Anteprima: “Pioggia sottile” di Luis Landero

Disponile dal 7 febbraio 2023

A Madrid vive una famiglia come tante: una madre vedova ormai anziana, tre figli adulti. La madre fra poco compirà ottant’anni e, per l’occasione, l’unico figlio maschio vuole organizzare un pranzo che riunisca tutti. Ma le sorelle non ci stanno: ha forse dimenticato che non si parlano più da mesi? In effetti, a ben guardare la situazione è tutt’altro che idilliaca. Nel tempo, malumori e risentimenti di ogni sorta hanno logorato i rapporti, in un groviglio di accuse reciproche che sembra inestricabile: la gelosia fra le due figlie, il loro comune rancore verso il fratello, ma anche verso la madre, colpevole di aver sempre preferito lui. All’annuncio di questo pranzo imminente, i problemi tornano a galla e ognuna delle donne di famiglia cerca un’alleata in Aurora, l’irreprensibile nuora e cognata che suo malgrado è diventata la confidente di tutti ed è costretta a trascorrere le giornate al telefono ascoltando le loro lamentele. Cosa che comincia a pesarle più di quanto potesse immaginare… Si può parlare di tutto con i propri cari? Nessun racconto è innocente, tantomeno lo è quello che ci raccontiamo sulla nostra famiglia.
Lo straordinario Pioggia sottile, il romanzo dell’anno per le testate spagnole più autorevoli, pluripremiato e accolto dal pubblico con un entusiasmo che l’ha mantenuto ai vertici delle classifiche di vendita per mesi, è il libro che tutte le famiglie spagnole hanno letto: un romanzo commovente e vivace che trascina il lettore in un vortice di incomprensioni in cui la necessità di affermare la propria verità è più forte del desiderio di riappacificazione.

«Pioggia sottile è un romanzo eccezionale, ci parla dei segreti familiari che si trasformano in demoni, in oscurità, in oblio. Landero è diventato il nostro Dostoevskij. Landero è uno dei più grandi scrittori del mondo».
Manuel Vilas


«Con la sua prosa ammirevole, marchio di fabbrica, Pioggia sottile ci conduce dentro il tortuoso labirinto delle relazioni familiari, dei ricordi opprimenti, dei conflitti mai risolti. È difficile per il lettore non farsi risucchiare nel vortice di questo intenso romanzo».
Fernando Aramburu


«Una grande storia percorsa da una tensione spesso insostenibile. Aurora interpreta in maniera magistrale la parte che tutti a volte interpretiamo, quella del grande ascoltatore. Questo è un libro che vorrei rileggere, perché soltanto verso la fine ho capito quanto sia brillante».
Herman Koch


«Non è solo un bel libro: è un libro da consigliare assolutamente a chi vuole capire la vita. È una grande metafora, come Madame Bovary o I fratelli Karamazov».
Juan Cruz Ruiz, «El Día»

Per Alejandro, il mio figlio adorato,

il mio coraggioso filosofo.

Sempre nel cuore

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Ormai sa con certezza che le storie non sono innocenti, non del tutto innocenti. Forse non lo sono nemmeno le conversazioni di ogni giorno, gli inciampi ed equivoci verbali o il parlare tanto per parlare. Forse nemmeno quel che si dice nei sogni è del tutto innocente. C’è qualcosa nelle parole che, di per sé, comporta un rischio, una minaccia, e non è vero che il vento se le porta via facilmente come dicono. Non è vero. Può succedere che gli echi di certe cose dette, perfino le più banali, rimangano per molti anni come in letargo, a palpitare debolmente in un angolo della memoria, in attesa dell’opportunità di tornare al presente per puntualizzare e correggere ciò che a suo tempo non era del tutto chiaro, e spesso con un’eloquenza e una rilevanza notevoli, molto superiori a quelle che avevano in origine. Eccoli lì, basta guardarli, arrivano indossando strane vesti, al ritmo di musiche esotiche, con un’aria del tutto nuova, e il fatto è che portano notizie, grandi e sorprendenti notizie, di un passato che forse non è mai esistito. E capita, ogni singola volta, che le storie o le parole riemerse dagli oscuri anfratti della memoria tornino con intenzioni bellicose, cariche di rimostranze, bramando rivendicazione e discordia. È come se durante il lungo esilio dell’oblio si fossero addentrate nei loro mondi immaginari, frugandone le viscere, come il dottor Moreau con le sue creature mostruose, fino a subire una totale, fantastica metamorfosi. Così, con il loro lugubre seguito di figure grottesche ma al tempo stesso incredibilmente seducenti, le parole e le storie di ieri giungono fino a noi e impongono alla nostra coscienza la tirannia, la deliziosa tirannia, dei loro nuovi significati e argomenti. Ah!, e tutto senza contare la dimensione teatrale delle parole, i gesti che facciamo quando parliamo, che a volte sono più persuasivi delle parole stesse e a queste sopravvivono nella memoria, di modo che spesso non sappiamo con certezza se stiamo ricordando le frasi o piuttosto la loro messa in scena, il repertorio di cenni che le accompagnava, i sorrisi, gli sguardi, le mani, le spalle, le pause, il segreto brusio del silenzio e del corpo.

Nere congetture attraversano e agitano la mente di Aurora, facendo calare una bruma di stanchezza sul suo volto. È che ha passato molto tempo, quasi tutta la vita, ad ascoltare racconti, confidenze, parole e parole pronunciate sempre a voce bassa e in tono adirato e sofferente. Storie che solitamente provengono da un tempo lontano, successe in un passato remoto, ormai quasi leggendario, ma che mantengono il vigore e la vivacità di allora, se non di più. Cosa ci sarà in Aurora che mette subito a proprio agio le persone, risvegliando in loro la voglia di confidarsi e raccontarle frammenti antologici di vita, segreti che forse il narratore non ha mai rivelato a nessuno? Eppure a lei sì. Con lei tutti si aprono, tutti le vogliono bene, tutti la ringraziano per la comprensione, per quel suo modo di ascoltare così dolce, così confortante.

Forse si tratta di un dono innato e quasi miracoloso, perché chi la guarda non può fare a meno di sorridere, di rivolgersi a lei per chiederle una sciocchezza qualsiasi, come si chiama, qual è il suo segno zodiacale o il suo fiore preferito, e così ben presto tutti finiscono per raccontarle piccole gioie, obiettivi raggiunti, tentennamenti e infine grandi sventure.

“È proprio così che ho conosciuto Gabriel”, pensa. Ormai sono passati quasi vent’anni da allora. Si erano scambiati uno sguardo fugace incrociandosi in una via affollatissima, Gabriel si era fermato con un improvviso stupore in volto, le si era avvicinato tra la gente e, socchiudendo gli occhi come se avesse dovuto decifrare qualcosa di confuso, le aveva chiesto se per caso non si conoscessero, lei aveva risposto di no, lui insisteva a dire di sì, con la faccia di chi interroga i ricordi, sicuro che si fossero incontrati da qualche altra parte, o magari in una vita precedente, o in sogno, i passanti serpeggiavano veloci tra loro, e il resto è storia: lasciami indovinare o ricordare il tuo nome, che bel nastro hai nei capelli, di dove sei, che lavoro fai, sicura che non ci conosciamo già?, e quello stesso pomeriggio si erano rifugiati in un caffè e Gabriel le aveva parlato a lungo di sé, delle sue passioni, delle sue manie, dei suoi progetti per il futuro, poi le aveva raccontato un bel pezzo della sua vita, e lei ascoltava senza dare il minimo segno di stanchezza, si rallegrava o si affliggeva insieme a lui, sempre così attenta al racconto, così dedita alle parole e alle pause, così pronta a stupirsi, così docile, affabile. «Non ho mai, mai conosciuto una persona… come dire, così speciale e affascinante, una persona dolce come te», aveva detto alla fine Gabriel, per chiudere al meglio l’incontro, e quelle parole erano state il principio di una dichiarazione d’amore.

Poi l’aveva accompagnata a casa e, visto che lei era una confidente tanto eccezionale, lungo la strada le aveva parlato della felicità, il suo argomento preferito, poiché non invano era professore di filosofia e fin da molto giovane, da quando era solo un ragazzino, aveva letto e ragionato parecchio sulla questione, e conosceva bene i percorsi che in ogni epoca e in ogni società gli esseri umani avevano scelto per arrivare a essere più o meno felici. «Interessante», aveva detto Aurora, e allora Gabriel aveva preso coraggio e aveva esclamato che era convinto che la felicità si può imparare e che dovrebbe essere la nostra prima occupazione fin da bambini, così come è necessario imparare a convivere con i contrattempi che il destino pone sulla nostra strada, e che la prima lezione di tutte consiste nell’alleggerire l’anima per poter fluttuare sopra la vita – e a quel punto aveva fatto ondeggiare le dita a mezz’aria come se imitasse il fluire dell’acqua –, senza lasciarci ferire dalle asprezze della realtà, e senza che l’avversità o la fortuna, né il tedioso scorrere dei giorni, né la tentazione mortale di desiderare l’impossibile, né il fatalismo, né le sirene dei piaceri effimeri, né soprattutto la paura della morte, ci facciano sprofondare nel fango della frustrazione – e ogni due passi si fermava per godersi le proprie parole e vedere come lei le imbelliva con la sua attenzione –, ma anzi il contrario… però qui aveva interrotto il suo discorso, perché la questione era troppo complessa per esaurirla in poche parole, e forse anche perché ci sarebbe stata occasione – e dicendolo sorrise –, se a lei andava, di parlare con più calma di tutte queste cose. E poiché Aurora si era mostrata d’accordo, si erano visti qualche altra volta, e così, a poco a poco, lui le aveva proposto di guidarla lungo la strada della felicità, e lei aveva accettato di seguirlo docilmente, e i due si erano avviati verso il futuro come in un bosco incantato dove una moltitudine di pericoli li attendeva in agguato, lui davanti, tenendola per mano per proteggerla da ogni minaccia, quasi fosse una bambina o una creatura inerme, qualcosa di prezioso e fragile che bisognava condurre con enorme attenzione, e in questo modo e passo dopo passo ecco che già avanzavano da vent’anni lungo quella strada, senza però mai arrivare da nessuna parte, sempre più erratici e increduli, e ormai avendo definitivamente perso la bussola della felicità. Perché non si dica poi che i racconti sono innocenti e che le parole se le porta via il vento.

E quel dono innato Aurora ce l’ha sempre avuto. Tutti coloro che hanno qualcosa da raccontare vanno a raccontarlo a lei. Forse è per la sua aria placida e un po’ malinconica e per il suo modo di sorridere e di guardare. «Che sorriso triste e bello che hai», «Che facce tenere fai», «Com’è bello guardarti», «Come ti brillano gli occhi», le hanno detto molte volte. “Troppe, troppe volte”, pensa, e allora con un sospiro e un lieve tremore torna alla realtà. Sta cominciando a fare buio, e i bambini sono andati via da tempo. Sono usciti tutti in ordine e poi subito si sono sparpagliati, tra grida, zaini, costumi e maschere di carnevale. L’hanno salutata attraverso la finestra, fuori dall’aula, le hanno fatto smorfie e scherzi, e lei ha continuato a sentirli finché le loro voci non sono diventate solo un’illusione in lontananza. E ora il tempo è passato e lei è ancora lì, non sa bene perché. «Non vieni, Auri?», le ha chiesto una collega, affacciandosi appena sulla porta socchiusa. E lei ha risposto di sì, che andrà via tra poco, prima vuole finire di correggere alcuni esercizi. Eppure non se n’è ancora andata né ha corretto nulla. Ha riordinato banchi e sedie, ha raccolto i disegni, ne ha selezionati alcuni e li ha appesi sulle bacheche di sughero alle pareti. C’è odore di vaniglia, di plastilina, di gomma da cancellare, di pipì, di pennarello. E poi d’un tratto si ritrova di nuovo ferma, con gli occhi persi nella luce declinante del crepuscolo, come assorta in un pensiero che le volteggia nella mente senza lasciarsi afferrare.

Che cosa stava pensando un attimo fa che era così importante e che ha già dimenticato? Ah, sì!, ora ricorda. Le storie che tutti le raccontavano, ecco cosa. Il fatto è che a lei non è mai dispiaciuto ascoltare gli altri, lasciare che si sfogassero e si alleggerissero riferendo vecchi ricordi che li consumavano da dentro, perché è vero che contro le afflizioni ormai irreparabili del passato non c’è rimedio migliore di esporle senza fretta davanti a un uditorio indulgente e perfino solidale – cosa ci sarà nella narrazione che ci consola tanto dai sensi di colpa, dagli errori e dalle molte pene che gli anni lasciano al loro passaggio! È sempre stato così, e Aurora l’ha sempre accettato con piacere e senza riserve, ma ultimamente stanno succedendo cose bizzarre, perché quando ascolta, quando si cala nel suo vecchio ruolo di confidente sentimentale, a volte si rende conto che la sua mente, come le sta capitando ora, è già altrove, non fissa su un’idea ma persa nel vuoto assoluto, e le parole che sente spesso si trasfigurano in un linguaggio strano, in una gazzarra di crepitii, di trilli d’allarme, di fischi, di balbettii, di parole spezzate, simili alle interferenze di quelle stazioni radio che trasmettono da luoghi remoti. Allora si sente scoraggiata, e ha la sensazione che da qualche anfratto recondito della sua coscienza si levi una sorta di invito al fastidio, al disaccordo, a una furia sorda che a tratti si fa incontenibile. “Starò diventando pazza?”, pensa.

Il punto è che ultimamente tutti sembrano essersi messi più che mai d’accordo per raccontare a lei i propri dolori. Le telefonano o le mandano messaggi su Whats­App o per email, a casa, a scuola, quando sta camminando per strada, quando sta correggendo le verifiche o leggendo un romanzo o guardando un film, o aiutando Alicia con i compiti, quando è sul punto di addormentarsi dopo una giornata estenuante. Tutti i giorni, a qualsiasi ora. E questo senza contare Gabriel, che non la smette di parlare della festa che vogliono organizzare a sua madre per gli ottant’anni. E tutti quanti, oltre ai propri pensieri, le raccontano anche quel che dicono gli altri, tutte le versioni di tutte le storie finiscono per confluire in Aurora. Lei è in realtà l’unica padrona assoluta del racconto, colei che conosce tutto, la trama e il rovescio della trama, perché solo con lei si confida e parla, senza vergogna né riserve, ognuna delle persone implicate in questa storia che è cominciata come qualcosa di banale e perfino festoso ed è finita in rovina e disastro, come lei aveva intuito fin dal primo momento.

foto presa dal web

Luis Landero nato ad Alburquerque;in Estremadura;nel 1948;ha conseguito la laurea in Lettere all’Università Complutense di Madrid. Ha insegnato Letteratura alla Scuola di Arti Drammatiche di Madrid ed è stato professore ospite all’Università di Yale. Ha esordito con successo nel 1989 con il romanzo Giochi tardivi. A partire da allora;la sua carriera di scrittore è stata prolifica e costellata di numerosi premi: oggi è considerato uno dei maggiori scrittori spagnoli contemporanei. Di recente ha vinto il Premio Nacional de las Letras Españolas;uno dei più importanti riconoscimenti alla carriera. 

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.