“Un fuoco che brucia lento” di Paula Hawkins

Dalla stessa autrice de “La ragazza del treno” l’autrice ritorna in libreria con un nuovo Thriller

Londra, Regent’s Canal. Quando su una casa galleggiante viene ritrovato il corpo senza vita di un giovane uomo, brutalmente assassinato, il cerchio dei sospetti si stringe intorno a tre donne.
Laura: la ragazza con cui Daniel Sutherland, la vittima, ha trascorso l’ultima notte. Ferita nel corpo e nella mente da un trauma violento subito da bambina, è già nota alle autorità come soggetto pericoloso, vive sola e priva di affetti. Miriam: la vicina indiscreta, che ha scoperto il cadavere e dato l’allarme, non senza occultare qualche informazione. Un tempo, qualcuno ha rubato la sua storia e non ha mai pagato per questo.
Carla: la zia di Daniel. Nel suo cuore porta un dolore inconsolabile che la fa diffidare di chiunque: sa che anche le persone buone sono capaci di azioni terribili.
Tre donne che non si conoscono ma sono unite da una caratteristica comune: ognuna ha subito un torto che le ha rovinato la vita. Ognuna cova un risentimento che rischia di esplodere da un momento all’altro, come un fuoco sotto la cenere. E forse per una di loro è giunto il momento di trovare pace.
Perché, innocente o colpevole, ognuno di noi è segnato nel profondo. Ma alcuni lo sono al punto di uccidere.

Con lo stile inconfondibile che ha affascinato milioni di lettori in tutto il mondo, Paula Hawkins, autrice dei bestseller La ragazza del treno e Dentro l’acqua, ci cattura in una rete di inganni, omicidi e vendette. Il suo nuovo romanzo è un giallo travolgente e una storia di profonda umanità, capace di esplorare quei sentimenti che ci consumano dentro come un fuoco lento, fino a distruggere tutto ciò che abbiamo intorno. A meno che non troviamo la forza di domarne le fiamme.

Questo libro è dedicato alla memoria di Liz Hohenadel Scott,
la cui luce ha reso il mondo un posto più accogliente.
Non smetteremo mai di sentire la sua mancanza.

Alcuni nascono per essere avvoltoi,
altri per essere accerchiati.
EMILY SKAJA, My History As

Coperta di sangue, la ragazza barcolla nel buio. Ha i vestiti strappati, le pendono di dosso scoprendo la carne pallida del suo giovane corpo. Ha perso una scarpa, il piede sanguina. È in agonia, ma il dolore fisico adesso è irrilevante, eclissato da altre forme di sofferenza.

Il volto è una maschera di terrore, il cuore batte come un tamburo, il respiro è l’ansimare stremato di una volpe che ha raggiunto di corsa la propria tana.

Il silenzio della notte è interrotto da un ronzio basso. Un aereo? La ragazza si pulisce gli occhi dal sangue, alza lo sguardo verso il cielo e non vede nient’altro che le stelle.

Il ronzio si fa più forte, più cupo. Una macchina che cambia marcia? È arrivata alla strada principale? Il suo cuore ha un sussulto. Dal profondo delle viscere chiama a raccolta 

le energie necessarie per mettersi a correre.

Sente la luce alle sue spalle, più che vederla. Scorge la sua sagoma illuminata nel buio e capisce che l’auto sta arrivando da dietro. Viene dalla fattoria. Si volta.

Capisce, ancor prima di vederlo, che lui l’ha trovata. Capisce, ancor prima di vederlo, che la faccia dietro il volante sarà la sua. Si ferma. Per un attimo esita, poi abbandona la strada e riprende a correre, dentro un fosso, oltre una staccionata di legno. Si lancia nel campo confinante e corre alla cieca, cade e si rialza, senza fare rumore. A cosa servirebbe gridare?

Quando lui la raggiunge, la prende per i capelli, la trascina a terra. La ragazza sente il suo alito su di sé. Sa cosa vuole farle. Sa cosa sta per succedere, perché gliel’ha già visto fare, gliel’ha visto fare alla sua amica, ha visto con quanta violenza lui…

«Per l’amor di Dio» borbottò Irene a voce alta, mentre chiudeva il libro e lo lanciava sulla pila destinata al negozio dell’usato. «Che mucchio di sciocchezze.»

1

La voce di Deidre risuonava nella testa di Laura. Il tuo problema, Laura, è che fai le scelte sbagliate.

Cazzo, hai proprio ragione, Deidre. Una frase che Laura non si sarebbe mai sognata di dirle, che non credeva avrebbe neanche mai pensato, ma adesso, in piedi nel suo bagno, scossa da tremori incontrollabili, con il sangue caldo che usciva a fiotti dal taglio sul braccio, si ritrovava ad ammettere che la Deidre della sua fantasia ci aveva preso in pieno. Si chinò in avanti, appoggiò la fronte allo specchio per evitare di guardarsi negli occhi, ma così vide qualcosa di peggio, il sangue che scorreva via dal suo corpo, e quella vista la mandò in confusione, si sentì sul punto di vomitare. 

Tutto quel sangue. Il taglio era più profondo di quanto avesse creduto, doveva andare al pronto soccorso. Andare al pronto soccorso era fuori discussione.

Scelte sbagliate.

Alla fine, quando l’emorragia sembrò rallentare, Laura si tolse la maglietta e la lasciò cadere a terra, si sfilò i jeans e le mutande, e si liberò del reggiseno, trattenendo il respiro per non gemere quando il gancetto di metallo si scontrò con il taglio. «Fanculo, fanculo, cazzo» sibilò.

Fece scivolare anche il reggiseno sul pavimento, si trascinò fino alla vasca da bagno e aprì la doccia, rabbrividendo sotto il debole getto di acqua bollente (la temperatura passava da caldissima a freddissima, senza vie di mezzo). Fece scorrere i polpastrelli raggrinziti sulle sue candide cicatrici perfette: fianco, coscia, spalla, nuca. Eccomi qui, disse dolcemente tra sé. Eccomi.

Più tardi, con l’avambraccio inutilmente fasciato di strati di carta igienica e il corpo avvolto in un logoro asciugamano, seduta sull’orrendo divano grigio di finta pelle del salotto, Laura telefonò alla madre. Rispose la segreteria, e lei riattaccò. Non valeva la pena sprecare il credito telefonico per lasciare un messaggio. Allora chiamò il padre. «Stai bene, pulcino?» Riusciva a sentire il brusio della radio in sottofondo, BBC 5.

«Papà.» Avvertì un nodo salirle in gola e si affrettò a deglutire.

«Che succede?»

«Papà, puoi venire qui da me? Io… È stata una nottata difficile, mi chiedevo se puoi venire qui da me per un po’. So che è un bel pezzo di strada, ma…»

«No, Philip.» Deidre, nella stanza con lui, sibilava a denti stretti. «Abbiamo il bridge.»

«Papà? Puoi togliere il vivavoce?»

«Tesoro, io…»

«Dico sul serio, puoi togliere il vivavoce? Non voglio sentirla, mi fa venire voglia di dar fuoco a tutto quanto…»

«Dai, Laura…»

«Lascia stare, papà, non importa.»

«Sei sicura?»

No non lo sono non lo sono cazzo. «Sì, certo. Sto bene, andrà tutto bene.»

Mentre si avvicinava alla camera da letto, inciampò nella giacca che aveva buttato a terra precipitandosi in bagno. Si chinò per raccoglierla. La manica era strappata, nella tasca c’era ancora l’orologio di Daniel. Lo prese e se lo infilò al polso. La carta igienica era diventata rossa, sentiva il braccio pulsare mentre continuava a perdere sangue. Le girava la testa. In bagno, gettò l’orologio nel lavandino, strappò via la carta igienica e fece scivolare l’asciugamano sul pavimento. Tornò sotto la doccia.

Con un paio di forbicine grattò sotto le unghie e guardò l’acqua rosata scorrere ai suoi piedi. Chiuse gli occhi. Sentiva la voce di Daniel che le chiedeva: Che cos’hai che non va? Poi quella di Deidre: No, Philip, abbiamo il bridge. Infine la sua. Dar fuoco a tutto quanto. Dar fuoco. Dar fuoco dar fuoco dar fuoco.

2

A domeniche alterne, Miriam svuotava il wc. Doveva estrarre la cassetta (sempre sorprendentemente, sgradevolmente pesante) dal piccolo bagno sul retro della barca, attraversare la cabina e uscire sull’alzaia, poi da lì camminare per altri cinquanta metri fino ai bagni pubblici, dove poteva rovesciare i rifiuti e sciacquare gli eventuali residui dalla cassetta. Era una delle parti meno idilliache della vita su una casa galleggiante, e lei preferiva occuparsene di mattina presto, quando non c’era nessuno in giro. Era svilente portare a spasso la propria merda in mezzo a sconosciuti, runner, gente a spasso col cane.

Era sul ponte di poppa, controllava che la strada fosse libera, che non ci fossero ostacoli sulla via, biciclette o bottiglie (la gente era davvero poco attenta alle regole del vivere comune, soprattutto il sabato sera). Era un luminoso mattino di marzo, ancora piuttosto freddo sebbene i germogli bianchi sui rami lucenti dei platani e delle betulle preannunciassero la primavera.

Faceva freddo, eppure le porte della cabina della barca vicina alla sua erano aperte, come la sera precedente. Strano. E il fatto è che lei aveva bisogno di parlarci, con il ragazzo che stava lì, a proposito del suo soggiorno un po’ troppo prolungato. Era ormeggiato in quel posto da sedici giorni, due in più di quanto gli fosse consentito, e Miriam aveva intenzione di chiedergli di spostarsi, anche se non era compito suo, né una sua responsabilità. Lei, però, a differenza della maggior parte degli altri, era una presenza fissa da quelle parti, il che le infondeva un particolare senso civico.

In ogni caso, fu quello che riferì al detective Barker, in seguito, quando le chiese: «Cosa ha attirato la sua attenzione?». Era seduto davanti a lei, con le ginocchia che sfioravano le sue e le spalle curve, piegate in avanti. Una barca di quel tipo non era 

il massimo per una persona alta, e lui era altissimo, con una testa rotonda stile palla da biliardo e sul volto un’espressione crucciata, come se quel giorno avesse avuto in programma di fare altro, qualcosa di divertente, tipo portare i figli al parco, e invece adesso era lì con lei e no, non ne era affatto contento.

«Ha toccato qualcosa?» domandò.

Lo aveva fatto? Aveva toccato qualcosa? Miriam chiuse gli occhi. Rivide se stessa bussare con decisione alla finestra della barca bianca e azzurra, aspettando una reazione: una voce, oppure una tenda spostata. E poi chinarsi, non avendo ottenuto risposta, per sbirciare nella cabina, un tentativo reso vano dalla tendina a rete e da una spessa patina forse decennale di sporcizia portata dalla città e dal fiume. Aveva bussato di nuovo, quindi, dopo qualche istante, era salita sul ponte di poppa, gridando: «Ehi, c’è nessuno?».

Rivide se stessa aprire la porta della cabina con cautela, sentendo, nel mentre, una zaffata di qualcosa, un odore di ferro, di carne, che metteva appetito. «Ehi?»

Aveva spalancato la porta e sceso i due gradini che portavano alla cabina. Il saluto le si era strozzato in gola quando aveva visto la scena: il ragazzo – non proprio un ragazzo, forse più un giovane uomo – sdraiato a terra, sangue dappertutto, un sorriso inciso nella sua gola.

Rivide se stessa barcollare, portarsi la mano alla bocca, lanciarsi in avanti, per un lungo e confuso momento, poi allungare il braccio e aggrapparsi al tavolo con la mano. Oh, mio Dio.

«Ho toccato il tavolo» rispose al detective. «Mi sembra di essermi appoggiata al tavolo, proprio lì, sul lato sinistro. L’ho visto e ho pensato che… be’, ecco… mi è venuto da vomitare.» Arrossì. «Però non ho vomitato, non subito. Fuori… mi spiace, io…»

«Non si preoccupi» replicò Barker, guardandola negli occhi. «Non c’è nulla di cui preoccuparsi. E dopo cos’ha fatto? Ha visto il cadavere, si è appoggiata al tavolo, e…?»

Era stata travolta dall’odore. Oltre a quello del sangue, di tutto quel sangue, ce n’era un altro, più vecchio, dolce e sgradevole, come un profumo di gigli lasciati troppo a lungo in un vaso. Quell’odore e il suo sguardo, impossibile da evitare, il bel viso privo di vita, gli occhi vitrei incorniciati da lunghe ciglia, le labbra carnose che scoprivano denti bianchi e regolari. Busto, mani e braccia sporchi di sangue, la punta delle dita piegate contro il pavimento. Come se avesse cercato di aggrapparvisi. Quando si era voltata per andarsene, il suo sguardo si era imbattuto in qualcosa per terra, qualcosa di fuori posto: un luccichio d’argento impantanato nel sangue scuro e denso.

Era uscita dalla cabina inciampando nei gradini, si era riempita i polmoni di aria, ansimando. Aveva vomitato sull’alzaia, poi si era pulita la bocca e aveva gridato: «Aiuto! Qualcuno chiami la polizia!». Ma erano appena le sette e mezza di una domenica mattina, non c’era nessuno in giro. L’alzaia era deserta, anche le strade sovrastanti erano vuote, non si sentivano rumori tranne la vibrazione di un generatore e lo schiamazzo delle gallinelle d’acqua che scivolavano via senza farsi notare. Aveva guardato in alto, verso il ponte che scavalcava il canale, e le era parso di vedere qualcuno, solo per un attimo, poi era sparito e lei era rimasta sola, stretta da una paura paralizzante.

«Me ne sono andata,» raccontò al detective «sono uscita da lì e… ho chiamato la polizia. Ho vomitato, poi sono corsa alla mia barca e ho chiamato la polizia.»

«Okay, okay.»

Quando Miriam lo guardò, il detective stava osservando la stanza, la cabina pulita e in ordine, i libri sopra il lavandino (Ricette facili e veloci, La nuova cucina vegetariana), le erbe aromatiche sul davanzale, il basilico e il coriandolo nelle vaschette di plastica, il rosmarino messo a seccare nel vaso smaltato azzurro. Lanciò un’occhiata alla libreria piena di tascabili, allo spatifillo polveroso sopra lo scaffale, alla fotografia incorniciata di una coppia sorridente insieme alla figlia corpulenta. «Vive qui da sola?» le chiese, ma non era propriamente una domanda. Lei sapeva che cosa gli passava per la testa: una vecchia zitella grassa, che abbraccia gli alberi, si fa lo yogurt in casa e spia da dietro le tende. Una che ficca il naso negli affari di tutti. Miriam sapeva cosa vedeva la gente, quando la guardava.

«Lei… ha rapporti con i suoi… vicini? Si possono definire vicini? Forse no, visto che stanno qui per un paio di settimane al massimo?»

Miriam si strinse nelle spalle. «Alcuni vanno e vengono con regolarità, hanno un posto preferito, tratti del canale che percorrono abitualmente, quindi alla fine ci si conosce. Sempre che uno ne abbia voglia. Si può anche decidere di starsene per conto proprio, che è quello che faccio io.»

Il detective non replicò, la guardava inespressivo. Miriam capì che stava cercando di farsi un’opinione su di lei, non la prendeva alla lettera, non credeva necessariamente a tutto quello che gli stava raccontando.

foto presa dal web

Paula Hawkins, è nata in Zimbabwe e vive a Londra, dove ha lavorato come giornalista per quindici anni prima di dedicarsi alla scrittura di romanzi. È autrice dei bestseller La ragazza del treno e Dentro l’acqua, che hanno venduto 27 milioni di copie in oltre 50 Paesi, di cui più di un milione solo in Italia, conquistando i vertici delle classifiche mondiali. Da La ragazza del treno è stato tratto l’omonimo film campione d’incassi con Emily Blunt.

paulahawkinsbooks.com

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Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.