Segnalazione: “la leggenda della rosa di Natale” di Selma Lagerlof edito da Iperborea, letteratura svedese. Estratto

Trama

Una foresta innevata che si trasforma a Natale in un meraviglioso giardino, impervie montagne che rivelano miniere d’argento, schiere di anime perdute che penano tra i ghiacci eterni, accudite da una vecchietta abbandonata che non si rassegna alla solitudine: è la Svezia delle antiche fiabe che rivive in questi racconti di Selma Lagerlöf, quella dei miti e delle leggende, delle storie tramandate al lume di candela nelle lunghe notti nordiche. Ma come nei suoi grandi romanzi, lo sfondo fantastico serve a raccontare i desideri, le passioni, le grandi domande morali. La fede nella bellezza di un vecchio abate che fa nascere un fiore nel buio inverno del Nord, la giovane che perde il suo amore in mare e trova nei sogni come riportarlo in vita, il violinista presuntuoso che impara l’umiltà dalla musica di un ruscello. Dietro un’apparente semplicità emerge una sottile indagine dell’animo umano: non c’è mai un “vissero felici e contenti” nelle sue storie, ma il lieto fine è segnato da una redenzione, l’accettazione di un limite, il superamento di una paura, una ritrovata fiducia nella fantasia. E quasi sempre il “miracolo” avviene attraverso un racconto nel racconto, quell’inesauribile potere dell’immaginazione di far vedere la realtà con altri occhi o di ricrearla, di trasformare uno scrigno nascosto nel tesoro dell’imperatrice Maria Teresa, e di insegnare a re Gustavo come il valore degli uomini superi ogni ricchezza.

 

Estratto

La Leggenda Della Rosa Di Natale

La moglie del brigante, che viveva in una caverna lassù nella foresta di Göinge, si era messa un giorno in viaggio per andare a mendicare giù in pianura. Il brigante era un bandito fuorilegge e non osava uscire dalla foresta, accontentandosi di stare in agguato dei viandanti che si avventuravano nella fascia dei boschi. Ma in quell’epoca i viaggiatori erano rari, nel nord della Scania, e se gli capitava di non avere fortuna nella sua caccia per qualche settimana, toccava alla moglie mettersi in cammino. Portava con sé i cinque figli, e ognuno aveva vestiti di pelle laceri, calzari in scorza di betulla e in spalla una bisaccia lunga quanto lui. Quando la donna varcava la porta di una capanna, nessuno osava negarle ciò che chiedeva, perché se non veniva bene accolta era capace di tornare la notte dopo e dare fuoco alla casa. La moglie del brigante e i suoi figli erano peggio di un branco di lupi, e molti avrebbero voluto trafiggerli con una lancia, ma non lo facevano, sapendo che l’uomo era sempre lassù nella foresta, e avrebbe saputo prendersi la sua vendetta, se fosse accaduto qualcosa ai bambini o alla donna.

Mendicando di casa in casa, la moglie del brigante arrivò un giorno a Öved, che all’epoca era un monastero. Suonò e chiese del cibo. Il guardiano abbassò uno sportellino che si apriva nel portone e le allungò sei pani rotondi: uno per lei e uno per ogni ragazzo.

Mentre la madre era davanti al portone, i figli correvano in giro. Ed ecco che uno venne a tirarla per la gonna, segno che aveva trovato qualcosa e la chiamava a dare un’occhiata, e la moglie del brigante prontamente lo seguì.

Tutto il monastero era circondato da un muro alto e massiccio, ma il ragazzo era riuscito a trovare una porticina secondaria che era socchiusa. Arrivata lì, la moglie del brigante la spalancò subito ed entrò senza chiedere il permesso, com’era sua abitudine.

Il monastero di Öved era allora diretto dall’abate Hans, che era un esperto orticoltore e vi aveva impiantato un piccolo orto botanico, ed era lì che la donna si era introdotta.

Alla prima occhiata fu tale il suo stupore che dovette fermarsi sulla porta. Era piena estate e l’orto botanico dell’abate Hans era così pieno di fiori che lo sguardo era abbagliato dai suoi azzurri, rossi e gialli. Ma presto un sorriso di gioia le si diffuse sul viso e s’incamminò per uno stretto sentiero che serpeggiava tra le tante piccole aiuole.

Un frate converso andava in giro a strappare erbacce. Era stato lui a lasciare aperta la porticina nel muro per gettare farinello e gramigna sul mucchio di spazzatura che c’era fuori. Appena si accorse che la moglie del brigante era entrata con tutti i suoi cinque figli, le corse incontro ordinandole di andarsene. Ma la mendicante proseguì come se niente fosse. Il suo sguardo vagava tutt’intorno ammirando ora i rigidi gigli bianchi che si estendevano su un 

appezzamento, ora l’edera che si arrampicava fino in cima al muro di cinta, senza degnare il monaco della minima considerazione.

Lui pensò che la donna non avesse inteso e fece per prenderla per un braccio e accompagnarla all’uscita. Ma quando la moglie del brigante capì le sue intenzioni gli rivolse uno sguardo tale da farlo indietreggiare. Fino a quel momento aveva camminato curva sotto il peso della bisaccia, ora si drizzò in tutta la sua altezza:

“Sono la moglie del brigante della foresta di Göinge. Toccami se hai il coraggio!”

Ed era chiaro che dicendo quelle parole era sicura di essere lasciata in pace come se avesse detto di essere la regina di Danimarca.

Ma il frate converso osò comunque resisterle, anche se ora, sapendo con chi aveva a che fare, le parlò gentilmente.

“Moglie del brigante”, disse, “devi sapere che questa è una comunità di soli monaci, e che nessuna donna del paese è ammessa all’interno delle sue mura. Se non te ne vai, i monaci si arrabbieranno moltissimo con me, perché mi sono dimenticato di chiudere la porticina, e forse mi scacceranno dal monastero e dall’orto botanico.”

Ma preghiere come quelle erano sprecate con la moglie del brigante, che proseguì dritta verso l’aiuola delle rose, ammirando l’issopo, tutto fiorito dei suoi fiori lilla, e il caprifoglio coperto di corimbi arancioni.

Allora il monaco non ebbe altra scelta che correre nel monastero a chiedere aiuto.

Quando tornò con due monaci grandi e grossi, la moglie del brigante capì subito che la cosa si faceva seria e si piantò in mezzo al sentiero gridando a voce stridula tutte le vendette che si sarebbe presa se non le permettevano di stare lì quanto le pareva. Ma i monaci non capivano perché dovessero avere paura di lei e pensavano solo a farla uscire. E così la moglie del brigante gridò ancora più forte e si lanciò su di loro prendendoli a graffi e morsi, e lo stesso fecero tutti i suoi figli. I tre uomini capirono presto che non potevano batterla e dovettero ritirarsi in cerca di rinforzi.

Mentre si precipitavano sul vialetto che conduceva al portone, incontrarono l’abate Hans che accorreva per sapere cosa fosse tutto quel baccano. I tre monaci gli confessarono che la moglie del brigante di Göinge era entrata nel monastero, e che non essendo riusciti a cacciarla via, andavano a cercare soccorsi.

Ma l’abate Hans li rimproverò di aver usato la forza e proibì loro di chiamare aiuto. Rispedì i due monaci alle loro occupazioni e, per quanto fosse vecchio e debole, portò con sé solo il frate converso nell’orto botanico.

Quando vi giunse, la moglie del brigante passeggiava come prima tra le aiuole. L’abate non poté reprimere lo stupore. Era certo che quella donna non avesse mai visto un orto botanico in vita sua, eppure si muoveva tra le aiuole, ciascuna piantata con la sua specie di fiori rari e sconosciuti, guardandole come se fossero sue vecchie amiche. Sembrava riconoscere sia la pervinca che la salvia e il rosmarino. Ad alcune sorrideva, davanti ad altre scuoteva il capo.

L’abate Hans amava il suo orto botanico quanto gli era consentito amare qualcosa di terreno e perituro. E benché l’intrusa avesse un’aria selvaggia e minacciosa, non poteva fare a meno di apprezzare che avesse lottato contro tre monaci per potersi godere il giardino in santa pace. Le si avvicinò e le domandò pacatamente se l’orto le piaceva.

La moglie del brigante si voltò rabbiosa verso l’abate, aspettandosi solo di essere assalita e sopraffatta, ma quando vide i suoi capelli bianchi e le sue spalle curve gli rispose pacata:

“Alla prima occhiata ho pensato di non averne mai visto uno più bello, ma ora mi accorgo che non regge il confronto con un altro che conosco.”

L’abate Hans non si aspettava certo una risposta simile, e al sentire che la moglie del brigante conosceva un paradiso terrestre più bello del suo, le guance rugose si soffusero di un lieve rossore.

Il frate converso che gli era accanto cominciò subito ad ammonirla.

“Questo è l’abate Hans”, disse, “che con immensa cura e devozione ha raccolto personalmente in questo posto i fiori di paesi lontani e vicini. Sappiamo tutti che non esiste giardino più bello nell’intera Scania, e non spetta a te, che vivi tutto l’anno nella foresta selvaggia, permetterti di giudicare la sua opera.”

“Io non pretendo affatto di farmi giudice né suo né tuo”, replicò la donna. “Dico soltanto che se a voi due fosse dato di vedere il giardino che ho in mente, strappereste tutti i fiori che sono qui e li gettereste via come erbacce.”

Ma il monaco giardiniere era fiero di quelle piante quasi quanto lo stesso abate Hans, e alle sue parole scoppiò in una risata sprezzante.

“Capisco bene che tu voglia indispettirci. Chissà che bel giardino ti sei fatta tra le ginestre e i pini della foresta di Göinge. Oserei giurare sulla salvezza della mia anima che prima d’oggi non eri mai stata in un orto botanico.”

La moglie del brigante diventò rossa di rabbia sentendo che non le credevano e gridò: …

 

Selma Lagerlöf, (1858-1940), maestra elementare destinata a essere la prima donna insignita del Nobel per la letteratura nel 1909 e nominata tra gli Accademici di Svezia, definita da Marguerite Yourcenar “la più grande scrittrice dell’Ottocento”, è stata a lungo l’autrice svedese più nota e amata al mondo, soprattutto per Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson e La saga di Gösta Berling (Iperborea 2007). Tra le sue opere Iperborea ha inoltre pubblicato L’imperatore di PortugalliaL’anello rubatoJerusalem e Il libro di Natale.

 

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.