“Se i gatti scomparissero dal mondo” di Kawamura Genki edito da Einaudi. (Estratto)

Buongiorno amici, un libro bellissimo che ci fa riflettere sull’importanza della  vita e sulle cose piu’ importanti che abbiamo…
Una storia delicata.

Il suo primo libro fu un enorme successo letterario in Giappone nel 2012, tant’è che ne hanno tratto anche un film. Einaudi lo pubblica in Italia nel 2019 con il titolo Se i gatti scomparissero dal mondo.

 

Se i gatti scomparissero dal mondo
Autore: Kawamura Genki
Casa editrice: Einaudi
Data di pubblicazione: 11 Giugno 2019
Pagine: 184

Trama

Con la delicatezza di Sepúlveda e il gusto per il fantastico di Murakami, Kawamura Genki ha scritto una fiaba moderna per ricordarci quali sono le cose davvero importanti.

«Una storia commovente e toccante sull’affrontare la propria mortalità, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e decidere cosa vale veramente». – The Herald

«Un romanzo emozionante e originale sulla vita, l’amore, i legami familiari e ciò che lasciamo quando ce ne andiamo». – The Observer

«Si legge in poche ore, ma resterà con voi per sempre». – My Weekly

Cosa sei disposto a dare al Diavolo per poter vivere un giorno in piú? Attento: ciò che il Diavolo sceglierà di prendersi sparirà dal mondo, per tutti.

Di lavoro fa il postino, mette in comunicazione le persone consegnando ogni giorno decine di lettere, ma il protagonista della nostra storia non ha nessuno con cui comunicare. La sua unica compagnia è un gatto, Cavolo, con cui divide un piccolo appartamento. I giorni passano pigri e tutti uguali, fin quando quello che sembrava un fastidioso mal di testa si trasforma nell’annuncio di una malattia incurabile. Che fare nella settimana che gli resta da vivere? Riesce a stento a compilare la lista delle dieci cose da provare prima di morire… Non resta nulla da fare, se non disperarsi: ma ecco che ci mette lo zampino il Diavolo in persona. E come ogni diavolo che si rispetti, anche quello della nostra storia propone un patto, anzi un vero affare. Un giorno di piú di vita in cambio di qualcosa. Solo che la cosa che il Diavolo sceglierà scomparirà dal mondo. Rinunciare ai telefonini, ai film, agli orologi? Ma certo, in fondo si può fare a meno di tutto, soprattutto per ventiquattr’ore in piú di vita. Se non fosse che per ogni oggetto c’è un ricordo. E che ogni concessione al Diavolo implica un distacco doloroso e cambia il corso della vita del protagonista e dei suoi cari. Soprattutto quando il Diavolo chiederà di far scomparire dalla faccia della terra loro, i nostri amati gatti. Kawamura Genki ci costringe a pensare a quello che davvero è importante: alle persone che abbiamo accanto, a quello che lasceremo, al mondo che costruiamo intorno a noi. 

 

Estratto

Come cambierebbe il mondo? E come cambierebbe la mia vita?

Se io scomparissi dal mondo, intendo.

Il mondo non cambierebbe di una virgola e tutto andrebbe avanti allo stesso modo, giorno dopo giorno?

Sí, lo so, starai pensando che si tratta di domande assurde e che sto delirando. Ma devi credermi.

Quello che sto per scriverti mi è successo negli ultimi sette giorni. Davvero.

Sette giorni a dir poco pazzeschi.

Ah, dimenticavo: tra non molto morirò.

Quindi, come e perché siamo arrivati a questo punto?

È proprio quello che sto per raccontarti.

Sarà una lettera molto lunga, ti avverto.

Però vorrei che mi seguissi fino alla fine.

Anche perché questa è la prima e l’ultima volta che ti scrivo una lettera.

Sarà il mio testamento.

 

Lunedí

Il Diavolo fa la sua comparsa

I miei ultimi desideri non arrivavano nemmeno a dieci.

In un film che ho visto tempo fa, la protagonista in punto di morte scriveva la lista delle dieci cose che avrebbe voluto fare prima di lasciare questo mondo. Che stupidaggine!

E va bene, magari non sarà una stupidaggine, ma un elenco compilato in fretta e furia non può contenere chissà quali grandi desideri.

Come lo so?

Ecco… la verità è che ci ho provato anch’io. Ho provato a elencare le mie dieci cose da fare prima di morire ed è stato a dir poco imbarazzante.

Tutto è iniziato sette giorni fa.

Un brutto raffreddore non mi dava tregua, ma ho continuato a svolgere il mio lavoro di postino e a recapitare la corrispondenza ogni giorno nonostante qualche linea di febbre e un dolore lancinante al lato destro della testa. Sulle prime ero riuscito ad alleviare i sintomi con farmaci da banco (come ben sai, odio i medici), ma dopo due settimane ho finalmente deciso di farmi visitare.

Cosí ho scoperto che non era un raffreddore.

Era un tumore al cervello, di quarto grado.

Dopo aver esposto la sua diagnosi, il medico ha aggiunto che mi restavano sí e no sei mesi di vita. Nella peggiore delle ipotesi, una settimana. Quindi mi ha illustrato le varie opzioni, tra cui radioterapia, farmaci anticancerosi e cure palliative. Ma c’era poco da fare, le sue parole non volevano entrarmi in testa, rimbombavano come un’eco lontana.

Da piccolo, durante le vacanze estive, andavo in piscina. Mi tuffavo in quella vasca blu e gelida con uno splash e poi… blo blo blo… il mio corpo affondava. Mamma mi rimproverava dicendo che dovevo fare riscaldamento prima di buttarmi. La sua voce sott’acqua mi arrivava smorzata, confusa, sorda. Avevo completamente dimenticato quel suono, era rimasto nascosto per anni nei meandri della memoria ed è riaffiorato proprio in quel frangente.

Poi quella visita interminabile è finita.

Il dottore non ha fatto in tempo a concludere il discorso che ho agguantato la borsa dal pavimento e sono uscito dallo studio con passo malfermo. Dopodiché mi sono fiondato fuori 

dalla clinica urlando a squarciagola, ignorando le voci del personale medico che cercava di fermarmi. Ho corso a piú non posso, urtando contro i passanti, cadendo, ruzzolando e risollevandomi in piedi per riprendere a correre ancora piú veloce, scapicollandomi fino a raggiungere un ponte dove le gambe hanno ceduto e sono stato costretto a strisciare, il respiro rotto dai singhiozzi…

No, non è vero: se raccontassi una cosa del genere, direi una grandissima bugia.

In circostanze cosí si riesce a mantenere una calma del tutto inaspettata.

Il mio primo pensiero è andato alla tessera del centro benessere vicino a casa – ancora un timbro e avrei ottenuto un massaggio gratuito –, seguito a ruota dal disappunto per aver appena comprato detersivi e carta igienica per un esercito. Ecco cosa mi è balenato per la testa: purissima futilità.

Dieci minuti dopo sono sopraggiunte la malinconia e la tristezza.

In fondo avevo solo trent’anni. Ho vissuto piú a lungo di Jimi Hendrix o Jean-Michel Basquiat, è vero, ma sentivo di avere ancora parecchie cose da fare. Cose che nessun altro a questo mondo avrebbe potuto realizzare all’infuori di me.

Doveva per forza esserci qualcosa che potevo fare solo io, mi sono detto.

Il fatto che non mi venisse in mente nulla è tutto un altro discorso.

 

Lo sguardo assente, ho trascinato le gambe fino alla stazione, dove due giovani stavano cantando con una chitarra acustica.

La vita finirà… aaah. E fino all’ultimooo… oh.

Farai, farai, farai… Tutto quello che vorraaai!

Giorno dopo giorno…

Razza di idioti, dico io, ma un po’ di fantasia? Bravi, bravi, cantate per il resto della vita davanti alla stazione!

Avevo i nervi a fior di pelle, stavo impazzendo. Non avevo la minima idea di come gestire quella situazione cento volte piú grande di me. Al ritorno ho preferito prendermela comoda e camminare con calma, ma quando dopo aver salito le scale facendo un gran fracasso ho aperto la porta di casa e ho visto la stanzetta in cui abitavo, ho accusato il duro colpo della disperazione.

Davanti a me era tutto buio, letteralmente.

E lí sono crollato.

Quando mi sono svegliato ero nell’ingresso.

Chissà quante ore ero rimasto sdraiato per terra. Davanti ai miei occhi, una palla di peli bianchi, neri e grigi si lamentava con dei miao.

Metto bene a fuoco.

È il gatto.

Il mio amato gatto, il batuffolo di peli che da ormai quattro anni vive insieme a me.

Si era avvicinato e seguitava a miagolare, doveva essere preoccupato. Comunque fosse, non ero ancora morto. Mi sono rimesso in piedi, ma tanto per cambiare avevo mal di testa e mi sentivo la febbre: la malattia era piú reale che mai.

All’improvviso ho sentito una voce melodiosa.

– Piacere di conoscerti! – Mi sono voltato di colpo.

E mi sono visto in piedi in mezzo alla stanza. Ovviamente non potevo essere io, perché io ero fermo al mio posto: qualcuno aveva preso le mie sembianze. In quel preciso momento mi sono ricordato del termine DoppelgängerTempo addietro avevo letto in un libro che si riferiva al proprio doppio, l’altro sé che fa la sua comparsa in punto di morte. Le possibilità quindi erano due: o ero andato completamente fuori di testa, o era giunta la mia ora. Sono stato a un passo dal perdere i sensi, ma mi sono fatto forza e ho deciso di prendere di petto quello che mi trovavo davanti.

– E-ehm… Con chi ho il piacere di parlare?

– Secondo te?

– Vediamo… con l’angelo della morte?

– Fuochino…

– Fuochino?

– Io… sono il Diavolo!

– Il Diavolo?

– Sí, in persona.

Ecco come ha fatto la sua comparsa il Diavolo.

Hai mai visto il Diavolo?

Beh, io sí.

A differenza di quel che la gente immagina comunemente, non ha il volto scuro né la coda appuntita. E non è assolutamente armato di forcone.

Assomiglia a noi.

Non era una situazione facile da accettare, capisci bene, ma quello che mi trovavo davanti era un tipo cosí allegro e sorridente che mi ha ispirato simpatia. Decisi di ascoltare quello che aveva da dire, senza farmi troppi problemi.

Dopo averlo osservato con maggiore attenzione ho notato che aveva sí i miei stessi lineamenti e la mia stessa corporatura, ma anche dei gusti nel vestire molto diversi dai miei. 

Fondamentalmente, io vesto solo di bianco e nero. Tipo che sui jeans neri sono capace solo di mettere una camicia bianca e un cardigan nero. Sono un tipo monotono, lo so. Mamma si arrabbiava sostenendo che mi vestivo sempre uguale, ma era piú forte di me, compravo ogni volta le stesse cose. Al contrario, il Diavolo indossava abiti a dir poco vistosi: camicia gialla in perfetto stile hawaiano con disegni di palme e macchine americane, bermuda e tanto di occhiali da sole sulla testa neanche fossimo in piena estate (fuori si gelava).

Proprio mentre stavo per esplodere, il Diavolo ha parlato.

– Allora, che intenzioni hai?

– In che senso?

– Ti rimane poco tempo, giusto?

– Già. Cosí pare.

– Quindi, che vuoi fare?

– Non lo so. Per il momento provo a pensare le dieci cose che vorrei fare prima di lasciare questo mondo.

– … cos’è, vuoi fare come in quel vecchio film?

– Pensavo…

– Vuoi veramente lanciarti in un’impresa tanto stupida?

– Dici di no, eh?

– Vedi tu. In realtà lo fanno in molti, alcuni sono assolutamente convinti che prima di morire devono fare tutto. Hai presente? Ci passano tutti almeno una volta… anche perché non ce n’è una seconda, ah-ah-ah!

Il Diavolo si sbellicava dalle risate al punto da tenersi la pancia con le mani.

– Non fa ridere.

– Hai ragione, scusa. Dài, le cose vanno provate, mettiti subito a stilare la tua lista!

Cosí ho afferrato un foglio bianco e ho cominciato a compilare il mio elenco. Stavo per morire e perdevo tempo in quel modo: che cosa stavo combinando? Mi sentivo triste, sconsolato e anche un po’ stupido. Confusione totale, la penna andava avanti per conto suo. Alla fine, ce l’ho fatta, evitando gli sguardi curiosi del Diavolo che cercava di sbirciare e allontanando il mio amato gatto che, come tutti i gatti dell’universo mondo quando uno deve lavorare, cercava di accucciarsi proprio sul foglio che stavo usando.

  1. Voglio lanciarmi col paracadute da un jet
  2. Voglio scalare l’Everest
  3. Voglio sfrecciare su una Autobahn in Ferrari
  4. Voglio mangiare un intero banchetto come quelli degli imperatori cinesi
  5. Voglio salire su Gundam
    6. Voglio gridare amore dal centro del mondo
    7. 
    Voglio un appuntamento con la Nausicaä di Miyazaki
    8.
    Voglio scontrarmi con una bellissima ragazza che sbuca da dietro l’angolo con una tazza di caffè in mano e ci innamoriamo perdutamente
    9.
    Voglio imbattermi nella ragazza di cui anni fa mi innamorai non corrisposto, mentre entrambi cerchiamo riparo dalla forte pioggia
    10.
    Voglio innamorarmi…– Ma che razza di roba è?– Ehm…– Vai ancora alle medie, fammi capire? Sono in imbarazzo per te!– … scusa.Patetico. E sí che mi ero anche sforzato, ma non avevo prodotto nulla di meglio. Pure il mio amato gatto sembrava vagamente disgustato. Ero sull’orlo della disperazione. Poi però il Diavolo è intervenuto e mi ha dato una pacca sulla spalla: – Forza, cominciamo col paracadutismo. Veloce, preleva tutti i tuoi risparmi che si va in aeroporto!

    Due ore dopo ero su un jet a tremila metri d’altezza.

    Senza perdere l’allegria che lo contraddistingue, il Diavolo mi dà un colpetto dietro la schiena: – Perfetto, è ora! Lanciati, vai!

    E mi sono lanciato.

    Proprio cosí. Era il sogno di una vita: il cielo azzurro che si dispiega davanti ai miei occhi, le nuvole solenni, l’orizzonte infinito. Ero certo che nel momento stesso in cui avrei visto la terra dal cielo, la mia scala di valori si sarebbe ribaltata. Che avrei scordato le cose piú insignificanti e avrei assaporato tutti i piaceri della vita.

    L’aveva detto non ricordo chi. Invece non è affatto andata a quel modo. Ne avevo avuto abbastanza prima ancora di gettarmi nel vuoto. Tanto per cominciare, lassú faceva un freddo cane. Poi l’altitudine era troppo elevata. Insomma: ero terrorizzato. Come si fa a gettarsi nel vuoto per passione? La gente è pazza! E io? Davvero volevo farlo? Questi e altri pensieri nella testa, continuavo a volare verso terra. Finché ancora una volta ho rivisto tutto buio.

    Quando ho ripreso coscienza ero sdraiato nel mio letto. Sentivo dei miagolii molto vicini: a quanto pareva, ero di nuovo stato svegliato dal gatto. Mi sono sollevato, ma in quel momento ho avvertito il solito mal di testa lancinante. Non era stato tutto un sogno…

    – Dammi un attimo di tregua, ti prego! – ho implorato. Accanto a me c’era infatti l’immancabile Aloha (nome con il quale ho deciso di riferirmi al Diavolo a partire da questo 

    momento. E mai soprannome fu piú azzeccato, credimi!)

    – Mi spiace per l’inconveniente.

    – Stavo per rimetterci le penne, accidenti a te! Va bene che devo morire tra poco, però…

    Aloha si è piegato in due dalle risate. Di nuovo io mi sono ammutolito e ho abbracciato forte il mio amato gatto. Com’era caldo e soffice! La tenerezza fatta batuffolo di peli. L’avevo sempre stretto a me in maniera istintiva e senza riflettere, invece in quel momento ho avuto una sorta di illuminazione, era come se avessi preso coscienza di cosa vuol dire davvero essere vivi.

    – … il fatto è che non ho nemmeno una lista decente di cose da fare prima di morire.

    – Ah, no?

    – Anche a impegnarmici, dubito che arriverei a dieci. Qualora ci arrivassi, sarebbero tutte fesserie, poco ma sicuro!

    – Come si dice… cosí è la vita!

    – Senti, posso chiederti una cosa? Tu…

    – … io?

    – Perché sei qui? Cioè, cosa

    – No… cioè, aspetta un secondo.

    Sopraffatto dall’espressione improvvisamente grave di Aloha, ho indugiato. Ho avuto un brutto presentimento. Qualcosa mi diceva che stavo per ficcarmi nei guai.

    – C’è qualcosa che non va? – mi ha domandato.

    Ho fatto un bel respiro e mi sono preparato alla possibile risposta. Va tutto bene, ho pensato, se devo solo ascoltare le sue parole, non ci saranno problemi.

    – No, va tutto bene. Dimmi pure, sono tutto orecchie.

    – A dire il vero… morirai domani.

    – Come?!

    – Morirai domani. Sono venuto qui per dirti questo.

    Al colmo dello stupore, non sono piú riuscito a pronunciare una parola. Un attimo dopo sono piombato nella piú profonda disperazione, le forze mi sono venute meno e le ginocchia hanno cominciato a tremare. Nel vedermi in quello stato, Aloha ha recuperato il buonumore e ha dato seguito al racconto.

    – Non buttarti giú, sto per offrirti una grandissima opportunità!

    – Una grandissima opportunità?

    sei venuto a fare?

    Aloha ha sfoderato un ghigno inquietante.

    – Davvero vuoi saperlo? Va bene, te lo dirò-

    – No… cioè, aspetta un secondo.

    Sopraffatto dall’espressione improvvisamente grave di Aloha, ho indugiato. Ho avuto un brutto presentimento. Qualcosa mi diceva che stavo per ficcarmi nei guai.

    – C’è qualcosa che non va? – mi ha domandato.

    Ho fatto un bel respiro e mi sono preparato alla possibile risposta. Va tutto bene, ho pensato, se devo solo ascoltare le sue parole, non ci saranno problemi.

    – No, va tutto bene. Dimmi pure, sono tutto orecchie.

    – A dire il vero… morirai domani.

    – Come?!

    – Morirai domani. Sono venuto qui per dirti questo.

    Al colmo dello stupore, non sono piú riuscito a pronunciare una parola. Un attimo dopo sono piombato nella piú profonda disperazione, le forze mi sono venute meno e le ginocchia hanno cominciato a tremare. Nel vedermi in quello stato, Aloha ha recuperato il buonumore e ha dato seguito al racconto.

    – Non buttarti giú, sto per offrirti una grandissima opportunità!

    – Una grandissima opportunità?

    – Sii sincero, vuoi davvero morire cosí? Domani?

    – No, voglio vivere! Se posso, è ovvio… – ho risposto, ma Aloha non mi ha lasciato nemmeno il tempo di respirare.

    – Un modo c’è.

    – Un modo?

    – Una sorta di magia, diciamo. Ho la possibilità di allungarti la vita.

    – Sul serio?

    – A una condizione. In altre parole, devi accettare la legge che regola questo mondo.

    – A che cosa ti riferisci?

    – Per ottenere qualcosa, bisogna sacrificarne un’altra.

    – … che cosa dovrei fare?

    – Niente di complicato. Devi solo stringere un patto.

    – Quale?

    – Devi far scomparire qualcosa da questo mondo. In cambio, posso offrirti un ulteriore giorno di vita.

    La sua proposta era ai limiti del credibile. Ero già con un piede nella fossa, ma non potevo essere impazzito fino a quel punto. Partiamo dalle basi, mi sono detto. Chi è costui, 

    con quale autorità mi propone questo patto?

    – Ora ti starai domandando qual è la mia autorità, giusto?

    – Eh? Chi, io? No, io…

    Era davvero il Diavolo? Poteva leggere nel pensiero? Continuavo a domandarmelo.

    – Sí, posso leggere nel pensiero, anche con una certa facilità. Sono il Diavolo, vedi un po’ tu…

    – Mmh…

    – Hai poco tempo, non pensi che sia ora di darmi credito? Il patto è chiaro.

    – Se parli sul serio, allora okay…

    – A quanto pare, stenti ancora a credermi. Permettimi di illustrarti i dettagli, – ha aggiunto, e ha cominciato a illuminarmi sulla proposta.

    – Conosci la Genesi?

    – Il primo libro della Bibbia? Sí, ma non l’ho mai letto.

    – Capito… se l’avessi letta sarebbe tutto piú facile da spiegare, mannaggia.

    – Scusa.

    – Te la faccio breve: Dio crea la Terra in sette giorni.

    – Sí, questo l’ho sentito dire.

     

    – In principio la Terra era buia. Il primo giorno Dio ha creato la luce e ha separato il giorno e la notte. Il secondo ha creato il firmamento e il terzo ha diviso la terra dalle acque. Voilà! In questo modo sono nati i mari e sono germogliate le piante e i fiori.

    – Un’opera magnifica, non c’è che dire.

    – Assolutamente d’accordo. Poi il quarto giorno ha creato il sole, la luna e le stelle e ha dato origine all’universo. Il quinto ha creato i pesci e gli uccelli, il sesto gli animali. In ultimo ha creato l’uomo, facendolo a sua immagine e somiglianza. Ta-daan: l’essere umano entra in scena!

    – Prima il cielo e la terra, poi l’universo e infine l’uomo. Ci sono, mi ricordo. E il settimo giorno?

    – Si è riposato! Anche Dio ha bisogno di un giorno di pausa, cosa credi?

    – La domenica, giusto?

    – Risposta esatta. Non lo trovi fantastico? Ha fatto tutto in sette giorni, accidenti! Lui sí che sa come si fa, ha tutto il mio rispetto!

    Avevo la vaga impressione che sotto ci fosse un sentimento assai diverso dal semplice rispetto, ma ho preferito autocensurarmi e tacere. Volevo piú che altro ascoltare il seguito.

    – Il primo essere umano creato da Dio si chiamava Adamo. Era un uomo, e per non 

    farlo sentire troppo solo Dio ha creato una donna di nome Eva a partire da una sua costola. Poi quei due hanno iniziato a spassarsela e vivere nella bambagia, al che mi è balenata per la testa un’idea semplicemente geniale. Ho chiesto a Dio se potevo offrire loro la mela.

    – La mela?

    – Sí. Adamo ed Eva abitavano nel giardino dell’Eden, un luogo dove tutto era consentito e ogni cibo era disponibile e a portata di mano. Senza contare che conducevano una vita priva di vecchiaia e morte. Avevano un solo divieto: non potevano mangiare il frutto proibito.

    – Capito.

    – Cosí io li ho indotti in tentazione e loro… se la sono pappata!

    – Tremendo! Sei veramente il Diavolo!

    – Sí, sí, ma adesso basta con i complimenti. Adamo ed Eva sono stati cacciati dall’Eden e da allora gli uomini sono stati destinati a invecchiare e morire, e in questo mondo è cominciata la loro lunga storia di guerre e conflitti.

    – Il Diavolo, ecco cosa sei!

    – Suvvia, cosí mi lusinghi. Torniamo a noi: dopo qualche anno, Dio ha pensato bene di spedire in missione suo figlio sulla Terra. L’idea era quella di redimere gli uomini dalla loro colpa, ma il suo tentativo è culminato in un totale insuccesso… tant’è che alla fine Gesú è stato pure crocefisso!

    – Ah sí, questa parte la conosco.

    – In seguito, gli uomini sono diventati piú egoisti. Hanno cominciato a costruire cose, sempre di piú, senza nemmeno chiedere il permesso, a prescindere dal fatto che gli servissero veramente oppure no. Non si sono posti alcun limite.

    – Chiaro.

    – Perciò, mi sono di nuovo rivolto a Dio e fatto avanti con un’altra proposta. Questa volta gli ho chiesto di scendere sulla Terra per far decidere agli uomini stessi cosa ritenessero fondamentale e cosa superfluo. L’accordo che abbiamo raggiunto è questo: se qualcuno avesse fatto scomparire qualcosa dal mondo, gli avrei allungato la vita di un giorno. Ecco qual è la mia autorità, me l’ha conferita Dio in persona! Comunque sia, una volta raggiunto l’accordo, ho cominciato a cercare in lungo e in largo i partner piú adatti a cui proporre il mio patto. Ne ho già trovati diversi, sai? Se proprio vuoi saperlo, sei il centottesimo.

    – Il centottesimo?

    – Sí! Contrariamente a quanto avevo previsto, siete in pochi. Centootto persone in tutto il mondo sono niente! Ecco perché devi ritenerti super fortunato. Ti sarà sufficiente far scomparire una sola cosa da questo mondo per avere un giorno in piú di vita! Accetti?

    Quel tizio era arrivato dal nulla con una proposta assurda che sapeva di televendita: se avessi accettato, avrei avuto in regalo anche la batteria di pentole? Non era possibile che qualcuno mi omaggiasse cosí facilmente di un giorno di vita. Ma, mettendo da parte la credibilità della cosa in sé, dovevo ammettere che si trattava di una proposta che non potevo rifiutare. Del resto, stavo per morire, non avevo scelta.

    Ho rifatto mente locale. Se avessi scelto di cancellare qualcosa da questo mondo, avrei ottenuto un giorno di vita in piú. Con trenta cose mi sarebbe spettato un mese, con trecentosessantacinque un anno intero. Semplice. In fin dei conti, mi sono detto, questo mondo trabocca di oggetti superflui e cianfrusaglie. Il prezzemolo sopra gli omuraisu, i pacchetti di fazzoletti distribuiti nelle stazioni e per le strade, i manuali degli elettrodomestici, i semi delle angurie… Mi è stato sufficiente pensarci per qualche secondo che le immagini di tutte le cose in sovrappiú mi sono zampillate una dopo l’altra davanti agli occhi. Tempo di organizzarle e avrei ricavato una lista chilometrica di roba inutile pronta a scomparire tranquillamente da un momento all’altro e senza conseguenze.

     

    Calcolando che la vita media di una persona è di circa settant’anni, avrei potuto godermene ancora quaranta. Se avessi fatto scomparire l’equivalente di centoquarantamilaseicento cose, ci sarei arrivato senza problemi. E se mi fossi ingegnato ulteriormente avrei potuto continuare a vivere anche fino a cento, duecento anni. Aloha aveva ragione: nelle ultime centinaia di migliaia di anni, gli esseri umani avevano prodotto una quantità immonda di cose futili. Quand’anche avessi scelto di cancellare una manciatina di oggetti, non se ne sarebbe accorto nessuno. Avrei reso il mondo piú genuino, c’era anzi da scommettere che mi avrebbero persino fatto una statua.

    Senza contare che il mio mestiere di postino era destinato a estinguersi: non era infatti da escludere che presto o tardi sarebbe arrivato anche il giorno in cui sarebbero scomparse le parole e le lettere. A pensarci bene, ogni cosa si trovava in sottile equilibrio tra l’utile e il superfluo. Forse anche la razza umana.

    Il mondo intero in cui viviamo.

    Con queste e altre considerazioni per la testa, ho deciso di stare al gioco.

    – Accetto. Farò scomparire qualcosa. Allungami la vita, per favore –. L’idea di decidere di far scomparire qualcosa mi aveva infuso un certo coraggio.

    – Oooh! Finalmente ti sei convinto! – Aloha aveva l’aria contenta.

    – Diciamo che mi hai praticamente obbligato… ma lasciamo perdere e veniamo al dunque. Che cosa posso far scomparire per prima cosa? Mmh… ci sono! Le macchie sulle pareti!

    – …

    – No, aspetta… la polvere sulle librerie!

    – …

    – I decori sulle piastrelle del bagno?

    – … ehi, ehi! Non sono mica la tua donna delle pulizie! Ti sembra questo il comportamento da assumere con il Diavolo?

    – Non va bene, eh?

    – Ovvio che no! Tanto per cominciare, sono io che decido cosa far scomparire!

    – Con quale criterio?

    – Per esempio… da come mi gira.

    – Da come ti gira?

    – Vediamo… che cosa posso far sparire?

    Aloha ha perlustrato la stanza soffermandosi su ogni singolo oggetto. Io ho seguito il suo sguardo in silenzio, pregando che non toccasse la collezione di action figures, o che 

    risparmiasse le sneakers edizione limitata… Certo, in cambio avrei ricevuto un giorno in piú di vita. Ora capivo cosa voleva dire stringere un patto con il Diavolo… Non avrei mai potuto cavarmela in cambio di miseri oggettini. Il sole?! La luna?! Il mare, i continenti?! E se avesse scelto di far scomparire qualcosa del genere? Stavo cominciando a rendermi conto della portata delle conseguenze, quando Aloha ha fermato lo sguardo sul tavolino.

    – Cosa sono? – ha domandato afferrando un pacchetto. Lo ha scosso e si è sentito il rumore sordo del contenuto che si muoveva.

    – Funghi di montagna.

    – Sono funghi?

    – No, sono Funghi di montagna.

    Aloha ha inclinato il capo con fare dubbioso, non sembrava aver capito.

    – E questi? – mi ha domandato afferrando l’altro pacchetto delle stesse dimensioni posato lí accanto.

    – Bambú di terra.

    – Sono germogli di bambú?

    – No. Sono Bambú di terra.

    – Mi stai confondendo!

     Scusami. Sono entrambi snack al cioccolato.

    – Al cioccolato?

    – Sí, al cioccolato.

    Funghi di montagna e Bambú di terra, si chiamano cosí. Li avevo vinti in premio alla lotteria di un negozietto del quartiere qualche giorno prima, erano sul tavolino da allora. A ben pensarci, erano davvero singolari come snack, chissà quale arcano ragionamento c’era dietro… Ovvio che abbia fatto confondere anche il Diavolo!

    – Capito. Avevo sentito che gli esseri umani andavano pazzi per il cioccolato, ma non pensavo fino a questo punto. Chissà perché avranno scelto di dargli la forma di funghi e bambú.

    – Sai che… non mi ero mai posto la domanda prima di questo momento.

    – Che dici, facciamo il cioccolato?

    – Non ho capito. Cosa intendi?

    – Nel senso che lo facciamo scomparire dal mondo!

    – Possiamo decidere cosí alla leggera?

    – Solo perché è la tua prima volta.

    A quel punto ho provato a immaginare. Se il cioccolato scomparisse dal mondo… Come cambierebbe il mondo?

    Con tutta probabilità, gli amanti del cioccolato di ogni angolo del pianeta piangerebbero disperati, affonderebbero nel dolore, il loro indice glicemico si abbasserebbe e trascorrerebbero il resto della vita nell’accidia piú grigia. Chissà se in un mondo senza cioccolato i marshmellow e il caramello riuscirebbero a prendere finalmente piede? 

 

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.