“Un giorno d’estate” di Shari Low

È una bella, luminosa giornata d’estate, e la vita di tre persone sta per cambiare per sempre. Agnetha McMaster, dopo aver trascorso quasi tutta la vita a prendersi cura degli altri, ha finalmente deciso di occuparsi di sé stessa. È il suo momento. Ma troverà davvero il coraggio per ricominciare? Mitchell McMaster, dieci anni fa, ha divorziato da Agnetha e ha sposato la sua migliore amica, Celeste. Ora sospetta che la sua seconda moglie abbia una relazione. Che sia arrivato il giorno in cui il karma ha deciso di presentargli il conto? Grazie a un test del DNA, Hope McTeer sta finalmente per incontrare il suo padre biologico. Ha aspettato con ansia questo momento ma adesso è assalita dai dubbi. Come sarà l’uomo che si troverà davanti? Le piacerà? E, soprattutto, sarà pronta ad affrontare le risposte alle domande che la tormentano da una vita? Tre personaggi, ventiquattro ore per dare una svolta cruciale al destino.

Questa storia si svolge in una sola giornata, il 30 maggio 2020, ma è stata scritta molto tempo prima. Descrive un mondo che oggi stentiamo a riconoscere. Nelle pagine che seguono non sentirai parlare di pandemia o lockdown, né troverai espressioni ormai familiari come “distanziamento sociale”.

Durante la lettura, ti prego di astrarti dalla realtà e di ricordare un tempo in cui potevamo riunirci per un pranzo in famiglia, andare a prendere gli amici all’aeroporto e abbracciare i nostri cari.

Quei giorni torneranno.

Nell’attesa, voglio dedicare questo libro a tutti coloro che hanno continuato a lavorare per permettere alle nostre vite di andare avanti: i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari; gli insegnanti e tutto il personale scolastico; i commessi, i corrieri, chi assiste gli anziani e le persone fragili, le forze dell’ordine, gli impiegati delle poste, i netturbini, i pompieri, gli autisti dei mezzi pubblici, i volontari e tutte le altre preziose ruote dell’ingranaggio.

Siete davvero fantastici.

Grazie.

C’ erano una volta…

Agnetha McMaster (Sanders da nubile), 45 anni: proprietaria del Ginger Sponge, una caffetteria nel quartiere di Merchant City a Glasgow. Divorziata e madre di due gemelle, Isla e Skye.

Skye McMaster, 20 anni: ambiziosa e determinata, studia Giurisprudenza all’Università di Glasgow.

Isla McMaster, 20 anni: lavora con la madre al Ginger Sponge, nell’attesa di capire cosa vuole fare nella vita.

Mitchell McMaster, 46 anni: ex marito di Agnetha, avvocato. La sua capacità di negoziazione si rivela utile per gestire le figlie dopo la separazione.

Celeste Morrow in McMaster, 45 anni: seconda moglie di Mitchell e matrigna delle gemelle. Organizzatrice di eventi di successo, in passato è stata l’amica del cuore di Agnetha.

Yvie Danton, 31 anni: amica e confidente di Agnetha. Lavora come infermiera nel reparto di geriatria dell’ospedale di Glasgow ed è la fondatrice del Club del mercoledì, un gruppo di sostegno al lutto.

Val Murray, 60 anni circa (si rifiuta di confermare): amica di Agnetha. Membro del Club del mercoledì, prende sotto la sua ala ogni nuovo arrivato con la sua socievolezza e umanità.

Will Hamilton, 48 anni: un padre che ha subìto la perdita del figlio. Unito ad Agnetha dal lutto e dal dolore, negli ultimi tempi le sta dando una ragione per tornare a sorridere.

Hope McTeer, 22 anni: una figlia adottiva che ha deciso di cercare i propri genitori biologici. È al quarto anno della laurea in Medicina e sogna di diventare una dottoressa. Di notte lavora come assistente sanitaria all’ospedale di Glasgow.

Maisie McTeer, 24 anni: sorella adottiva di Hope, incline al melodramma, attrice saltuaria.

Dora McTeer, 56 anni: madre adottiva di Hope e Maisie, insegnante d’inglese, sempre pronta a offrire sostegno e parole sagge.

Aaron Ward, 48 anni: divorziato, padre di due figli. Nel lontano 1997 ha avuto una appassionata storia estiva con Agnetha a Los Angeles.

Zac Stone, 48 anni: migliore amico di Aaron e suo coinquilino nel 1997. Nello stesso periodo, ha avuto un’avventura con Celeste.

I restanti membri del Club del mercoledì:

Marge e Myra (sorelle ultrasettantenni), Jonathan e Colin: sopravvissuti a un lutto, si riuniscono ogni settimana per sostenersi a vicenda mentre affrontano la perdita dei propri cari.

Prologo

La ricordo molto bene.

Ho una sua immagine chiara nella mente: in piedi sulla terrazza panoramica dell’Empire State Building a New York. Aveva circa ventun anni, faceva freddo, eppure se ne stava lì a braccia spalancate, incurante del vento gelido che le scompigliava i lunghi capelli rossi e le irritava gli occhi. Sprizzava gioia intensa da tutti i pori, il suo sorriso ampio e impossibile da reprimere. Come se non dovesse svanire mai.

Altro ricordo. Forse un anno dopo. Su un freddo molo scozzese alle prime ore del mattino con un uomo di cui era follemente innamorata. Era il terzo amore della sua vita, diceva. O forse il quarto? Con i suoi amici scherzava sempre che la sua vita sentimentale era una costante ripetizione di salti mortali. Era precipitata nell’abisso da un’altezza vertiginosa ma, come nel bungee jumping, era tornata di nuovo su a gran velocità, un giorno, una settimana, un mese dopo lasciandosi alle spalle più di un colpo di frusta.

Altro flashback, l’estate seguente. Su una spiaggia a Malibu, a guardare i surfisti all’alba mentre tracciava linee sulla sabbia con la punta del piede. La vacanza era a carico di una carta di credito nuova di zecca che avrebbe sforato il limite di spesa massimo, ma non ci aveva pensato un attimo. Tutto ciò che importava era il momento. Quell’esperienza. La vita va vissuta. Era il suo mantra. Un cliché, forse, ma era così: la vita va vissuta.

Lungo la strada aveva incontrato lui. L’uomo che le aveva fatto dimenticare tutti gli altri. Stordita d’amore e ottimismo, aveva detto sì al sogno del “per sempre felici e contenti”, pronta ad avanzare leggiadra lungo la navata con lui. Ma non ci erano arrivati. La vita l’aveva portata su un’altra strada e tra le braccia di qualcun altro.

Solo una deviazione. Un intermezzo.

Eppure, avrebbe ballato, avrebbe buttato giù shot sbattendo il bicchiere sul bancone, avrebbe dato il via a una festa in una stanza vuota e guardato la gente affollarsi per unirsi al divertimento.

Avrebbe parlato, sostenuto che non c’erano limiti a quanto grandiosa poteva essere la sua vita, ed erano così intensi il suo entusiasmo e la sua sicurezza che non si poteva non crederle.

A ventitré anni pensava che niente mai avrebbe potuto fermarla, convinta di essere indistruttibile, di poter ottenere, con la volontà, qualsiasi risultato.

Sarà stata l’ingenuità della gioventù, ma la tempesta perfetta non l’aveva proprio vista arrivare.

Matrimonio. Figli. Genitori ammalati. Un tradimento sconvolgente. Una catena di eventi avevano dirottato il suo mondo, cambiandola al punto che la persona che era stata un tempo ormai non esisteva più.

Già, la vita va vissuta, avrebbe detto.

Fin quando non si era ritrovata come una sopravvissuta in battaglia, ad accantonare la propria vita e limitarsi ad affrontare i giorni a venire.

Ricordo molto chiaramente quella donna giovane e spensierata.

Perché ero io.

8:00 – 10:00

1

Agnetha McMaster

Assomigliava alla sirena che nei film catastrofici annunciava l’arrivo imminente di un tornado. Agnetha McMaster – “Aggs” per gli amici – schiacciò il tasto del telefono per zittire la sveglia che stava ululando a qualche decina di centimetri dal suo orecchio. Per fortuna non c’era una tromba d’aria in avvicinamento. E per fortuna, la tazza che precipitò dalla cassettiera grigia accanto al letto era vuota. Non sarebbe stata la prima volta che, appena sveglia, faceva volare i residui di tè per tutta la stanza, perciò la sera precedente si era assicurata di bere fino all’ultima goccia prima di spegnere Grey’s Anatomy, accoccolarsi sotto le coperte e addormentarsi da sola.

Si alzò a sedere e stirò le braccia aggrappandosi alla testiera rivestita di velluto color argento. L’idea di rinnovare la camera era stata delle sue figlie, le gemelle Skye e Isla. Avevano passato tutto il fine settimana precedente a carteggiare e imbiancare. Erano anche andate da Dunelm in cerca di mobilio e accessori nuovi per rimpiazzare gli arredi risalenti agli anni dell’adolescenza di Aggs. Erano tornate a casa con un soffice piumone bianco, un plaid a quadri rosa e grigi e un certo numero di cuscini assortiti con cui Aggs non sapeva esattamente cosa fare. Ma andava bene così. L’importante era che finalmente avesse ceduto alle richieste delle gemelle, le quali insistevano che si dovesse togliere qualche sfizio, e che a  distanza di dieci anni dalla vendita della casa e dal trasferimento nell’appartamento dei suoi genitori, sopra la caffetteria di famiglia, nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, quella stanza non dovesse sembrare più la camera di una ragazzina. Allo stesso tempo, lì si sentiva a casa; vi aveva vissuto per la maggior parte della sua vita. Era cresciuta in quell’appartamento, con i suoi genitori nella stanza accanto e i nonni nella camera in fondo al corridoio. Se n’era andata quando si era sposata e, dopo il divorzio, era tornata a viverci con le figlie, trovando conforto nei profumi che giungevano dalla caffetteria al piano terra, appartenuta ai genitori e ancora prima ai nonni.

Inforcò gli occhiali, legò la folta, lunga chioma di capelli rossi e prese il telefono. Sorrise, notando che Skye aveva già inviato una gif sul loro gruppo WhatsApp per farle gli auguri di buon compleanno.

Controllò l’ora: erano le otto. In quel momento il Ginger Sponge stava aprendo i battenti, ma Isla le aveva vietato di scendere prima di mezzogiorno. Era la prima mattinata tranquilla che Aggs si prendeva da anni e aveva intenzione di sfruttarla al massimo… almeno fino alle otto e mezzo, quando con ogni probabilità il senso di colpa avrebbe avuto la meglio e, con una scusa, sarebbe scesa di sotto e si sarebbe messa a lavorare. Chi sceglieva di fare quel mestiere non poteva concedersi il lusso di dormire fino a tardi. Soprattutto Aggs.

La porta della camera si spalancò e spuntò sua figlia con un vassoio colmo nelle mani.

«Non pensarci neanche», esclamò Isla. Aveva già indosso la divisa da lavoro estiva, che consisteva in una canottiera nera, jeans tagliati sopra alle caviglie e un paio di Vans nere.

Il volto di Aggs assunse un’espressione innocente. «A cosa non dovrei pensare? A Brad Pitt su una sdraio, vestito solo di un velo di crema solare e un sorriso?»

«No, e poi ti sembrano cose da dire? Una madre, alla tua età, non può avere fantasie sessuali. Sono sicura che esista una legge che lo vieta». Isla fece una smorfia e posò il vassoio sulla metà libera del letto nuovo di Aggs. Conteneva un’enorme tazza di caffè, due fette di pane ai semi di zucca tostato e una sfoglia dorata alle mele che, Aggs lo sapeva, era stata sfornata cinque minuti prima.

«E va bene. In questo caso non ti racconterò quello che farei a Matt Damon se potessi rinchiuderlo nel ripostiglio. A cosa non dovrei pensare?».

Isla, dopo aver finto di vomitare, scoppiò a ridere. «Non pensare di alzarti e venire di sotto».

«Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello». La prima, palese bugia della giornata fu accolta con un sorrisetto scettico dalla figlia, che mise le mani sui fianchi e inarcò le sopracciglia. Aggs mollò subito. «Oddio, sarei una pessima spia. Basta un’occhiata diffidente e crollo come un castello di carte. E va bene, stavo pensando di venire giù. Ma solo perché non voglio lasciarti da sola a servire tutti quei clienti».

«Non sono da sola. Ci sono Val e Yvie con me. Sono venute a darmi una mano perché sapevano che in caso contrario non saresti mai riuscita a rilassarti. Val ha detto che se ti vede spuntare prima di mezzogiorno chiude la caffetteria e mette un cartello alla porta con su scritto che siamo infestati dai topi».

Nonostante la minaccia non andasse sottovalutata, Aggs scoppiò a ridere immaginando le sue due amiche intente a prendere gli ordini e a servire i clienti. Si sarebbe guardata bene dal mettere alla prova la sincerità delle intenzioni di Val.

Isla salì sul letto, mise dietro all’orecchio una ciocca di capelli dello stesso colore di quelli della madre, si sporse e la abbracciò. «Buon compleanno, mamma. Stai bene? Ti manca la nonna?».

Aggs non rispose subito, prima deglutì per mandare giù il nodo che le chiudeva la gola. L’anno precedente sua madre era ancora con loro, sebbene si trovasse già nella fase terminale della malattia. Adesso, il dolore di vederla soffrire era stato sostituito dal dolore di averla persa. La mamma, però, sarebbe stata la prima a dirle: “Fatti coraggio e vai avanti, tesoro!”.

foto presa dal web

Shari Low è autrice di oltre venticinque romanzi, pubblicati con successo in tutto il mondo. Vive a Glasgow con il marito, dedicandosi completamente alla scrittura da quando i suoi due figli si sono trasferiti per studiare al college. Per saperne di più: www.sharilow.com.

Per saperne di più https://www.facebook.com/sharilowbooks/

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Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.