In libreria “La ribelle di Auschwitz”

Una commovente storia vera
Rosie si è sempre sentita ripetere che i suoi fiammanti capelli rossi sono una maledizione, ma non ha mai dato peso a quella diceria. Tuttavia, nel 1944 la sua vita subisce una svolta tanto nefasta da dare quasi ragione alle malelingue: i nazisti la prelevano da casa e la rinchiudono nel campo di concentramento di Auschwitz.
Qui la meravigliosa chioma di Rosie viene rasata a zero, e per lei si prospetta un futuro fatto di orrore e di morte. Nel suo cuore, però, alberga un’indomita determinazione. A dispetto di tutto, mentre intorno a lei i compagni di prigionia si rassegnano al loro destino, Rosie decide che sopravvivrà e tornerà a casa.
Nechama Birnbaum racconta l’incredibile storia di sua nonna, rinchiusa nel più spaventoso dei lager nazisti e ostinatamente sopravvissuta alle privazioni e alle marce forzate.
Bestseller negli Stati Uniti
Le avevano detto che i suoi capelli rossi erano una maledizione e che sarebbe morta lì.
Rosie non ci ha creduto ed è sopravvissuta all’orrore di Auschwitz.

«Tutti dovrebbero leggere questo libro e far proprio il suo messaggio.»
«Il lettore riesce a sentire e vedere tutto quello che Rosie sente e vede… anche quelle cose che uno non vorrebbe vedere e sentire mai.»
«La storia di una donna che ha sofferto tremendamente, ma che non ha mai perso la voglia di vivere.»
«Un libro meraviglioso, commovente e che fa riflettere.»
«Non mi sono mai emozionata tanto leggendo un libro.»

Questo libro è dedicato a mia madre, che come Rosie ha i capelli rossi e che è la donna più coraggiosa che conosco.
Ma è dedicato anche alle mie figlie, che le assomigliano in spirito e che sono la cosa più bella che mi sia capitata.

«(Davide) era fulvo, e con begli occhi»
Samuele I 16:12

«Io non morirò, anzi vivrò», recita il Salmo, e continua: «e racconterò le opere del Signore».
A volte il rifiutarsi di morire, la persistenza della santità della vita, sono essi stessi opera del Signore.
Rabbi Lord Jonathan Sacks

PARTE PRIMA

1

Crasna

10 maggio 1944

Perché i popoli dovrebbero dire:

«Dov’è il loro Dio?».

Il nostro Dio è nei cieli,

Egli opera tutto ciò che vuole.

Salmo 115:2-3

Il rullo dei tamburi accompagnerà tutte le principali svolte della mia vita, ma quando lo sento esplodere per la prima volta non ne registro quasi il frastuono. Riecheggia attutito in lontananza, un rumore di fondo nella storia che mi sto raccontando nella fantasia. So che la mia mente sta andando alla deriva, e mi godo la libertà di lasciarla vagare. Il ruscello lappa le rocce accanto a me, le libellule ronzano e i lunghi rami del salice danzano nella brezza, creando una delicata orchestra di piccoli suoni che mi cullano in uno spazio in cui nulla ha più importanza, e tutto è bene. Ma poi: «Boom!». Di nuovo quel fracasso. Stavolta lo registro. Tamburi? Perché mai qualcuno dovrebbe picchiare su un tamburo nel bel mezzo della giornata?

Mi volto verso quel rumore e vedo due soldati ungheresi che avanzano a passo di marcia. Uno ha un tamburo appeso al collo, come una collana, e ci picchia sopra con grande energia. L’altro ha una tromba in una mano e un megafono nell’altra.

«Tutti gli ebrei si rechino nella piazza principale!», grida. «Attenzione! Attenzione! Tutti gli ebrei si rechino nella piazza principale!».

Di nuovo quegli ungheresi. Non fanno che ribadire che hanno il pieno controllo sulla nostra cittadina. Ma non è vero. Il mio villaggio, Crasna, sorge sul confine tra Ungheria e Romania, e i due Paesi hanno sempre bisticciato per noi come bambini che si contendono un giocattolo. Anche a me piacerebbe battermi per il mio villaggio. È un bel posto. Montagne frastagliate disegnano l’orizzonte come grandi fortezze, e il ruscello ci avvolge come il fossato di un castello. Un tempo pensavamo che quel ruscello ci avrebbe protetti, ma in realtà gli ungheresi ci tengono nelle loro sudicie mani ormai da quattro anni. Con loro la nostra situazione è un po’ cambiata, ma ormai ci siamo abituati.

Nella piazza principale del villaggio, decine di persone vagano qua e là. Sembrerebbe la vigilia di un giorno festivo, ma invece di fare compere alle bancarelle del nostro piccolo mercato tutti si affollano attorno a un palco eretto proprio davanti alla chiesa. Sulla pedana c’è un ufficiale della Gendarmerie, con un megafono in mano.

«Attenzione, a tutti gli ebrei!», grida. In piazza c’è quasi l’intera città, non solo gli ebrei. In un angolo vedo mia sorella Leah con le sue amiche. Vedo anche mio fratello, Yecheskel, attorniato dai suoi compagni della yeshiva1. Intravedo la migliore amica di mia madre, Kokish Emma. Mamma però non la vedo da nessuna parte.

«Attenzione, ho detto!», grida l’ufficiale.

Il chiasso si zittisce.

«Tutti gli ebrei devono andare subito a casa a preparare una valigia. Metteteci dentro solo vestiti e roba da mangiare. È della massima importanza che lasciate a casa tutti gli oggetti di valore». Sorride. «Dovranno essere esposti in modo da permetterci di esaminarli. Se non lo farete, ne subirete le conseguenze. Andate a casa e fate le valigie, partirete al più presto. Fatelo subito, vi assicuro che sarà meglio per voi se vi farete trovare pronti». Poi mette giù il megafono e scende dalla pedana. Il caos in piazza ricomincia più forte di prima, ma stavolta è carico di perplessità. Deglutisco forte, la nausea mi risale dalla gola.

Mi avvio verso casa, e Leah mi raggiunge mentre entro nel cortile. La curva delle sue sopracciglia tradisce la preoccupazione, c’è paura nei suoi occhi scuri. Ha 17 anni, esattamente 17 mesi meno di me, ed è almeno 17 volte più intelligente di me.

«Cosa diavolo intendeva dire?», mi chiede mentre attraversiamo il cortile.

«Non lo so. Ma mi rende parecchio nervosa».

Entriamo in casa. Mamma ha in mano una casseruola che deve aver appena ritirato dalla stufa. «Dove siete state? Perché siete così nervose?»

«Non hai sentito i tamburi, mamma?», le domanda Leah. «Hanno convocato tutti gli ebrei nella piazza principale. Un ufficiale della Gendarmerie ha detto che dobbiamo riempire una valigia con la nostra roba e consegnare tutti gli oggetti preziosi agli ufficiali che verranno a prenderli».

«C’era tutta la città!», dice Yecheskel, pulendosi le scarpe sullo stuoino e spazzolandosi bene le maniche della giacca prima di entrare. A 13 anni si crede già un uomo, ma in realtà è ancora un ragazzo.

«Non ho sentito niente, con la stufa che sferragliava come al solito. Ho fatto il pane. Immagino che dovrò mettere anche quello nella valigia».

«Cosa pensi che vogliano da noi?», le domando.

«Non lo so, ma non può essere niente di buono».

Io, Leah e Yecheskel ci guardiamo con espressione sbigottita. Poi, all’improvviso, senza dire una parola mamma va all’armadio dell’ingresso e tira giù una valigia dal ripiano più alto. Prende i vestiti appesi nell’armadio e li mette sul tavolo. Sentiamo un rimbombo inquietante: da qualche parte in lontananza il soldato picchia sul suo tamburo, e ben presto ci ritroviamo a muoverci seguendo quel ritmo.

«Mettetevi i vestiti migliori che avete», dice mamma. «Dobbiamo essere eleganti per affrontare quello che ci accadrà. Ah, e prendete i cardigan». Poi ci passa gli altri vestiti dell’armadio. Io e Leah li impiliamo diligentemente sul tavolo, li pieghiamo e li infiliamo nella valigia. Mi accorgo che mi tremano le mani. Sembra così strano fare le valigie senza sapere dove andremo. Solo un’ora fa non andavamo proprio da nessuna parte.

«Mamma, il tuo anello di fidanzamento!», le dico. È l’unica cosa preziosa che abbiamo. Papà gliel’ha regalato quando le ha chiesto di sposarlo, e anche se ormai è morto da tredici anni vedo che mamma lo guarda tutti i giorni. Non riesco nemmeno a immaginare che debba separarsi dall’unico ricordo di papà lasciandolo nelle mani degli ungheresi…

foto presa dal web

Nechama Birnbaum ha deciso di scrivere la storia di sua nonna Rosie perché tutto il mondo potesse conoscerla e riflettere sugli orrori dell’Olocausto. Vive a New York. Rosie Greenstein si è spenta nella primavera del 2022, pochi giorni dopo la pubblicazione del libro, all’età di 96 anni. Dopo 77 anni dalla liberazione.

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.