Trama
1937. Quando Alice Wright decide impulsivamente di sposare il giovane americano Bennett Van Cleve, lasciandosi alle spalle la sua famiglia e una vita opprimente in Inghilterra, è convinta di iniziare una nuova esistenza piena di promesse e avventure nel lontano Kentucky.
Presto però le sue rosee aspettative e i suoi sogni di ragazza si scontrano con una realtà molto diversa. Costretta a vivere sotto lo stesso tetto con un suocero invadente, il dispotico proprietario della miniera di carbone locale, Alice non riesce a instaurare un vero rapporto con il marito e le sue giornate diventano sempre più tristi e vuote. Così, quando scopre che in città si sta costituendo un piccolo gruppo di donne volontarie il cui compito è diffondere la lettura tra le persone disagiate che abitano nelle valli più lontane, lei decide con entusiasmo di farne parte.
La leader di questa biblioteca ambulante a cavallo è Margery O’Hare, una donna volitiva, libera da pregiudizi, figlia di un noto fuorilegge, una donna autonoma e fiera che non ha mai chiesto niente a nessuno, tantomeno all’uomo che ama.
Alice trova in lei una formidabile alleata, un’amica su cui può davvero contare, specie quando il suo matrimonio con Bennett inizia inevitabilmente a sgretolarsi. Altre donne si uniranno a loro e diventeranno note in tutta la contea come le bibliotecarie della WPA Packhorse Library.
Leali e coraggiose, cavalcheranno libere sotto grandi cieli aperti e attraverso foreste selvagge, affrontando pericoli di ogni genere e la disapprovazione dei loro concittadini per portare i libri a persone che non ne hanno mai visto uno, allargando i loro orizzonti e cambiando la loro vita per sempre.
Ispirato a una storia vera, Ti regalo le stelle è una dichiarazione d’amore per la lettura e i libri. Un romanzo indimenticabile, appassionato e romantico le cui pagine volano, coinvolgendo e commuovendo il lettore.
Estratto
Il libro
1937. Quando Alice Wright decide impulsivamente di sposare il giovane americano Bennett Van Cleve, lasciandosi alle spalle la sua famiglia e una vita opprimente in Inghilterra, è convinta di iniziare una nuova esistenza piena di promesse e avventure nel lontano Kentucky.
Presto però le sue rosee aspettative e i suoi sogni di ragazza si scontrano con una realtà molto diversa. Costretta a vivere sotto lo stesso tetto con un suocero invadente, il dispotico proprietario della miniera di carbone locale, Alice non riesce a instaurare un vero rapporto con il marito e le sue giornate diventano sempre più tristi e vuote. Così, quando scopre che in città si sta costituendo un
piccolo gruppo di donne volontarie il cui compito è diffondere la lettura tra le persone disagiate che abitano nelle valli più lontane, lei decide con entusiasmo di farne parte.
La leader di questa biblioteca ambulante a cavallo è Margery O’Hare, una donna volitiva, libera da pregiudizi, figlia di un noto fuorilegge, una donna autonoma e fiera che non ha mai chiesto niente a nessuno, tantomeno all’uomo che ama.
Alice trova in lei una formidabile alleata, un’amica su cui può davvero contare, specie quando il suo matrimonio con Bennett inizia inevitabilmente a sgretolarsi. Altre donne si uniranno a loro e diventeranno note in tutta la contea come le bibliotecarie della WPA Packhorse Library.
Leali e coraggiose, cavalcheranno libere sotto grandi cieli aperti e attraverso foreste selvagge, affrontando pericoli di ogni genere e la disapprovazione dei loro concittadini per portare i libri a persone che non ne hanno mai visto uno, allargando i loro orizzonti e cambiando la loro vita per sempre.
TI REGALO LE STELLE
Traduzione di Maria Carla Dallavalle
A Barbara Napier, che mi ha regalato le stelle
quando ne ho avuto bisogno.
E ai bibliotecari, ovunque si trovino.
20 dicembre 1937
Ascolta. Addentrandoti tre miglia nel bosco appena sotto Arnott’s Ridge, ti ritrovi in un silenzio così denso che è come se lo attraversassi a guado. Non odi canti di uccelli dopo l’alba, nemmeno in piena estate, figuriamoci ora, con l’aria fredda così impregnata di umidità che irrigidisce le poche foglie coraggiosamente attaccate ai rami. Fra le querce e i noci americani non si muove nulla: gli animali selvatici sono rintanati sottoterra in stretti cunicoli o tronchi scavati, le loro pellicce morbide che si intrecciano. La neve è così alta che le zampe del mulo vi affondano fino ai garretti, quindi ogni pochi passi l’animale barcolla e sbuffa diffidente, tastando il terreno alla ricerca di qualche pietra sparsa o qualche buca sotto quell’infinito manto bianco. Soltanto lo stretto torrente poco sotto scorre baldanzoso, con la sua acqua limpida che mormora e gorgoglia sul letto di sassi, diretto verso una meta che nessuno da queste parti ha mai visto.
Margery O’Hare prova a muovere le dita dentro gli stivali, ma la sensibilità se n’è andata da un pezzo e lei trasalisce al pensiero di quanto le faranno male quando si scalderanno di nuovo. Ha tre paia di calze di lana, ma con questa temperatura tanto varrebbe andare in giro a gambe nude. Accarezza il collo del mulo con un paio di pesanti guanti da uomo, scrollando via i cristalli che si sono formati sul suo spesso mantello.
«Questa sera doppia razione per te, Charley» dice osservando le grandi orecchie dell’animale che scattano indietro. Si posiziona meglio, sistemando le bisacce in modo da bilanciare il peso mentre si apprestano a scendere verso il torrente. «Melassa calda per cena, vecchio mio. Magari ne mangio un po’ anch’io.»
Ancora quattro miglia, pensa, pentendosi di non aver fatto una colazione più abbondante. Oltrepassata la scarpata indiana, poi su per il sentiero in mezzo ai pini gialli, altri due avvallamenti e vedrà apparire la vecchia Nancy, come sempre intenta a cantare inni religiosi con quella sua voce limpida e potente che riecheggia nel bosco mentre lei cammina oscillando le braccia come una bambina per raggiungerla.
“Non c’è bisogno che ti fai cinque miglia a piedi per venirmi incontro” le dice Margery ogni due settimane. “È il nostro lavoro. Per questo ci spostiamo a cavallo.”
“Oh, voi ragazze fate già abbastanza.”
Margery conosce il vero motivo. Nancy, come la sorella Jean, costretta a letto nella loro baita a Red Lick, non può correre il rischio di perdersi la prossima tranche di storie. Ha sessantaquattro anni, tre denti buoni e un debole per un bel cowboy: “Quel Mack Maguire mi fa battere forte il cuore come un lenzuolo che svolazza steso al sole”. Congiunge le mani e alza gli occhi al cielo. “Il modo in cui lo descrive Archer… be’, è come se saltasse fuori direttamente dalle pagine del libro e mi portasse via a cavallo.” Si protende verso Margery con aria cospiratoria. “Mi accontenterei anche di poter montare quel cavallo. Mio marito diceva che da ragazza sapevo cavalcare alla grande!”
“Non ne dubito, Nancy” risponde Margery ogni volta, e la donna scoppia a ridere battendosi le mani sulle cosce come se fosse la prima volta che lo dice.
Un ramoscello si spezza e le orecchie di Charley si raddrizzano. Sono così grandi che probabilmente riesce a sentire fino a Louisville. «Da questa parte, giovanotto» gli dice Margery guidandolo in modo da evitare una roccia sporgente. «La sentirai fra un minuto.»
«Vai da qualche parte?»
Margery gira la testa di colpo.
L’uomo barcolla leggermente, ma lo sguardo è fermo e diretto. Il fucile, nota Margery, è carico, e lui, come un pazzo, tiene il dito sul grilletto. «Così mi guarderai ora, vero, Margery?»
Lei mantiene la voce ferma, ma la sua mente è in fermento. «Ti vedo, Clem McCullough.»
«Ti vedo, Clem McCullough» ripete lui facendole il verso come un bambino dispettoso nel cortile della scuola. Ha i capelli dritti da una parte, come se ci avesse dormito sopra. «Mi vedi mentre mi guardi dall’alto in basso. Mi vedi come vedi la sporcizia sulle tue scarpe. Come se tu fossi tanto speciale, poi.»
Margery non ha mai avuto paura di molte cose, ma conosce abbastanza bene questi uomini di montagna per sapere che non è il caso di mettersi contro un ubriaco. Soprattutto se ha un fucile carico.
Fa una rapida lista mentale delle persone che può aver offeso – Dio sa che ce ne sono parecchie –, ma McCullough? A parte qualche banalità, non riesce a trovare nulla.
«Qualsiasi bega la tua famiglia abbia avuto con mio padre, è sepolta con lui. Sono rimasta soltanto io e non sono interessata alle faide familiari.»
McCullough è proprio davanti a lei ora, con le gambe piantate nella neve, il dito ancora sul grilletto. La sua pelle è chiazzata delle macchie blu e porpora tipiche di chi è troppo ubriaco per rendersi conto di quanto sia infreddolito. Probabilmente troppo ubriaco anche per centrare il bersaglio, ma è un’eventualità che lei non si sente di accertare.
Margery equilibra bene il peso rallentando il mulo e fa scivolare lo sguardo di lato. Le rive del torrente sono troppo ripide, troppo fitte di alberi per permetterle di passare. Deve convincere quell’uomo a spostarsi oppure passarci sopra, e la tentazione di scegliere quest’ultima possibilità è forte.
Le orecchie del mulo si rizzano e scattano un’altra volta indietro. Nel silenzio Margery avverte il battito del proprio cuore e un insistente tonfo nelle orecchie.
Pensa distrattamente che non crede di averlo mai sentito pulsare così forte prima. «Sto solo facendo il mio lavoro, Mr McCullough. Ti sarei grata se mi lasciassi passare.»
Lui si acciglia, coglie la potenziale offesa che si nasconde sotto il tono esageratamente cortese con cui lei gli si rivolge, e quando sposta il fucile Margery si rende conto di aver sbagliato approccio.
«Il tuo lavoro… Ti credi così superiore. Sai di cosa hai bisogno?»
Sputa rumorosamente aspettando una risposta. «Ho detto, sai di cosa hai bisogno, ragazza?»
«Sospetto che la mia versione sia distante un paio di miglia dalla tua.»
«Oh, tu hai sempre la risposta pronta. Pensi che non si sappia cosa state facendo, tutte quante? Pensi che non si sappia quello che state diffondendo fra tante rispettabili donne timorate di Dio? Abbiamo ben chiaro che cosa avete in mente. Tu hai il diavolo in corpo, Margery O’Hare, e c’è soltanto un modo per far uscire il diavolo da una come te.»
«Bene, vorrei davvero fermarmi per scoprirlo, ma sono molto presa dalle mie consegne, perciò magari potremmo continuare questa…»
«Taci!»
McCullough alza il fucile. «Chiudi quella maledetta boccaccia.»
Margery la serra prontamente.
L’uomo fa due passi avanti, le gambe aperte ben salde a terra. «Scendi dal mulo.»
Charley si muove nervosamente. Il cuore di Margery è un sassolino ghiacciato nella sua bocca. Se lei si volta per fuggire, lui le sparerà. L’unica strada che porta qui segue il torrente, il sottobosco, povero e pietroso, è impraticabile, gli alberi troppo fitti per consentire di aprirsi un varco. Non c’è nessuno nel raggio di miglia, nessuno tranne la vecchia Nancy che avanza lentamente più a monte.
Margery è sola e lo sa bene.
McCullough abbassa la voce. «Ti ho detto di scendere, subito.» Si avvicina di altri due passi, con gli scarponi che scricchiolano sulla neve.
Ed ecco la cruda verità, per lei e per tutte le donne che vivono lì intorno. Non importa quanto tu sia in gamba, intelligente o sicura di te: puoi sempre essere battuta da uno stupido uomo armato. La canna del fucile è così vicina ora che lei si ritrova a guardare dentro due infiniti buchi neri. Con una specie di ringhio lui abbassa l’arma all’improvviso lasciandola penzolare alla cinghia e afferra le redini. Il mulo si gira, e Margery, di conseguenza, vacilla goffamente in avanti cadendo sul suo collo. Sente McCullough ghermirle la coscia con una mano mentre l’altra cerca il fucile alle sue spalle. Ha il fiato fetido di alcol e la mano incrostata di sudiciume; ogni cellula del corpo di Margery si ritrae a quel contatto.
E poi, eccola. La voce di Nancy in lontananza.
Oh, quale pace spesso perdiamo!
Oh, quanto inutile dolore sopportiamo…
Lui alza la testa. Margery sente un “No!”, e una parte distante di lei riconosce con sorpresa che è emerso dalla sua bocca. Le dita di McCullough la afferrano e la tirano giù, un braccio la allaccia in vita facendole perdere l’equilibrio; nella presa determinata dell’uomo, nel suo respiro rancido, lei avverte il proprio futuro trasformarsi in qualcosa di nero e terribile. Ma il freddo l’ha reso impacciato nei movimenti. Armeggia confusamente per riprendere il fucile voltandole le spalle, e in quel momento Margery intuisce la sua occasione. Infila la mano sinistra nella bisaccia dietro di sé, e mentre lui volta la testa lei lascia le briglie, afferra l’altro angolo con il pugno destro e gli sbatte il pesante libro, più forte che può, sulla faccia. Dal fucile parte un colpo, un bang! tridimensionale che si riverbera sugli alberi, e lei sente il canto interrompersi per un attimo, gli uccelli che si alzano nel cielo come una nuvola nera e luccicante di ali che sbattono. Mentre McCullough cade, il mulo, impaurito, sgroppa e vacilla in avanti, inciampando sul corpo dell’uomo, tanto che Margery annaspa e deve aggrapparsi al pomello della sella per non cadere.
E poco dopo è di nuovo sul sentiero che costeggia il torrente, con il respiro mozzo nella gola chiusa e il cuore in tumulto, fidandosi degli zoccoli sicuri di Charley nel trovare un appiglio solido nell’acqua gelida che schizza tutt’intorno, senza osare guardare indietro per vedere se McCullough si è rialzato per inseguirla.
1
Tre mesi prima
Era, concordavano tutti mentre si sventolavano davanti al negozio o passavano all’ombra degli eucalipti, un settembre insolitamente caldo. La chiesa di Baileyville era impregnata di odore di sapone alla soda caustica e di profumi stantii che emanavano da quell’assembramento di corpi avvolti in eleganti abiti di popeline e completi estivi. Il caldo aveva permeato perfino le pareti rivestite in legno che scricchiolavano e sembravano sospirare per protesta. Appiccicata a Bennett, che si faceva largo a fatica lungo le file di posti stipati scusandosi con ogni persona che si alzava dalla sedia con un malcelato sospiro, Alice avrebbe giurato di percepire il calore di ciascun corpo che si spostava indietro per lasciarli passare.
«Scusate. Scusate.»
Quando Bennett finalmente raggiunse due posti vuoti, Alice, le guance rosse di imbarazzo, si sedette, ignorando gli sguardi di sottecchi delle persone intorno. Bennett abbassò gli occhi sul suo risvolto e vi diede un colpetto per togliere della lanugine inesistente, poi posò lo sguardo sulla gonna di sua moglie. «Non ti sei cambiata?» mormorò.
«Hai detto che eravamo in ritardo.»
«Ma non immaginavo che saresti uscita con gli abiti che tieni in casa.»
Alice aveva tentato di preparare un pasticcio di carne macinata per incoraggiare Annie a mettere in tavola qualcosa di diverso rispetto al cibo tipico del Sud. Ma le patate erano andate a male, lei non aveva saputo regolare la temperatura del forno, e mentre posava la carne sulla piastra il grasso le era schizzato addosso. E quando Bennett era andato a cercarla (lei, naturalmente, aveva perso la nozione del tempo), non era proprio riuscito a capire perché sua moglie non lasciasse l’incombenza di cucinare alla governante, visto che c’era in programma un appuntamento importante.
Alice posò la mano sulla macchia di grasso più grande che aveva sulla gonna e decise che l’avrebbe tenuta in quella posizione per l’ora successiva. Perché l’incontro sarebbe durato un’ora. O due. O – “che Dio mi aiuti” pensò – anche tre.
Chiesa e incontri. Incontri e chiesa. Talvolta Alice Van Cleve aveva l’impressione di aver semplicemente scambiato un tedioso passatempo quotidiano con un altro. Quella stessa mattina in chiesa il pastore McIntosh aveva passato quasi due ore a pontificare sui peccatori che in apparenza stavano complottando un empio predominio sulla cittadina e ora si stava sventolando, mostrandosi fastidiosamente pronto a parlare di nuovo.
«Rimettiti le scarpe» sussurrò Bennett. «Potrebbe vederti qualcuno.»
«È questo caldo» disse Alice. «Sono piedi inglesi. Non sono abituati a simili temperature.» Avvertì, più che vederla, la tetra disapprovazione di suo marito. Ma era troppo accaldata e stanca per preoccuparsene, e la voce dell’oratore aveva un potere narcolettico, quindi lei coglieva soltanto una parola su tre o quasi – germogliare… baccelli… pula… sacchetti di carta… – e aveva difficoltà a concentrarsi sul resto.
Le era stato detto che la vita matrimoniale sarebbe stata un’avventura. Un viaggio verso una nuova terra! Aveva sposato un americano, dopotutto. Nuovi cibi! Una nuova cultura! Nuove esperienze! Si era immaginata a New York, con indosso un tailleur impeccabile in ristoranti vivaci e su marciapiedi affollati. Avrebbe scritto a casa vantandosi delle sue nuove esperienze. Oh, Alice Wright? Non è quella che ha sposato quell’affascinante americano? Sì, ho ricevuto una cartolina da lei, era al Metropolitan, o alla Carnegie Hall…
Nessuno l’aveva avvertita che il matrimonio avrebbe comportato così tante chiacchiere con zie anziane davanti a servizi da tè in fine porcellana, così tante inutili sessioni di rammendo e confezionamento di trapunte o, peggio ancora, così tanti sermoni mortalmente noiosi. Sermoni e incontri interminabili, da sfinimento. Certo che questi uomini erano proprio innamorati del suono delle loro voci! Aveva la sensazione di essere rimproverata per ore, quattro volte alla settimana.
I Van Cleve si erano fermati in almeno tredici chiese durante il viaggio di ritorno e l’unico sermone che Alice aveva apprezzato era stato quello di Charleston, dove il predicatore si era dilungato a tal punto che la sua congregazione aveva perso la pazienza e aveva deciso all’unanimità di stroncarlo con il canto, finché lui non aveva colto il messaggio e, a malincuore, aveva chiuso la sua bottega religiosa per quel giorno. I suoi vani tentativi di sovrastare le voci dei fedeli, che si alzavano e si gonfiavano con determinazione, avevano suscitato i risolini divertiti di Alice.
La congregazione di Baileyville, Kentucky, invece, aveva notato con grande disappunto, sembrava estasiata.
«Rimettitele, Alice. Per favore.»
Alice incrociò lo sguardo di Mrs Schmidt, di cui era stata ospite due settimane prima per un tè, e guardò di nuovo davanti a sé cercando di non apparire troppo cordiale per evitare di essere invitata una seconda volta.
«Bene, grazie, Hank, per il consiglio su come conservare le sementi. Sono sicuro che ci hai dato molto su cui riflettere.»
Mentre Alice faceva scivolare i piedi nelle scarpe, il pastore aggiunse: «Oh, no, non alzatevi, signore e signori. Mrs Brady ha chiesto un momento del vostro tempo».
Alice, che ormai conosceva bene il significato di queste parole, si sfilò di nuovo le scarpe. Una donna piccola di mezza età si spostò davanti al pubblico. Era il tipo di donna che suo padre avrebbe definito “ben foderata”, vale a dire con l’imbottitura soda e le curve morbide che di solito caratterizzano un divano di buona fattura.
«Volevo parlarvi della biblioteca itinerante» disse sventolandosi il collo con un ventaglio bianco e sistemandosi il cappello. «Ci sono stati degli sviluppi che vorrei portare alla vostra attenzione.
«Siamo tutti consapevoli dei… ehm… devastanti effetti che la Depressione ha avuto su questo grande paese. Abbiamo destinato così tante energie alla sopravvivenza che molti altri aspetti della nostra vita hanno dovuto accontentarsi di un posto in sottordine. Alcuni di voi saranno al corrente dei formidabili sforzi del presidente Roosevelt e della sua consorte per riportare l’attenzione sull’alfabetizzazione e sull’apprendimento. Bene, all’inizio di questa settimana ho avuto il privilegio di prendere un tè con Mrs Lena Nofcier, presidente del Servizio bibliotecario per la Kentucky PTA, e lei ci ha detto che, nell’ambito di tale servizio, la Works Progress Administration ha istituito un sistema di biblioteche mobili in diversi Stati, e un paio anche qui nel Kentucky. Alcuni di voi avranno sentito parlare della biblioteca che hanno allestito nella contea di Harlan. Sì? Ebbene, si è rivelata un immenso successo. Sotto gli auspici di Mrs Roosevelt in persona e della WPA…»
«È un’episcopaliana.»
«Che cosa?»
«La Roosevelt. È una seguace della chiesa episcopale.»
La guancia di Mrs Brady fremette nervosamente. «Be’, non possiamo rimproverarglielo. È la nostra first lady e ha intenzione di fare grandi cose per il paese.»
«Dovrebbe preoccuparsi di stare al suo posto, e non di agitare le acque ovunque.» Un uomo con il doppio mento e un abito di lino chiaro scosse la testa e si guardò intorno in cerca di approvazione.
Dall’altra parte della chiesa, Peggy Foreman si chinò in avanti per sistemarsi la gonna nell’istante stesso in cui Alice si voltò a guardarla, così sembrò che Alice la stesse fissando. Peggy si adombrò e alzò in aria il suo nasetto sottile, poi bisbigliò qualcosa alla sua vicina, che si protese per rivolgere ad Alice lo stesso sguardo ostile. Lei si appoggiò allo schienale del banco cercando di calmare il rossore che le saliva alle guance.
“Alice, non potrai mai integrarti se non ti fai delle amiche” le ripeteva Bennett, come se lei potesse avere presa su Peggy Foreman e il suo seguito di facce arcigne.
«La tua amichetta sta di nuovo lanciando strali nella mia direzione» mormorò Alice.
«Non è la mia amichetta.»
«Ma lei pensava di esserlo.»
«Te l’ho detto. Eravamo ragazzini. Poi ho conosciuto te e… be’, il resto è storia.»
«Dovresti dirlo anche a lei.»
Bennett si avvicinò. «Alice, se continui a stare così sulle tue, la gente comincerà a pensare che sei un po’… altezzosa…»
«Sono inglese, Bennett. Non siamo fatti per essere… accoglienti.»
«Credo soltanto che più ti fai coinvolgere, meglio è per entrambi. Anche papà la pensa allo stesso modo.»
«Oh, davvero? Ma dài!»
«Non fare così.»
Mrs Brady lanciò loro un’occhiata. «Come stavo dicendo, dato il successo di queste iniziative negli Stati confinanti, la WPA ha elargito dei fondi per permetterci di creare la nostra biblioteca itinerante qui nella contea di Lee.»
Alice soffocò uno sbadiglio.
Sulla credenza, a casa, c’era una fotografia di Bennett in tenuta da baseball. Aveva appena fatto un fuoricampo e sul suo viso c’era un’espressione di particolare gioia e intensità, come se in quel momento stesse vivendo un’esperienza trascendente. Lei desiderava che suo marito la guardasse di nuovo così.
Ma quando si concedeva di pensarci, Alice Van Cleve si rendeva conto che il suo matrimonio era stato il culmine di una serie di eventi casuali, iniziata con la rottura di un cagnolino di porcellana quando lei e Jenny Fitzwalter avevano giocato una partita di badminton al chiuso (pioveva, cos’altro avrebbero potuto fare?), proseguita in rapida escalation con l’espulsione dalla scuola professionale per segretarie a causa dei ripetuti ritardi, e terminata con il suo inopportuno scatto di rabbia nei confronti del capo di suo padre durante il brindisi di Natale. (“Ma mi ha messo la mano sul culo mentre servivo i vol-au-vent!” aveva protestato lei. “Non essere volgare, Alice” l’aveva redarguita sua madre, rabbrividendo.) Questi tre eventi – più un episodio che aveva coinvolto gli amici di suo fratello Gideon, troppo punch al rum e un tappeto rovinato (non sapeva che il punch fosse alcolico! Nessuno l’aveva avvisata!) – avevano spinto i suoi genitori a suggerire quello che avevano definito un “periodo di riflessione”, che di fatto si era tradotto nel “tenere Alice chiusa in casa”. Li aveva sentiti commentare in cucina: “È sempre stata così. È come tua zia Harriet” aveva detto papà liquidando la faccenda, e la mamma non gli aveva rivolto la parola per due giorni interi, come se l’idea che Alice fosse il prodotto della sua discendenza genetica fosse stata insopportabilmente offensiva.
E così, per tutto il lungo inverno, mentre Gideon partecipava a infiniti balli e cocktail party, spariva per interi weekend a casa di amici o si divertiva alle feste a Londra, lei fu gradualmente cancellata dalla lista degli inviti delle amiche e rimase in casa dedicandosi svogliatamente a disordinati lavori di ricamo. Le sue uniche uscite consistevano nell’accompagnare sua madre a trovare dei parenti anziani o alle riunioni del Women’s Institute, dove le discussioni tendenzialmente ruotavano intorno a torte, composizioni floreali e a Vite dei Santi. Era come se cercassero di farla morire di noia. Smise di chiedere resoconti dettagliati a Gideon perché la facevano stare peggio. Per contro, partecipava di malavoglia a partite di canasta, barava con aria imbronciata a Monopoli e se ne stava spesso seduta al tavolo della cucina con la testa appoggiata sugli avambracci, ascoltando la radio che prometteva un mondo ben lontano dalle soffocanti limitazioni che la opprimevano.
Così due mesi dopo, quando Bennett Van Cleve si presentò inaspettatamente una domenica pomeriggio alla festa di primavera organizzata dal pastore – con il suo accento americano, la mascella squadrata e i capelli biondi, portando con sé i profumi di un mondo distante un milione di miglia dal Surrey –, francamente sarebbe anche potuto essere il Gobbo di Notre Dame e Alice sarebbe giunta alla conclusione che trasferirsi in un’assordante torre campanaria era una gran bell’idea, grazie.
Gli uomini tendevano a essere attratti da lei, e Bennett rimase subito affascinato da quell’elegante ragazza inglese con gli occhi grandi, un morbido caschetto biondo, una voce così limpida e le vocali chiuse come non aveva mai sentito a Lexington, una ragazza che – aveva sottolineato suo padre – sarebbe benissimo potuta essere una principessa britannica, date le sue maniere squisite e la raffinatezza con cui alzava una tazza da tè. Quando la madre di Alice rivelò che potevano vantare una duchessa in famiglia grazie a un matrimonio risalente a due generazioni prima, il vecchio Van Cleve quasi venne meno dalla gioia. “Una duchessa? Una duchessa reale? Oh, Bennett, ti immagini quanto avrebbe lusingato la tua cara mamma?”
Padre e figlio erano in visita in Europa per la missione di sensibilizzazione del Combined Ministry of East Kentucky Under God, che si proponeva di verificare come veniva praticata l’osservanza della fede fuori dall’America. Mr Van Cleve aveva finanziato alcuni partecipanti al progetto in onore della defunta moglie Dolores, com’era incline ad annunciare durante le pause nella conversazione. Poteva anche essere un uomo d’affari, ma questo non significava nulla, nulla, se non veniva fatto sotto gli auspici del Signore. Alice aveva l’impressione che fosse rimasto leggermente costernato dalle scarse e piuttosto tiepide espressioni di fervore religioso della St Mary’s on the Common, e la congregazione era stata senz’altro spiazzata dalla tonante minaccia del pastore McIntosh di terrificanti pene dell’inferno nel fuoco eterno (la povera Mrs Arbuthnot aveva dovuto essere accompagnata fuori da una porta laterale per prendere una boccata d’aria).
Jojo Moyes è nata e cresciuta a Londra. Ha lavorato come giornalista per dieci anni all’”Independent” prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.
Con Io prima di te (2013), che ha venduto nel mondo dodici milioni di copie e da cui è stato tratto un film di grandissimo successo nel 2016, Dopo di te (2016) e Sono sempre io (2018) è diventata una delle scrittrici più affermate. È tradotta in quaranta paesi ed è sempre in testa alle classifiche. Mondadori ha pubblicato tutti i suoi romanzi, tra cui Luna di miele a Parigi e La ragazza che hai lasciato nel 2014, Un weekend da sogno e Una più Uno nel 2015.
L’autrice vive nell’Essex con il marito e tre figli.