In libreria “La bellezza intatta di Rosalind Bone” di Alex McCarth

Catrin Bone vive nel villaggio gallese di Cwmcysgod con la madre Mary, una donna spigolosa e solitaria. Cwmcysgod, tetti di ardesia, piccole case a schiera annidate sul fianco di una collina, una fabbrica abbandonata, è un paese immutabile, sempre uguale a sé stesso, in cui i vicini spiano la strada da dietro le tende appena scostate e aspettano sera seduti sui bidoni nei cortili. Catrin dorme nella stessa stanza che è stata di sua zia, Rosalind Bone. Da quando ha memoria, ha sentito raccontare storie sulla sorella di sua madre, una ragazza a detta di tutti di una bellezza straordinaria ma, secondo i piú, fredda ed egoista. Egoista al punto da aver abbandonato il paese, in una notte di ventisette anni prima, senza lasciare nemmeno un biglietto. In fuga, come una criminale. Di lei rimane soltanto una fotografia, in fondo a un cassetto che Mary tiene ben chiuso come a volerne contenere l’influenza malefica. Rosalind era bella, e Mary non lo era. E solo dopo la scomparsa di Rosalind il paese si era accorto della sua esistenza, lei che era rimasta all’ombra di quella bellezza eccessiva, ingombrante, pericolosa. Ma Catrin, sedici anni quanti ne aveva Rosalind l’ultima volta che è stata vista, sente irresistibile il richiamo della foto di quella giovane donna che non ha mai conosciuto, e la guarda di nascosto ancora e ancora.

A Polly

Significato e pronuncia di Cwmcysgod

Il toponimo Cwmcysgod significa «valle dell’ombra» (cwm, «valle», cysgod, «ombra»). È utile per il lettore notare che l’alfabeto gallese è diverso da quello inglese. Per esempio, la y e la w sono vocali e non consonanti.
Prima sillaba, cwmc dura come nella parola inglese canwm simile alla pronuncia breve di oom come in room.
Seconda sillaba, cysc dura come sopra; ys simile alla parola inglese us.
Terza sillaba, god: come nella parola inglese God.
Ogni sillaba è enfatizzata allo stesso modo.
Glossario di altre parole gallesi

Bach significa «piccolo». È un termine comune e affettuoso.

Blodeuwedd è, nella mitologia gallese, la moglie di Lleu Llaw Gyffes. Fu creata con i fiori dai maghi Math e Gwydion.

Butt/butty è il termine gergale per «amico». Non è una parola gallese, ma si usa soltanto in Galles.
Cysga’n drwm è un augurio di buonanotte: «dormi sereno».
Dadi è il termine per «papà».
Nos da significa «buonanotte».
Twp vuol dire «stupido».
Ych y fi corrisponde al termine «bleah».

1.

Cwmcysgod, 2001

Non appena l’erba prese fuoco, annerí ancora prima che si vedesse la fiamma, il colore consumato da un calore invisibile che lasciava piccole chiazze di stoppie, lacere e carbonizzate. Il fuoco giovane serpeggiava basso, veloce e impaziente tra le caviglie dell’erba secca estiva, alzandosi e abbassandosi, aggrappandosi alla terra, sospinto e trascinato dal vento. I fratelli Clements si accucciarono, tesi ed eccitati. Gli occhi inchiodati al percorso del fuoco, ne osservavano le tracce che si intrecciavano e dividevano in frattali di fragile consunzione, fin quando, infine, le fiamme raggiunsero il culmine, dando forma a molti sentieri che si fondevano in un’unica ampia striscia di fumo, danzando, nel gioioso consumarsi del fianco della collina.

Dai nodi e dalle chiome degli alberi lontani si levarono i corvi, le ali spiegate, gli occhi neri puntati, le voci che graffiavano il cielo. I fratelli voltarono le spalle al fuoco e si allontanarono di corsa, felici del loro colpo segreto, dell’attacco al potere.

Camminarono in silenzio, il tocco del sole sulla pelle, un balsamo che dissipava ogni dolore. Sotto, casa loro, Cwmcysgod, dove il sole del pomeriggio riusciva appena a sfiorare i tetti di ardesia, lasciando i recessi del villaggio in un’ombra permanente.

Per scendere dalla montagna, i fratelli Clements presero il sentiero delle pecore, un sentiero di fango cosí stretto che dovevano mettere un piede davanti all’altro, lo sguardo rivolto al terreno in modo da non slogarsi una caviglia sulle rocce e sui sassi che costeggiavano il percorso. Questo ritmo rallentato spense la loro euforia e, quando raggiunsero il villaggio, sentivano già di non avere ottenuto nulla, come se la gloria di quel fuoco non fosse mai esistita.

Ma, inosservato, il fuoco si spinse verso l’alto e nel bosco. Si insinuò attraverso la macchia di noccioli per diffondersi tra i figli bastardi dei pini abbattuti molto tempo prima. I letti di aghi di pino sfrigolarono e si incendiarono, portando il fuoco piú vicino al centro del bosco. Lí, una vecchia dormiva, rannicchiata nel suo fetore su un letto di cassette del latte, le lacrime del passato che le scendevano sulle guance consumate dal tempo.

Il vento calò e il fumo discese a circondare il villaggio, sulle tracce dei fratelli Clements diretti a casa. Scavalcò i muri dei cortili. Le code di fumo grigio danzavano tra mutande e lenzuola appese ad asciugare, rendendo vano lo strofinio ansioso di chi ha voluto lavar via tutti i segreti.

All’interno della piú piccola delle case a schiera, al limite del fumo, Mary Bone camminava dall’ingresso alla cucina, i piedi nelle calze, silenziosi sul linoleum.

«Lo senti l’odore di bruciato?»

Catrin, sua figlia, sbatté il cassetto della cucina, pizzicandosi la pelle delle dita nel bordo. Ingoiò un singulto di dolore e si voltò a incontrare gli occhi della madre.

«Seriamente, lo senti l’odore?» chiese la madre, gli occhi stretti nel valutare, tra il fumo strisciante e la figlia sfuggente, la gerarchia delle preoccupazioni.

La ragazza alzò le spalle, uscí dalla porta sul retro e annusò l’aria all’esterno.

«Guarda i pendii» disse Mary Bone. «Quel maledetto nero, di nuovo… quei bastardi e i loro scherzi. Be’, senza dubbio qualcuno chiamerà i vigili del fuoco».

«Abbiamo finito il latte, mamma. Vado a prenderlo».

«Portami anche l’Argus di oggi. Ho bisogno di sapere cosa succede nel mondo». Mary mise due monete da una sterlina nel palmo della mano della figlia e le diede un pizzicotto sulla guancia come se avesse ancora quattro anni.

«Smettila» disse Catrin, respingendola ma regalandole comunque la punta di un sorriso.

«Sei sempre la mia bambina, no?»

«Ho sedici anni, mamma, santo Dio».

Mary Bone raccolse il bucato dal filo che aveva steso tra due pali arrugginiti. Una molletta di plastica le si frantumò tra le dita, la molla si proiettò nell’aria e la colpí all’angolo dell’occhio.

Sedici.

Lasciò cadere le lenzuola nel cesto della biancheria e si sedette sulla pattumiera di latta a guardare la montagna che bruciava dall’altra parte del cwm. Si accese una sigaretta e pensò a sua sorella. Nella mente, anche le dita di Rosalind tenevano una sigaretta, ma le sue erano circondate da un turbinio di mani maschili che si offrivano di accenderla. Era sempre stato cosí.

Mary lasciò cadere il mozzicone e guardò l’ultimo mezzo centimetro bruciare fin in fondo. Rosalind chiuse il portasigarette d’argento.

Nel negozio all’angolo, l’anziana signora Williams era seduta dietro il bancone su uno sgabello, nella sua tenuta buona per tutte le stagioni, cardigan e cappotto. Il viso minuto faceva capolino dal foulard legato come una morsa sotto il mento.

Catrin, la figlia di Mary, andò al frigorifero sul retro del negozio e prese l’ultima pinta di latte. Catrin non sapeva che Daniel Clements si era abbassato per evitarla e si era nascosto dietro gli scaffali.

La signora Williams fissò il fratello maggiore, Shane, che tastava lo scaffale superiore dei porno che lei stessa teneva ben rifornito. Lo guardò cadere dentro pagine di gambe aperte e facili promesse. Questi ragazzi, sempre tra i piedi in negozio. Lanciati verso il nulla. La colpa era delle madri moderne: erano anni che non si vedeva un culo schiaffeggiato in questa valle.

L’anziana donna borbottò tra sé e sé, annuendo mentre Catrin pagava il latte e il giornale.

Uscendo dal negozio, Catrin fu costretta a passare davanti a Shane Clements. Contrasse il corpo per ridurne al minimo l’esistenza, ma gli occhi di Shane incontrarono comunque i suoi seni. Da vicino, i vestiti del ragazzo puzzavano di fumo. Catrin uscí sull’asfalto appiccicoso e screpolato e con il fiato buttò fuori una vergogna che non avrebbe dovuto essere sua, prima di incamminarsi su verso casa.

Dai Bevel, stretto contro il cancello del giardino, guardò Catrin passare, come un gufo guarderebbe un’arvicola, il corpo immobile, gli artigli pronti, la testa che ruota sul proprio asse.

«Mi ricordi Rosalind Bone» disse, «ma non hai la sua bellezza».

Era quello che diceva sempre quando la vedeva. Maledetto Dai Bevel.

Alle sei, le autopompe dei vigili del fuoco apparvero dalla strada provinciale, le sirene spiegate. Una serie di porte d’ingresso si aprí su e giú per il mezzo chilometro di Main Street. Anche nelle strade laterali, la gente usciva dalle soglie delle case a schiera, desiderosa di emozioni. Le braccia strette al petto, il collo proteso. Scuotevano la testa disapprovando quei balordi dei fratelli Clements e si affrettavano a rientrare in casa, chiudendo le porte per apparecchiare le tavole, accendere i televisori oppure sorseggiare l’oasi di pace offerta da una tazza di tè. Mary Bone non uscí in strada. Rimase seduta sul bidone in cortile e si accese un’altra sigaretta.

Catrin mise il latte in frigorifero e diede un’occhiata alla fotografia nascosta nel cassetto.

Che cosa doveva essere avere quell’aspetto

Alex McCarthy è nata in Galles e per molti anni ha lavorato come coreografa e danzatrice. La bellezza intatta di Rosalind Bone è il suo primo romanzo.

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.