- Ciao Romina, e benvenuta.
Ci racconti quando e come è nata la tua carriera da scrittrice?
Ho sempre amato molto i libri e di questo devo ringraziare mio padre, un lettore forte che ha riempito le librerie di casa, e mia madre, che mi ha insegnato la passione per il racconto. Le fiabe che ci narrava quando mia sorella ed io eravamo bambine sono state i miei primi “film”, perché i personaggi li vedevo come fossero attori nella mia mente e immaginavo i luoghi, le atmosfere. Ancora adesso racconta fiabe ai nipotini, storie gotiche, che mettono parecchia paura!
I libri sono stati anche la mia ancora di salvezza, in un periodo strano come l’adolescenza, quando non mi sentivo appartenere a niente, e in un momento della mia vita in cui ho subito perdite molto dolorose. A quel punto, forse per rielaborare il dolore, oppure soltanto per non pensarci, ho cominciato a scrivere. E ho scoperto che mi era sempre mancato.
- Come ti senti quando scrivi un libro?
C’è una forte tensione. Quando una storia mi colpisce molto, al punto da volerla approfondire, raccontare, diventa come una piccola ossessione che mi porta via da tutto. È una specie di febbre che se ne va soltanto quando scrivo l’ultima pagina e allora la storia si tiene da sola e non ha più bisogno di me. La posso lasciare andare.
- E’ facile farsi venire le idee?
Sono molto ‘impressionabile’, il che può essere un bene oppure no. Mi guardo attorno, ascolto. Per ora non ho mai avuto lo spauracchio della pagina bianca, anzi, le storie da raccontare sono sempre molte. Devo scegliere quale. Di solito è la storia che mi rimane addosso per più tempo e sbraita fra le altre per trovare spazio. Nel caso de I bambini di Svevia, ho svolto un lavoro di ricerca, precedente e contemporaneo la scrittura, che in qualche modo l’ha alimentata molto emotivamente. Mi sono lasciata travolgere, poi ho fatto ordine, ripreso i fili, li ho inseguiti. Ho ripercorso le tracce dei bambini e il loro viaggio, salendo a piedi le loro montagne. È stata un’esperienza che ha significato molto per me e da cui ho imparato tanto.
- Scrivi a mano o al computer?
Computer. Mi capita di prendere appunti a mano, in genere per paura che un’idea scappi. Allora la fisso su tutto quello che mi capita, il ripiano di un tavolo, l’interno di un libro, la carta delle caramelle… Chi abita con me sa che non deve buttare via niente… Poi passo giornate a ricercare gli appunti perché purtroppo sono molto disordinata!
- Qual è il tuo hobby?
Ultimamente mi piace molto la fotografia. Montagna, i miei cani, lunghe passeggiate nella natura e macchina fotografica al seguito, oppure riprese dall’alto con un piccolo drone che mi ha permesso di realizzare un sogno che avevo fin da bambina: guardare le cime delle montagne e sorvolare la valle con gli occhi di un’aquila. Non sono brava, sto imparando perché è una cosa piuttosto complessa, ma mi diverte molto.
- Quali sono gli ingredienti che servono in una storia? Raccontaci qualcosa del tuo nuovo romanzo “I bambini di Svevia”, come è nata l’idea?
Un romanzo non è un saggio. Spesso non ha risposte, ma nasce da una domanda. Poi capita che le domande si moltiplichino nel corso della storia. Deve emozionare, far provare sensazioni, far sentire i personaggi come se fossero vivi, quasi degli amici. Oppure farceli stare antipatici, ma il lettore ha il diritto di “sentire” la storia.
Ho insegnato per molti anni nella valle di Edna, quella da cui partirono centinaia di bambini per attraversare un lungo, pericoloso viaggio attraverso le montagne e andare a lavorare come servi nelle fattorie della Germania. Erano bambini anche molto piccoli, di cinque anni, che hanno dovuto affrontare prove di carattere fisico e psicologico di estrema durezza. Alcuni di loro non hanno fatto più ritorno. La loro storia mi ha letteralmente investita: una portata cronologica che ha dell’incredibile, tre secoli, e un’areale geografico molto vasto che comprende Italia, Austria, Svizzera, Lichtenstein e Germania.
E se ne sa ancora così poco. Ho creduto fin da subito nell’importanza di ridare voce a quelle vite. È una mia convinzione e fa parte della mia ricerca: la Storia, i grandi avvenimenti, raccontati attraverso le storie, le vite di chi spesso la propria voce l’ha persa perché gli è stata rubata.
- Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Che il dolore si può superare soltanto se abbiamo il coraggio di attraversarlo. Vorrei che restasse la fiducia in un’umanità che nel dolore sa anche aiutare l’altro, accoglierlo, alleggerire il peso. Per questo è importante la parte storica del romanzo, incentrata sui bambini di Svevia, ma lo sono anche il viaggio di ritorno che Edna fa nel presente e tutti i suoi incontri, che in qualche modo la cambiano, la trasformano, la fanno brillare di nuovo, proprio come la sua storia, che lei racconta a chi la vuole ascoltare, in qualche modo ha la capacità di cambiare il destino degli altri.
- Quale è stato il personaggio che ha richiesto più sforzo e quale ti è venuto più facile costruire?
Edna è stato il personaggio più difficile. Ho dovuto pensare come lei, una persona molto anziana, scavata da una cicatrice profonda. E rendere la fatica fisica e psicologica del viaggio che lei affronta nel presente per tornare da Jacob. Dove il percorso si fa arduo, trova persona che in qualche molto l’aiutano. È stato molto difficile calibrare tutto.
Un’altra fatica è stata ricostruire le figure dei bambini di Svevia: dar loro veridicità storica, ma anche profondità emotiva. Riportarli in vita. Le fotografie mi hanno aiutata molto.
- Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Difficile, ma ci provo. A volte vorrei tornare indietro e domandare a me stessa bambina perché fosse così timida. Le direi di avere fiducia. E di buttarsi!
- Che sensazione hai provato quando hai saputo che avrebbero pubblicato il tuo manoscritto?
Fortissima. È una storia che agli addetti ai lavori è piaciuta molto e mi ha permesso di lavorare con grandissimi professionisti per tirarne fuori il meglio. Persone che ammiro molto e mi hanno insegnato tanto. Ora è dei lettori. Edna ed Emil hanno cominciato un altro viaggio. Sono molto affezionata a loro, è difficile lasciarli andare perché vorrei proteggerli un altro po’, ma so che Edna è una tipa in gamba. Ovunque la porterà il suo viaggio, saprà godersi il cammino.
- Grazie di cuore per l’ospitalità.
- Grazie a te per il tuo tempo e complimenti per il tuo romanzo.
Trama
Un romanzo che dà voce a una pagina dimenticata della nostra storia. Una protagonista alla ricerca dell’unica verità che può salvarla.
«Stupendo, dal titolo fino all’ultima parola. Una storia di libertà selvaggia e di coraggio salvifico. Un romanzo che ha anche il pregio di portare alla luce una storia vera sconosciuta ai più, e lo fa con una scrittura raffinata e piena di grazia.»
Ilaria Tuti
Farò di tutto per mantenere la nostra promessa. Perché non è bastata una vita per dimenticare.
Protetta dalle mura di una casa nascosta dal rampicante, Edna aspetta un segno. Da sempre sogna il giorno in cui potrà mantenere la parola data. L’unico a farle compagnia è Emil, un pappagallo dalle grandi ali blu. Non le è mai servito altro. Fino a quando una notizia la costringe a uscire dall’ombra e a mettersi in viaggio. È arrivato il momento di tener fede a una promessa a lungo disattesa. Una promessa che lega il suo destino a quello dell’amico Jacob, che non vede da quando erano bambini. Da quando, come migliaia di coetanei, furono costretti ad affrontare un terribile viaggio a piedi attraverso le montagne per raggiungere le fattorie dell’Alta Svevia ed essere venduti nei mercati del bestiame. Scappati dalla povertà, credevano di trovare prati verdi e tavole imbandite, e invece non ebbero che duro lavoro e un tozzo di pane. Li chiamavano «bambini di Svevia». In quel presente così infausto, Edna scoprì una luce: Jacob. La loro amicizia è viva nel suo cuore, così come i fantasmi di cui non ha mai parlato. Ma ora che ha ritrovato Jacob, è tempo di saldare il suo debito e di raccontare all’amico d’infanzia l’unica verità in grado di salvarli. Per riuscirci, Edna deve tornare dove tutto ha avuto inizio per capire se è possibile perdonarsi e ricominciare. Lungo antiche strade romane e sentieri dei pellegrini, ogni passo condurrà Edna a riscoprire la sorpresa della vita, ma al contempo la avvicinerà a un passato minaccioso. Perché anche la fiaba più bella nasconde una cupa, insidiosa verità.
I bambini di Svevia è un romanzo indimenticabile. Per la capacità di leggere l’animo umano con profondità ed empatia. Per il coraggio di far luce su un capitolo poco conosciuto della storia italiana, quello dei bambini che, per tre secoli e fino alla seconda guerra mondiale, venivano venduti dalle famiglie per lavorare nelle fattorie dell’Alta Svevia. Per la protagonista, Edna, un personaggio vivido e coinvolgente. Una storia che è un tuffo in un mondo in cui la natura dice più delle parole e in un passato dimenticato che chiedeva di essere raccontato.