana in riva a un piccolo lago fra le montagne del Trentino, che portano con sé dettagli sempre più inquietanti: il cadavere di una donna su un’isola tetra e una bambina mai più tornata. Lisa è certa che anche quei ricordi siano legati al killer a cui sta dando la caccia, e decide così di tornare in segreto al paese di quella lontana vacanza, senza immaginare che qualcosa di terribile si agita ancora nelle acque del lago.

Un killer ossessionato dagli occhi delle sue vittime un istante prima che muoiano, una giovane detective in lotta con i fantasmi dentro e intorno a lei, un piccolo paese con troppi segreti: l’esordio di una nuova, solidissima voce del thriller italiano.

Estratto

Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata. Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali.

EMILY DICKINSON

Isola della Strega

Trentino, estate 1999

La barchetta scivolava sull’acqua. Nell’aria solo il lieve sciabordio dei remi e il respiro, quasi impercettibile, dei bambini aggrappati ai bordi. L’isola emergeva, immota e buia, tra impalpabili strati di foschia.

Alla luce del sole, e da lontano, faceva di certo un altro effetto. Nel chiarore che preannunciava l’alba, con il buio della notte che andava tramutandosi in ombre, appariva più minacciosa di quanto suggerisse il suo nome.

«Non sono più sicuro che sia una buona idea» sussurrò Matteo, remando piano per non fare rumore, gli occhi puntati sulla massa nera che si lasciava intravedere a tratti, all’aprirsi invitante della nebbia.

«Adesso hai paura?» lo provocò Lisa. La pronuncia strascicata tradiva la sua ansia, non solo le origini anglosassoni.

Elena la cicciottella si voltò a guardarlo, il viso cereo come quello di un fantasma.

A undici anni compiuti, Matteo era il più grande, e anche l’unico maschio: non gli era permesso avere paura. Poco importava che a scuola lo chiamassero sfigato e che, finora, le avventure le avesse solo lette nei libri.

«Figurati» rispose di slancio. Sollevò le spalle con una spavalderia che non avrebbe ingannato nessuno. Di sicuro nessun altro maschio. «Cosa potrà mai esserci là, oltre alle piante?» E alle sabbie mobili, si corresse mentalmente, vedendo spuntare una delle boe che delimitavano lo spazio proibito. Passarono accanto alla grossa palla galleggiante, facendola dondolare leggermente.

«Quelle non sono lì solo per le piante» commentò Lisa, il fiato corto, seguendo la direzione del suo sguardo. «Pensa a remare.» Erano in cinque su quel guscio di noce; rischiavano di girare in tondo se uno dei due avesse vogato con più forza dell’altro.

«Non c’era questa nebbia, prima. Da dove è saltata fuori?»

Il grido di un qualche uccello echeggiò in lontananza, come un avvertimento. Matteo sentì un brivido. Si guardò alle spalle, la sponda del lago era sparita, nascosta dietro la nebbia.

«Non mi piace.» La vocina monocorde di Rosa risuonò troppo forte nel silenzio che li avvolgeva, ma anche troppo rivelatrice del pensiero di ognuno. La sorella maggiore, Maria, la ignorò, lo sguardo stranamente duro, come arrabbiato.

L’aria parve ondeggiare davanti a loro, aprendosi e riaddensandosi a più riprese, come un gioco, mostrando più chiaramente il profilo dell’isola. Un soffio gelido accarezzò la superficie dell’acqua e risalì il fianco della barca, investendoli sul viso e insinuandosi tra i capelli come lunghe dita invisibili.

«Non mi piace» ripeté Rosa. «Voglio tornare a casa» annunciò, la voce ancora più alta, muovendo incessantemente le manine.

Lisa trasalì, infastidita. «Maria, cerca di calmare tua sorella» intimò a voce bassa all’amica. L’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel momento era che si mettesse a strillare. L’avrebbero sentita fino al campeggio.

Rosa era un po’ strana. Aveva sei anni ma era diversa dagli altri bambini della sua età. A volte sembrava più piccola, altre più grande. Non le piaceva giocare in compagnia, se ne stava sempre in disparte, a parlare da sola, a disegnare o immersa nei suoi libri di fiabe. Non le piaceva essere toccata, né tanto meno abbracciata. Se qualcuno lo faceva urlava, dimenandosi per liberarsi, a meno che non fosse lei a cercare il contatto, allora diventava una cozza.

«No. No.» Rosa scosse il capo. «Voglio tornare a casa. Voglio tornare a casa.»

«Smettila» sbottò Maria con un ringhio. «Stai zitta, ebete! Oppure ti butto in acqua!» La bambina ammutolì, lo sguardo basso, e così Maria, per un istante, sorpresa della sua stessa reazione.

Elena si voltò a guardarla con occhi sgranati; anche Lisa la fissò in modo strano. Da quando erano diventate amiche, un paio di settimane prima, non l’avevano mai sentita trattare male nessuno, men che meno la sorellina, con la quale era protettiva e paziente.

«Guarda che così la spaventi di più e basta» protestò Matteo.

«Zitti!» sibilò Lisa, stringendo le mani sudate sul remo. Si girò, afferrò il suo zainetto e lo lanciò addosso all’amica, che sembrava incapace di controllare quello che le usciva di bocca. «Ho dei biscotti qui dentro» le disse secca. «Daglieli, così si distrae. Ma quanto ci vuole ancora?» aggiunse con un sospiro.

«Non mol…» Matteo s’interruppe. «Il remo ha toccato qualcosa» esclamò voltandosi verso Lisa. «Hai sentito niente dalla tua parte?»

«Sarà il fondale» gli rispose lei. Fece scivolare il remo sullo scalmo, che affondò nell’acqua come un coltello nel burro morbido. Con fatica, lo risollevò per spingerlo in avanti.

E sì, avvertì il peso delle alghe e quello del fango che preannunciava la riva. «Siamo arrivati.»

La barca si arenò in prossimità del bagnasciuga, proprio di fronte a uno dei cartelli apposti dalla forestale. Su fondo bianco, le grandi lettere nere spiccavano anche con quella poca luce.

Sabbie mobili.

«Credete che siano proprio lì…» mormorò Elena, parlando per la prima volta, nella voce malferma la medesima esitazione che bloccò tutti dov’erano per un lungo minuto.

Poi Lisa si alzò, baldanzosa, facendo ondeggiare la barca. «Che razza di fifoni» li derise.

Prima che qualcuno ritrovasse il fiato per protestare, e prima di rifletterci troppo, scavalcò il parapetto e si calò in acqua, affondando fino alle cosce. Era gelida come il ghiaccio, ferma come olio. Fece qualche passo di prova sul fondale molle e scivoloso, il cuore che saliva in gola ogni volta che la suola affondava nel fango.

Ma nessuna presa mortale le imprigionò i piedi. Nessuna mano fantasma le avvolse le caviglie, solo la carezza delle alghe. Alzò la testa con un sospiro, e quasi le venne da ridere di fronte alle espressioni terrorizzate degli amici.

«Qui non c’è niente» annunciò con forzata allegria. Afferrò la cima legata a prua per assicurare la barchetta. «Muoviamoci.»

Il tempo correva: il biancore della sabbia baluginava sotto il cielo che andava schiarendosi, dietro le montagne iniziava già a tingersi d’oro. Se volevano tornare prima che gli adulti si accorgessero della loro assenza, dovevano sbrigarsi.

Eppure, nell’attimo in cui misero piede sull’isola, il tempo perse importanza. Così come il movimento, i suoni, l’aria stessa che si respirava parvero fermarsi: erano come sospesi in una bolla invisibile.

«Ora possiamo tornare?» insistette Rosa.

Maria non si girò nemmeno, lo sguardo rivolto, come quello di tutti gli altri, sulle fronde immobili degli alberi.

«Sembrano finti» mormorò Elena.

«Sembrano morti» la corresse Matteo.

«Non sono morti» disse Lisa, mettendosi in spalla lo zainetto. «Non vedete che sono pieni di foglie?» Alla luce del giorno l’isola brillava di un verde intenso, rigogliosa e selvaggia. In quel momento però non c’era colore, quasi fosse in bianco e nero.

«Andiamo.» Maria, spazientita, si avviò verso gli alberi.

Matteo esitò. Incontrò lo sguardo di Lisa, che fece spallucce e si voltò per seguire Maria.

«Non voglio venire» si lamentò Rosa con voce acuta, arretrando nervosamente. «Non voglio venire. È buio là dentro.»

Seppur malvolentieri, Elena si mosse per seguire le amiche. «Andiamo» disse a Matteo, facendo segno di muoversi.

Rosa sollevò le braccia, come a proteggersi, e scosse con forza la testa.

«Maria? Tua sorella non vuole venire» chiamò Matteo.

«Lasciatela lì» si levò la secca risposta. «La troverà la strega.»

«Andiamo! Andiamo!» gli ripeté con urgenza Elena, lanciando occhiate alle amiche che si allontanavano in mezzo agli alberi.

In quel momento i primi raggi di sole superarono l’ostacolo della montagna attraversando la valle, e illuminarono le vette opposte.

«Guarda, Rosa, il sole» disse Matteo alla bambina, indicando il cielo tinto di arancio. Rosa alzò lentamente lo sguardo, il visetto immobile. «Vieni, non avere paura, tra un attimo il buio sarà scomparso.»

Ma il buio pareva non volere abbandonare la presa, neppure mentre la luce si riversava sulla valle e sul lago; rimase aggrappato a ogni ombra e a ogni ramo contorto di quello strano sottobosco, non così fitto, come faceva credere dall’esterno, ma più esteso di quanto sembrasse possibile… quasi che, oltre allo scorrere del tempo, anche le distanze e le dimensioni ne risultassero alterate.

«E se ci perdiamo?» chiese Elena, lanciandosi un’occhiata alle spalle. «Sembra tutto così uguale.» E così grande, pensò.

«Perderci su un’isoletta! Ma ti senti?» La risatina di Maria suonò beffarda, ma non contribuì a placare i dubbi.

In realtà, Maria aveva ragione, e lo sapevano tutti. Eppure, per qualche strana ragione, la logica non pareva più così affidabile.

Camminavano in fila indiana da qualche minuto, in mezzo a ogni sorta di bassa vegetazione, quando Lisa, che era passata in testa, si fermò. Un attimo dopo si voltò verso di loro. «La sentite questa musica?»

Si immobilizzarono tutti, ad ascoltare.

«Non è musica» disse Matteo, che aveva scelto di stare in fondo alla fila.

«Sembra uno di quegli scaccia-spiriti…» mormorò Elena, alzando gli occhi alle fronde. «Sapete, quelli che si appendono agli alberi e che il vento fa oscillare e suonare.»

«Però non c’è vento.»

Come in risposta, un refolo si levò al livello del suolo e corse verso di loro, sollevando terriccio, foglie cadute e sabbia. Li travolse, facendoli scappare e sparpagliare da una parte all’altra.

«Cos’era?» strillò Elena quando il soffio calò, altrettanto improvvisamente, lasciando l’aria satura di polvere.

Lisa uscì da dietro un tronco e indicò il terreno spazzato dal vento. «Un sentiero» mormorò turbata. «Guardate! Ha liberato un sentiero…»

Un solco si snodava tra l’erba, come se qualcuno ci avesse camminato in mezzo, pestandola sotto le scarpe.

«Ascoltate!» esclamò Maria. Fece qualche passo in direzione del sentiero. «Viene da quella parte. La sentite?»

«Voglio andare a casa» ricominciò a cantilenare Rosa, spostando agitata il peso da un piedino all’altro. «Voglio andare a casa. Voglio andare a casa.»

«Forse è meglio che torniamo indietro» disse Matteo.

Maria però aveva già ripreso a camminare veloce, senza nemmeno preoccuparsi che gli altri la seguissero. Lisa le corse dietro e la fermò stringendole una spalla. «Dove vai? Dobbiamo stare uniti!» le intimò, ma l’altra si voltò spingendola con inaspettata violenza.

«Lasciami!» le ringhiò, gli occhi socchiusi. «Devi essere sempre tu quella che sta davanti, quella che decide?»

Un istante di stupore, poi Lisa la spinse a sua volta, facendole perdere l’equilibrio e cadere a terra. «È stata mia l’idea di venire qui!» le gridò in risposta. «Sono stata io a ideare il piano!»

«Poi però non volevi più venirci!» l’accusò Maria, rimettendosi in piedi.

«Certo!» replicò Lisa. «Tu ti sei portata dietro tua sorella, che sta morendo di paura!»

«Si era svegliata! Cosa dovevo fare secondo te, genio? Avrebbe svegliato mio padre!» Gli occhi castani di Maria brillarono di una strana luce, quando si voltò a guardarli tutti. «Tornate indietro, lagne che non siete altro. Io non me ne vado finché non ho trovato…» si interruppe, come se si fosse resa conto di non sapere cosa cercasse.

Matteo fece un passo avanti, pallido. «Cos’è che devi trovare, Maria?» le chiese, mantenendo la voce calma.

La ragazzina scosse il capo. Fece un passo indietro, confusa, poi un altro. «Ma non la sentite, la musica? Non sentite? C’è qualcosa… Non volete scoprire cos’è?»

Elena si voltò verso Matteo; sul suo viso pieno di lentiggini c’era paura, ma anche voglia di proseguire. «Io la sento…»

«Anch’io» assentì Lisa.

«Forse qualcuno è stato qui e ha appeso agli alberi degli scaccia-spiriti» sussurrò Elena, e ridacchiò divertita al pensiero. «Per scacciare la strega.»

L’oltraggiosa battuta li zittì, ma nessun fulmine cadde dal cielo; la tensione si allentò, e dopo un momento si ritrovarono tutti a ridere. Tutti tranne Rosa, che li fissava muta.

«Stavamo solo scherzando» le disse Matteo.

«Allora andiamo?» insistette Maria con impazienza. Per lei non era uno scherzo, ma non lo disse. Voleva proseguire, trovare la musica, trovare…

«Okay» tagliò corto Lisa. «Facciamo un giro veloce e poi torniamo alla barca.»

Già, ma la barca dov’era?

Lisa gettò un’occhiata nella direzione da cui erano venuti; le sembrava impossibile ritrovare esattamente la strada che avevano fatto, ma a questo avrebbe pensato dopo. Era un’isola, dopotutto: bastava continuare a camminare finché non fossero arrivati all’acqua.

Se lo trovarono di fronte all’improvviso…

A. E. Pavani, vive nello splendido scenario della Valpolicella, in provincia di Verona. Ama la natura e gli animali, ha un cavallo, un cane e due gatti, tutti salvati e adottati. Appassionata di pittura, nel tempo libero dipinge e realizza quadri e trompe-l’oeil con soggetti ispirati ai paesaggi che la circondano e al mare, che ama sin da bambina. È autrice di romanzi d’avventura, pubblicati sotto pseudonimo. Voci nella nebbia è il suo romanzo d’esordio con la Narrativa Italiana Mondadori.

Buona lettura!
Jenny

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito i seguenti corsi di formazione: "Lettura e benessere personale come rimedio dell'anima" " Avvicinare i bambini alla lettura con i racconti di Gianni Rodari"