“Nella balena” di Alessandro Barbaglia edito da Mondadori da oggi in tutte le librerie e on-line. Estratto

Sinossi

Questa è la storia di Herman, figlio della Donna Sirena e dell’Uomo Pesce; è la storia di un bimbo che si fa uomo imparando a lottare dall’Uomo Elefante e allenando all’equilibrio la grande Bird Millman, la poetessa dell’aria: la più straordinaria funambola di tutti i tempi, la prima donna a danzare su una corda sospesa nel vuoto tra due grattacieli. Herman è figlio del circo, il circo classico, quello fatto da “uomini che camminano con la loro bruttezza, fieri di generare meraviglia”.

Ma è anche la storia di Cerro, che invece abita a Novara in una casa troppo grande e troppo vuota perché è rimasto presto senza madre. E anche un po’ senza padre, che insieme alla moglie ha smarrito nei ricordi la sua capacità di amare. Da bambino Cerro contava il tempo in mirtilli: era capace di mangiarne uno al secondo, e portava al guinzaglio CuccioloAlfredo, un cane che sapeva essere dolce solo con lui. Teneva a bada così la solitudine, nutrendosi di piccole gioie. Ma da adulto? Un mirtillo lo farà ancora felice?

Herman e Cerro non s’incontreranno mai, ma avranno per sempre in comune qualcosa di immenso, la più grande attrazione del circo: una balena, Goliath, l’altra protagonista di questa storia. I genitori di Cerro si sono conosciuti proprio davanti a lei, il giorno in cui il circo era di passaggio sulle sponde del lago Maggiore ed Herman guidava il camion su cui viaggiava Goliath. L’amore tra loro è nato nel segno della balena. Ma che cos’è Goliath: un mostro o una meraviglia? E in fondo che cos’è l’amore stesso: un sogno sublime o un incubo spaventoso?

Perché l’irrequieta Marilisa attrae così tanto Cerro? E cosa sono la dedizione e la fede con cui Herman si prende cura per quasi trent’anni della balena? Esiste un amore più giusto di un altro? O forse l’amore è sempre e comunque un esercizio di sottomissione ed elevazione insieme, un’ossessione che ti spacca e ti completa?

Un romanzo potente, poetico e impastato di archetipi, lieve ma capace di scavare in profondità.

Dalla voce unica di Alessandro Barbaglia, una grande storia di abissi ed equilibri sospesi tra le nuvole, di solitudine e incontri prodigiosi, di semi assopiti nella terra che germogliano, miracolosi.

Estratto

A Sara, a Lorenzo,
per avermi aspettato
mentre ero nella balena

«E voi, cosa avete fatto?»
«Oh, niente di speciale» risposi.
«Siamo andati a vedere la balena.»
PAUL GADENNE, La balena

Di mostri è pieno il mondo: marini e terrestri, d’aria e di cielo.
C’è Behemoth, ad esempio, che bruca ogni giorno l’erba di mille colli.
Ma Leviatano è un’altra cosa: come Leviatano non c’è nessuno.

FIABA EBRAICA

Ama impetuosamente
senti forsennatamente
non c’è altra vita.
SERGIO CLAUDIO PERRONI, Entro a volte nel tuo sonno

Previsioni del tempo su Novara e Vercelli per la prima settimana di aprile: caldo nella norma. Precipitazioni: assenti. Venti: N.D.

Il sole sorge alle 6.52 e tramonta alle 20.02.

1

Ha sei anni, si chiama Alessandro. Tutti lo chiamano Cerro.

I bambini di quell’età, di solito, si divertono a giocare agli indiani. A mettere le dita a pistola e fare pum pum con la voce. Ad alcuni piace riempire di sabbia una scarpa, svuotarla in un punto per farne montagne. In tanti pedalano su una bicicletta rossa rischiando le ginocchia, altri non sanno resistere ai rimbalzi del pallone.

Il gioco preferito di Cerro è accorciare le distanze dal padre, Emilio. Per sentirlo vicino prova a invecchiarsi, a mettersi addosso più anni di quelli che ha. A vestirsi e pettinarsi come lui, tanto per cominciare.

Si allaccia la camicia bianca fin sotto il collo, si stringe sul polsino un orologio giocattolo blu. Ai piedi ha mocassini non suoi. Persino i calzini in cotone molle sono del suo papà. La sua testa è un bosco di ricci, ma fa tenerezza la costanza con cui si è accanito sui capelli. Ora sono tutti tirati indietro, bagnati. Appiccicati di brillantina.

Cammina; per un vezzo si appoggia all’ombrello del padre, ne fa un bastone da passeggio. Si guarda allo specchio, è soddisfatto.

Sembro un vecchio di dodici anni pensa. Viene voglia di abbracciarlo.

Suo padre è in studio, lo vede arrivare, sorride.

Non è vero, non sorride. Nel ricordo Emilio è quasi certo di averlo fatto; nel ricordoCerro giurerebbe il contrario.

Ma cos’è un ricordo se non la realtà che non abbiamo scordato?

Allora interviene la Santina.

«Non si disturba ’o dottore quando lavora! ’O dottore non va mai disturbato!»

E cerca di prenderlo, di infilargli le mani sotto le ascelle per sollevarlo di peso, ma Emilio scosta la poltrona dalla scrivania e Cerro gli si siede in braccio.

«Adesso facciamo un gioco» gli dice. «Io mi nascondo, tu conti fino a centotrentasette vaccinium myrtillus, poi vieni a cercarmi.»

La Santina sostiene che Cerro sia un orologio, che sappia divorare un mirtillo al secondo. Se gliene dai una scodella da sessanta, in un minuto la svuota.

La ragione per cui il bimbo sa che il nome scientifico del mirtillo è vaccinium myrtillus è la stessa per cui invece di Alessandro tutti lo chiamano Cerro: sua madre. Impiegherà una vita a scoprirlo.

«Stai qui fino a centotrentasette» ripete puntando l’aria con l’indice perché suo papà non scordi quel numero. «E poi vieni a cercarmi.»

In giardino, dietro un albero, scalzo e spettinato, solo, lo recupera la Santina.

È ora di cena.

2

Adesso Cerro ha più o meno l’età che aveva suo padre il giorno dei centotrentasette mirtilli; adesso si assomigliano molto. Addirittura, anche se non si capisce chi dei due ha preso la decisione di lasciarseli crescere e chi l’ha imitata, hanno entrambi smesso di pettinarsi i capelli all’indietro. E se quelli di Cerro sembrano una foresta, quelli di Emilio non sono da meno. Solo più bianchi.

N’avessero dati due in più pure a me di sti cespuji! pensa la Santina. È rimasta con loro ogni giorno, tutta la vita. Lei i capelli li ha fini fini, lisci lisci, radi radi. Neri. Li raccoglie spezzati qua e là.

Sono trascorsi più di trent’anni, in quella famiglia non è cambiato nulla. Anche Caterina, la mamma di Cerro, è ancora un fantasma per tutti. Ma per non esagerare, racconteremo una cosa triste alla volta.

Una sera, sul mobile all’ingresso, Cerro trova una busta ben sigillata. La rigira tra le dita, ne legge il mittente: Emilio.

«La spedisco?»

«E a chi?»

«Papà, se non lo sai tu…»

Ed Emilio no, non lo sa. E ha dei dubbi anche su un fatto: ma chi è questo tizio che lo chiama papà? Il postino?

Non ci si abitua mai. Per Cerro, scene del genere sono un’ape sul labbro. Il rischio di un dolore. Ecco perché Cerro di suo padre non parla mai.

La bicicletta su cui pedala però è di Emilio; se piove, in ufficio ci va con la sua attrezzatura. L’orologio troppo costoso e fuori moda che indossa? È quello del padre, lo usa per bellezza, è fermo, non serve a nulla. Cerro ce l’ha sempre addosso. Come da bambino, gli ruba le scarpe e i vestiti: ora gli vanno giusti. Voleva crescere in fretta e così, a trentotto anni, indossa già una vecchiaia non sua, è ammalato di un guaio che non gli appartiene: la malattia di suo padre.

«Ma dove le compri tutte queste cose antiche? Nell’Ottocento?» gli chiedono i colleghi, al lavoro.

«Sono di mio padre.»

«E non ti dice niente?»

«Ha un guaio alla memoria selettiva, se gliele prendo non se ne accorge.»

«Intendevo: non ti dice niente che ti stanno male?»

«Ha sempre quel guaio alla memoria. Non si accorge neanche di quello.»

S’interrompe; santo cielo, che ha fatto! Che gli è saltato in mente di raccontare! Questa è gente che può solo fraintendere: chi vive con un malato, altro non può fare che una vita malata, ma la gente che non lo sa non può capire come stanno le cose, neppure sa dispiacersene in maniera coerente.

«Oh mi spiace.» Questa è la voce del ragazzo più giovane che c’è lì dentro. Matteo. «Mi spiace moltissimo. Però almeno se prendi una multa la fai pagare a lui. Se ti dimentichi del suo compleanno non si offende. Se non ti sposi non può rimproverarti che non trovi una donna. No? Non è male se puoi fare cose così. Perché le puoi fare cose così, vero?»

Stagisti.

Matteo ha ventisei anni, sta nel suo ufficio da quindici giorni. Vorrebbe mettersi un chip nel cervello per connettersi a internet con il pensiero. E tra un mese, se lo lasciano a casa, farà la coda per il reddito di cittadinanza perché con quello guadagna di più e sta sul divano a sviluppare App.

Benvenuto, futuro del mondo! E vorrebbe dirgli che le cose che può fare con suo padre sono lavargli il culo perché si caga addosso, imboccarlo perché non sa dov’è la bocca, badare che di notte non scappi.

Si alza, va alla finestra.

«Sì» risponde spalancandola, «potrei fare anche cose così.»

«Fantastico, no?»

C’è un po’ di vento. Trascina dentro un’ape esploratrice. Cerro d’istinto la schiaccia sulla scrivania; lo scricchiolio d’ali non lo consola. Più tardi, in bagno, si leverà il pungiglione. Il dolore resterà ben più a lungo.

3

È aprile, è lunedì, Emilio cucina.

Assaggia la pasta, la scola. La condisce col pesto, ci aggiunge un po’ d’olio. Ne ha fatta una montagna. Con due forchette gira tutto nella zuppiera, poi ci tempesta sopra dell’altro formaggio. Sì, la tavola l’ha già apparecchiata per tre, è la prima cosa che ha fatto. Ha un metodo per muoversi in casa da solo, l’ha copiato pari pari da un’idea di Caterina: Il diario botanico si chiama quel sistema. Anche Cerro ha imparato così a vivere ordinato.

Per Emilio certe volte funziona davvero alla grande. Con la ricetta, ad esempio, è un trionfo; è sui tempi che non dà mai garanzie. Impiatta le trofie per tre, sono le sette e un quarto di lunedì mattina.

Risvegli, la Santina li chiama così: ama quel film con Robin Williams e Robert De Niro, gliel’ha fatto vedere Emilio migliaia di volte perché è tratto da un libro di Oliver Sacks, il suo collega. Eh sì, i due hanno fatto un po’ di convegni insieme qui e là prima che nascesse Cerro, quando Emilio le malattie le conosceva perché le studiava, non perché ne ospitasse una.

Risvegli: non è la stessa cosa, è ovvio, non è nemmeno la stessa malattia, ma lei, per intendersi, li chiama così. Risvegli, quando capitano trasformano il dottore in un uomo completo di passato, in un uomo con un futuro. Il presente, quel fantasma che chiamiamo adesso, è un tempo che non esiste mai per nessuno. Durano un giorno, un pomeriggio, a volte mezz’ora. Certe volte – sono rari, sono i peggiori – durano anche tre, quattro, cinque giorni di fila. E sono dolorosi perché illudono Cerro, perché glielo fanno vedere bellissimo e anziano come sarebbe giusto che fosse. Giorni in cui Emilio esce da solo e rispetta le strisce pedonali, mangia con le posate, cucina o sa come essere elegante con una signora. Recita a memoria la formazione del grande Torino. Da Bacigalupo a Mazzola, senza saltare Ferraris II. O L’infinito di Leopardi che alla fine hai le lacrime. Racconta una barzelletta, qualcosa dei suoi pazienti. Non chiede mai niente di Caterina.

Fuori dai Risvegli, invece, Emilio senza Il diario botanico non sa nemmeno contare i mirtilli.

«L’hai fatta col pesto?»

Cerro gli si siede a fianco. Quell’odore di aglio, al mattino, è tremendo. Vorrebbe un caffè, ma se suo padre è riuscito a fare una cosa del genere tutto da solo, in cuor suo un pochino è felice. È come quando un bimbo ti porta la zuppa di sassi e terra: che fai, non fingi che sia una delizia?

Emilio ne approfitta subito. Gli passa le posate.

«Raccontami perché ti chiami così» chiede, «raccontami quella del tuo nome o niente.»

E quel niente vuol dire che senza quella storia lui non mangerà. E la colazione è importante perché a stomaco vuoto non può prendere il litio, il calcio, il magnesio, il fluoro, la pastiglia per le crisi epilettiche, il gastroprotettore… Senza colazione non può prendere i farmaci: un esercito in fila di capsule colorate bianche/rosse, bianche/blu, grigie/grigie da ingoiare con un sorso d’acqua.

L’ autore

Alessandro Barbaglia, poeta e libraio, è nato nel 1980 e vive a Novara.
Nel 2017 ha pubblicato con Mondadori La Locanda dell’Ultima Solitudine, finalista al premio Bancarella.
Il suo secondo romanzo, L’Atlante dell’Invisibile, è uscito nel 2018.
Ha curato l’antologia di poesia Che cos’è mai un bacio? I baci più belli nella poesia e nell’arte (Interlinea, 2019) e racconta storie vere al 97% per il canale podcast 
pocketstories.it

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.