Tutto cambia nel giro di pochi secondi per Dawn Edelstein. La donna si trova su un aereo quando l’assistente di volo fa un annuncio: «Prepararsi per un atterraggio di fortuna». I pensieri cominciano ad attraversarle la mente. Ma non riguardano suo marito, bensì un uomo che non vede da quindici anni: Wyatt Armstrong. Dawn sopravvive miracolosamente allo schianto. Nella sua vita non manca nulla: ad aspettarla a Boston ci sono il marito Brian, la loro amata figlia e il suo lavoro di doula di fine vita, che consiste nell’aiutare i suoi clienti ad alleviare la transizione tra la vita e la morte. Ma da qualche parte in Egitto c’è Wyatt Armstrong, che lavora come archeologo portando alla luce antichi luoghi di sepoltura: una carriera che Dawn è stata costretta ad abbandonare. E ora che il destino le offre una seconda possibilità, non è così sicura della scelta che ha fatto. Dopo l’atterraggio di emergenza, potrebbe prendere un’altra strada: tornare al sito archeologico che ha lasciato anni fa, ritrovare Wyatt e la loro storia irrisolta, e forse anche completare la sua ricerca sul Libro delle Due Vie, la prima mappa dell’aldilà. I due possibili scenari per Dawn si svelano l’uno al fianco dell’altro, così come i segreti e i dubbi a lungo sepolti insieme a loro. È il momento di affrontare le domande che non si è mai veramente posta: cos’è una vita vissuta bene? Quando abbandoniamo questa terra, cosa ci lasciamo dietro? Facciamo delle scelte… o sono le nostre scelte a fare noi? E chi saresti, se non fossi diventata la persona che sei adesso?
A Frankie Ramos
Benvenuto in famiglia (con le mie mille domande
di medicina)!
E a Kyle Ferreira Van Leer
Che per primo mi ha parlato del Libro delle Due Vie
e mi ha fatto pensare.
La morte sarà una straordinaria avventura.
J.M. BARRIE, Peter Pan
Prologo
Il calendario del mio cellulare è pieno di morti.
Quando sento il segnale acustico, pesco il telefonino nella tasca dei miei pantaloni cargo. Con il cambio dell’ora, ho dimenticato di disattivare il promemoria. Sono ancora intontita dal sonno, ma apro la data e leggo i nomi: Iris Vale. Eun Ae Kim. Alan Rosenfeldt. Marlon Jensen.
Chiudo gli occhi e, come ogni giorno a quest’ora, li ricordo.
Iris, minuscola come un uccellino al momento della morte, una volta aveva guidato l’auto in fuga di un rapinatore di banca del quale era innamorata. Eun Ae, che aveva fatto il medico in Corea, ma non poteva esercitare negli Stati Uniti. Alan mi aveva mostrato con fierezza l’urna che aveva acquistato per i propri resti dopo la cremazione, dicendo scherzosamente Non l’ho ancora provata. Marlon aveva cambiato tutti i servizi igienici in casa, sostituito i pavimenti e pulito le grondaie. Aveva comprato i regali di laurea per i suoi due figli e li aveva nascosti. Aveva accompagnato sua figlia di dodici anni nella sala da ballo di un albergo e aveva danzato il valzer con lei, chiedendomi di filmarli con il suo telefono, così il giorno delle nozze ci sarebbe stato un video di quando ballava con suo padre.
Tempo fa, sono stati i miei clienti. Adesso, sono le mie storie da custodire.
Nella mia fila dormono tutti. Ripongo il cellulare in tasca e, con una fluidità da yoga del viaggiatore, oltrepasso cautamente la donna alla mia destra senza disturbarla per raggiungere il bagno in fondo all’aereo. Mi soffio il naso e mi guardo allo specchio. A questa età è sempre una sorpresa: mi aspetto ancora di vedere una donna più giovane invece di quella che ricambia il mio sguardo. Piccole rughe si aprono a ventaglio dagli angoli dei miei occhi, come le pieghe di una carta geografica che conosco a memoria. Se sciogliessi la treccia che ricade sulla mia spalla sinistra, queste terribili luci al neon evidenzierebbero i primi fili grigi tra i miei capelli. Indosso pantaloni ampi con l’elastico in vita, come qualsiasi altra quarantenne di buon senso quando sa di dover affrontare un lungo viaggio in aereo. Prendo una manciata di fazzoletti di carta e apro la porta, con l’intenzione di tornare al mio posto, ma il piccolo spazio cucina è gremito di assistenti di volo assiepate come rughe sulla fronte.
Non appena compaio, smettono di parlare. «Signora», dice una di loro, «può tornare al suo posto, per favore?».
Di colpo mi viene in mente che il loro lavoro non è molto diverso dal mio. Quando sei su un aereo, non ti trovi al punto di partenza, ma neanche a quello di arrivo. Sei sospeso nel mezzo. Un’assistente di volo è la guida che ti aiuta a superare quel passaggio serenamente. È quello che faccio anch’io, come doula di fine vita, ma il viaggio è dalla vita alla morte, e alla fine non si sbarca insieme ad altri duecento viaggiatori. Si va da soli.
Scavalco di nuovo la donna addormentata nel posto lato corridoio e mi allaccio la cintura di sicurezza proprio mentre le luci in alto si accendono e l’abitacolo si anima.
«Signore e signori», annuncia una voce, «abbiamo appreso dal capitano che sarà necessario pianificare un’emergenza. Siete pregati di ascoltare le assistenti di volo e di seguire le loro indicazioni».
Mi sento gelare. Pianificare un’emergenza. Quell’ossimoro mi si fissa nella mente.
C’è un’improvvisa scarica di suoni, e lo spavento pervade l’abitacolo, ma niente urla, niente strilli. Perfino il neonato dietro di me, che ha pianto per le prime due ore di volo, tace. «Stiamo precipitando», sussurra la donna vicino a me. «Oh, mio Dio, stiamo precipitando».
Di sicuro si sbaglia: non c’è stata nessuna turbolenza. Tutto si è svolto regolarmente. Ma ecco le assistenti di volo nel corridoio, che eseguono una strana, intermittente danza per illustrare le istruzioni annunciate dagli altoparlanti. Allacciate le cinture di sicurezza. Quando sentirete le parole “prepararsi all’impatto”, assumete la posizione adeguata. E quando l’aereo avrà completato l’atterraggio, sentirete “slacciate le cinture”. Uscite. Non portate niente con voi.
Non portate niente con voi.
Per essere una che vive di morte, non ho pensato granché alla mia.
Ho sentito dire che quando stai per morire, ti passa davanti in un istante tutta la tua vita.
Ma non riesco a visualizzare Brian, mio marito, con il maglione inevitabilmente segnato dalla polvere di gesso delle vecchie lavagne nel suo laboratorio. E neanche Meret, da bambina, che mi chiede di controllare se ci sono mostri sotto il letto. Non vedo nemmeno mia madre, né alla fine né prima, quando Kieran e io eravamo giovani.
Invece, vedo lui.
Nitidamente come se fosse ieri, immagino Wyatt nel bel mezzo del deserto egiziano, con il sole che batte sul suo cappello, sul collo la traccia scura della sabbia sollevata dal vento incessante, il sorriso luminoso. Un uomo che non fa più parte della mia vita da quindici anni. Un luogo che mi sono lasciata alle spalle.
Una tesi che non ho mai portato a termine.
Gli antichi Egizi credevano che per ottenere la vita nell’aldilà fosse necessario risultare privi di colpe nella Sala del Giudizio. Su un piatto della bilancia si pesava il cuore, sull’altro la piuma di Ma’at, dea della verità.
Non so se il mio cuore riuscirebbe a passare.
La donna alla mia destra prega a bassa voce in spagnolo. Cerco tentoni il telefono, con l’intenzione di accenderlo, di mandare un messaggio, anche se so che non c’è campo, ma non riesco a slacciare il bottone della tasca. Una mano prende la mia e la stringe.
Abbasso lo sguardo sui nostri pugni, così stretti l’uno all’altro che nemmeno un segreto potrebbe insinuarsi tra i nostri palmi.
Prepararsi all’impatto, sbraitano le assistenti di volo. Prepararsi all’impatto!
Mentre cadiamo dal cielo, mi domando chi si ricorderà di me.
Molto tempo dopo avrei appreso che nei paesi di lingua anglofona, quando un aereo si schianta e arriva il personale di emergenza, le assistenti di volo riferiscono quante souls, ‘anime’, erano a bordo. Anime, non persone. Come per sottolineare che i nostri corpi sono soltanto di passaggio, e per breve tempo.
Avrei anche appreso che uno dei filtri del carburante si era intasato a metà volo. La seconda spia che lo segnalava si era accesa in cabina quarantacinque minuti dopo e i piloti, nonostante tutti i loro tentativi, non erano riusciti a pulire il filtro e avevano capito che occorreva un atterraggio di fortuna. Avrei saputo che l’aereo aveva toccato terra nei pressi dell’aeroporto di Raleigh-Durham, piantandosi nel campo di football di una scuola privata. Aveva colpito le tribune con un’ala, per poi impuntarsi e rovesciarsi, andando in mille pezzi.
Molto tempo dopo avrei appreso che la famiglia con bambino dietro di me, la cui fila di tre posti fu staccata dal pavimento e scagliata fuori dal velivolo, rimase uccisa all’istante. Avrei saputo delle altre sei persone schiacciate dalla lamiera che si accartocciava; dell’assistente di volo che non uscì mai dal coma. Avrei letto i nomi dei passeggeri delle ultime dieci file che non fecero in tempo a uscire dalla fusoliera distrutta prima che l’aereo prendesse fuoco.
Avrei appreso che ero una delle trentasei persone sopravvissute allo schianto.
Quando esco dalla sala visite dell’ospedale dove ci hanno portato, sono disorientata. Nel corridoio c’è una donna in uniforme intenta a parlare con un uomo che ha un braccio fasciato. Fa parte di una squadra di pronto soccorso della linea aerea che ha supervisionato i controlli medici, distribuito indumenti puliti e cibo e fatto affluire parenti disperati.
«La signora Edelstein?», dice, e io sgrano gli occhi, finché non mi rendo conto che si rivolge a me.
Un milione di anni fa, ero Dawn McDowell. Ho anche pubblicato con quel nome. Ma sul mio passaporto e sulla patente c’è scritto Edelstein. Come su quelli di Brian.
Ha in mano una lista di sopravvissuti al disastro.
Mette un segno di spunta accanto al mio nome. «L’ha già visitata un medico?».
«Non ancora». Lancio un’occhiata di sbieco alla sala visite.
«D’accordo. Avrà qualche domanda…?».
Un eufemismo.
Perché io sono viva e gli altri no?
Perché ho prenotato proprio quel volo?
E se mi avessero trattenuta al check-in e l’avessi perso?
E se avessi fatto una qualsiasi delle migliaia di altre scelte che avrebbero potuto tenermi lontana da quell’incidente?
Mi viene in mente Brian e la sua teoria del multiverso. Da qualche altra parte, in un tempo parallelo, c’è un’altra me al mio funerale.
E nel contempo penso ancora, sempre, a Wyatt.
Devo uscire di qui.
Non mi rendo conto di averlo detto a voce alta finché la funzionaria della linea aerea non risponde.
«Quando avremo il rapporto del medico, sarà libera di andarsene. Verrà qualcuno a prenderla, o dobbiamo occuparci noi del suo viaggio?».
A noi fortunati hanno detto che potremo avere un biglietto aereo per qualunque destinazione, per ritornare al punto di partenza del nostro volo ma anche per qualsiasi altro luogo, se necessario. Io ho già telefonato a mio marito. Brian si è offerto di venirmi a prendere, ma gli ho detto di no. Senza spiegargli perché.
Mi schiarisco la voce. «Vorrei prenotare un volo».
«Sì, certo!». La donna annuisce. «Dove deve andare?».
A Boston, penso. A casa. Ma lei mi ha chiesto dove devo andare, non dove voglio. E un’altra destinazione appanna la mia mente.
Le mie labbra si schiudono, e io rispondo.
Jodi Picoult, è autrice di numerosi bestseller. Il Libro delle Due Vie è il suo ultimo romanzo: uno dei migliori libri dell’anno per «Marie Claire», in corso di traduzione in diciotto paesi, primo in classifica negli Stati Uniti, è un clamoroso successo.
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