Torna la magia di Chocolat… Joanna Harris torna in libreria con il nuovo romanzo “La ladra di fragole” edito da Garzanti. Dal 10 Ottobre 2019 in tutte le librerie e on-line.

Trama

«Il libro che attendono milioni di lettori in tutto il mondo.»
The Bookseller

«In «La ladra di fragole» Joanne Harris fa rivivere le atmosfere del famoso «Chocolat» e, con grande maestria, dà forma a un mondo dove realtà e magia si fondono alla perfezione. »
The Guardian

«Uno dei romanzi meglio riusciti dell’eclettica Joanne Harris. Una storia che incanta i lettori e li avvince fino all’ultima pagina. »
The Irish Times

«Stupendo.»
The Indepedent

Il vento ha ricominciato a soffiare.
Devo ascoltare la sua voce.
Perché solo lui può dirmi cosa fare.
 
Vianne Rocher ha finalmente imparato a chiamare casa il tranquillo villaggio di Lansquenet-sous-Tannes. Da quando è riuscita a vincere la diffidenza del curato Reynaud e degli altri abitanti con le dolci creazioni della sua cioccolateria, che spera un giorno di affidare alla figlia Rosette, si sente parte integrante della comunità. Finché, in un freddo venerdì di marzo, il vento che l’ha portata lì riprende a soffiare. E Vianne sa di non poterlo ignorare: è il segno che qualcosa sta per cambiare. Ben presto, la quiete di Lansquenet viene sconvolta dalla morte dello storico fiorista Narcisse, che lascia in eredità un terreno di cui Rosette è l’insolita beneficiaria. Si tratta di un dono inatteso e inspiegabile che riaccende antichi sospetti nei confronti della donna solare e un po’ eccentrica che resta pur sempre una voce fuori dal coro. Ma questo non è l’unico problema a cui Vianne deve far fronte. Poco dopo la morte di Narcisse, nel suo negozio rimasto vuoto, apre una nuova attività che sembra esercitare sugli abitanti di Lansquenet lo stesso fascino con cui un tempo «La Celeste Praline» di Vianne li aveva ammaliati. E lei non può permettere che una sconosciuta le metta i bastoni tra le ruote. Non le resta che affidarsi alle doti magiche sue e della piccola Rosette che, come lei, sembra avere la capacità straordinaria di leggere nel cuore delle persone e di indovinarne i desideri nascosti. Solo così potrà scoprire chi si nasconde dietro il nuovo negozio e fare chiarezza sul misterioso lascito di Narcisse.
Dopo il grandioso successo di Chocolat, diventato un bestseller internazionale nonché un celebre film con Juliette Binoche e Johnny Depp, Joanne Harris riporta i suoi lettori nel cuore dell’amato villaggio di Lansquenet per ritrovare Vianne. E con lei l’arte di trasformare il cioccolato con ingredienti unici, diversi per ognuno di noi, ma capaci in egual modo di riportare la felicità anche quando si crede che niente possa tornare come prima.

Estratto 

A te.

Sì, a te.

Tu sai chi sei.

VENTO

Venerdì 10 marzo

Prima della tempesta c’è sempre un momento in cui sembra che il vento cambi idea. Gioca fingendo di essere docile, civetta con i boccioli sugli alberi, punzecchia la pioggia perché abbandoni il grigio spento delle nuvole. È in quel momento giocoso che il vento è più crudele e pericoloso. Non dopo, quando gli alberi cadono e i boccioli ridotti a fogli assorbenti intasano i canali di scolo e i rigagnoli. Non quando le case crollano come castelli di carte e le pareti che credevi solide e sicure vengono strappate via come la carta.

No, il momento più crudele è sempre quello in cui pensi che potresti essere al sicuro, che forse il vento è passato oltre, che forse puoi tornare a costruire qualcosa che non verrà spazzato via. È in quel momento che il vento è più insidioso che mai. In quel momento inizia il dolore. Quando ti aspetti la gioia. Il demone della speranza nel vaso di Pandora. Quando il seme di cacao rilascia il suo profumo nell’aria: profumo di bruciato, di spezie e di sale, di sangue, di vaniglia, e di cuori straziati.

Un tempo credevo che fosse semplice, quell’arte. Creare piaceri innocui. Ma nessunpiacere è innocuo, ho finito con l’impararlo. Francis Reynaud sarebbe fiero di me. Quarant’anni da strega, e adesso, alla fine, sono diventata una puritana.

Zozie de l’Alba avrebbe capito. Zozie, la collezionista di cuori, il cui viso continua a tornare da me, in sogno. A volte sento la sua voce portata dal vento, il suono delle sue scarpe sui ciottoli. A volte mi chiedo dove sia: se pensa ancora a me. Nessun piacere è innocuo, lei lo sapeva. È solo il potere che conta, alla fin fine.

Al vento non importa. Il vento non giudica. Il vento si prenderà tutto quello che può – tutto quello di cui ha bisogno – per istinto. Un tempo ero anch’io così. Semi portati dal vento, che mettono radice e tornano a seminare, per poi ripartire. I semi non restano con la pianta madre. Vanno dove li porta il vento.

Come la mia Anouk, che ora ha ventun anni: è andata ovunque vadano i bambini quando seguono il Pifferaio. Un tempo eravamo così unite, io e lei. Eravamo inseparabili. Eppure so che i figli sono soltanto in prestito e prima o poi dobbiamo restituirli al mondo, perché crescano e imparino e si innamorino. C’è stato un tempo in cui credevo che sarebbe rimasta qui a Lansquenet-sous-Tannes, che Jeannot Drou l’avrebbe trattenuta qui, lui e la chocolaterie, ovviamente, e la promessa di sicurezza. Invece è stato Jean-Loup Rimbault, a Parigi, a decidere. Jean-Loup, il ragazzo con il buco nel cuore. Anouk l’avrà riempito? So soltanto che lei ha lasciato un buco nel mio: uno spazio che tutto il cioccolato del Messico non potrà mai riempire, un vuoto a forma di ragazzina dagli occhi scuri come l’oceano.

E adesso la mia Rosette, con i suoi sedici anni, sente la voce del vento e io so quanto sia affamata; quanto sia selvaggia, ostinata, volubile. Il vento se la porterebbe via alla prima folata, se non fosse legata per bene come una vela, se non avessi preso le mie precauzioni. Tuttavia il vento continua a tormentare le cime della nostra sicurezza. Sentiamo ancora il suo canto da sirena. E profuma di posti lontani. Profuma di pericolo e luce del sole, di avventura e di gioia. Danza fra i granelli di luce in sfumature di peperoncino e grani di pepe. Ti si incastra in fondo alla gola come una risata inattesa. E alla fine se li prende tutti: tutto ciò per cui hai faticato. Tutto ciò che credevi di poter portare con te in qualche modo. E comincia sempre in un momento giocoso, magico… felice addirittura. Un momento di chiarore fra le nubi. Un sapore dolce, un suono di campane.

A volte, perfino un fiocco di neve.

NEVE

Sabato 11 marzo

Oggi ha nevicato. È la prima settimana di Quaresima, un miracolo arrivato in anticipo. All’inizio credevo che fossero boccioli. Boccioli dal cielo di un azzurro vivace che ricoprivano i marciapiedi. Però c’era neve sul davanzale e cristalli nell’aria luccicante. Poteva trattarsi di un Incidente. Ma forse era qualcosa di più.

Non nevica quasi mai, qui. Non fa quasi mai freddo, non veramente, neanche d’inverno. Non è come a Parigi, dove ogni tanto la Senna scricchiolava sotto un ghiaccio nero e sottile e io dovevo mettere il cappotto invernale da Halloween fino a Pasqua. Qui a Lansquenet-sous-Tannes fa freddo più o meno per un mese. Gela a dicembre. I campi sono bianchi. E poi c’è il vento. Il vento freddo del Nord che ti riempie gli occhi di lacrime. Ma oggi ha nevicato. È un segno. Qualcuno morirà prima dell’alba.

Conosco la storia di una madre che crea una figlia fatta di neve. La bambina non dovrebbe stare al sole, ma in un giorno d’estate disobbedisce e va fuori a giocare con gli altri. La madre la cerca ovunque. Trova soltanto i suoi vestiti per terra – BAM! – in una pozza d’acqua.

Me l’ha raccontata Narcisse. Narcisse, il fiorista. Adesso è vecchio e durante la settimana viene qualcun altro a occuparsi del negozio, ma lui arriva tutte le domeniche, si siede vicino alla porta e guarda la strada, e non parla mai. Solo con me, ogni tanto. Mi dice: «Siamo tipi silenziosi noi, eh, Rosette? Non siamo chiacchieroni».

Ha ragione. Mentre maman prepara il cioccolato e chiacchiera, io preferisco giocare in silenzio con la mia scatola dei bottoni o disegnare sul mio album. Da piccola non parlavo mai. Cantavo e ogni tanto urlavo – BAM– oppure facevo i versi degli animali, o usavo la lingua dei segni o lanciavo richiami da uccello. Alla gente piacciono gli uccelli e gli animali. Io alla gente non piacevo molto, così non parlavo con loro, neanche con la mia voce ombra, quella che uso quando sono un’altra persona. Preferivo diventare un uccello e volare su in alto fra le nuvole. Oppure ero una scimmia, che dondolava fra gli alberi, o un cane, che abbaiava al vento. Ma anche così, alla gente non piacevo; solo a maman, ad Anouk, a Roux, e al mio migliore amico, Jean-Philippe Bonnet. Adesso però maman lavora sempre e Anouk è a Parigi con Jean-Loup e Roux va e viene, ma non si ferma mai a lungo, e Jean-Philippe (soprannominato Pilou) va a scuola ad Agen tutta la settimana e non ha più tanta voglia di giocare.

Maman dice di non preoccuparmi. Che in realtà non è cambiato poi molto. Adesso ha sedici anni, e gli altri ragazzi riderebbero di lui e lo prenderebbero in giro perché gioca con una femmina.

Non lo trovo giusto. Io non sono una femmina. A volte sono un maschio come Pilou. A volte sono una scimmia, un cane. A volte sono qualcosa di completamente diverso. Ma gli altri sono differenti. Gli altri badano a queste cose. E naturalmente non posso andare a scuola. La scuola di Agen non mi ha voluta. Hanno detto a maman che non mi sarei integrata e non avrei parlato nel modo corretto. E poi c’era Bam, che non si sarebbe comportato bene e mi obbliga a urlare il suo nome: BAME a volte succedono Incidenti.

Così adesso imparo quello che posso dai libri, dagli uccelli e dagli animali, e ogni tanto perfino dalle persone. Persone come Narcisse e Roux, a cui non importa se non ho voglia di parlare o se la mia voce non è quella di una ragazzina, ma è selvatica e pericolosa.

Maman mi raccontava la storia di una bambina a cui una strega aveva rubato la voce. La strega era astuta e subdola e usava quella voce giovane e dolce per ingannare le persone e fare in modo che le obbedissero. Soltanto l’ombra della bambina poteva parlare, ma non era quasi mai dolce. Diceva solo la verità e poteva essere spietata. Tu sei come quella bambina, mi diceva mamanSei troppo saggia perché gli sciocchi ti capiscano.

Non lo so se sono saggia. Ma è vero che ho una voce ombra. Non la uso spesso, però. Alla gente non piace sentire la verità. Perfino maman a volte preferisce non sentire quello che dice la mia ombra. Così per la maggior parte del tempo mi limito a usare la lingua dei segni oppure non dico niente e basta. E se mi accorgo che la mia voce ombra cerca di liberarsi grido – BAM! – e rido e canto e pesto i piedi, come facevamo a volte per scacciare il vento cattivo.

Quando ha iniziato a nevicare, maman era in negozio a preparare il cioccolato per Pasqua. Coniglietti e chiocce e cestini di uova. Mendiants e croccanti. Capezzoli di Venere, cuori di albicocca e fette di arancia amara. Tutto avvolto nel cellophane, legato con nastri colorati e infilato in scatole, bustine e sacchetti, pronto da regalare per Pasqua. A me non piace tanto il cioccolato. Mi piacciono la cioccolata calda e i croissants al cioccolato, ma non voglio lavorare in una chocolaterieMaman dice che tutti hanno un dono. Il suo è preparare il cioccolato e capire qual è il tuo preferito. Quello di Roux è imitare i richiami degli uccelli e saper aggiustare praticamente qualunque cosa. Il mio è disegnare animali. Tutti abbiamo un animale, l’ombra della nostra vera identità. Il mio è Bam, una scimmia. Maman è un gatto selvatico. Roux è una volpe con una coda cespugliosa. Anouk è un coniglio di nome Pantoufle. Pilou è un procione. E Narcisse è un vecchio orso nero, con il naso lungo, il passo strascicato e gli occhietti pieni di segreti. Qualcuno crede che Bam non sia reale. Perfino maman lo chiama «l’amico immaginario di Rosette», soprattutto davanti a persone come Madame Drou, che non riesce neanche a vedere i colori. Perché Bam sa essere dispettoso. Devo tenerlo d’occhio tutto il tempo. A volte devo gridare – BAM– per impedirgli di provocare un Incidente.

Maman fa solo finta di non vederlo. Maman non vuole vedere. Pensa che sarebbe più facile se fossimo come gli altri. Ma io lo so che vede ancora Bam. Così come vede il cioccolato preferito dei suoi clienti. Così come vede i colori che svelano le emozioni delle persone. Adesso però cerca di nasconderlo, di essere come le altre madri. Forse pensa che così diventerò anch’io come le altre figlie.

Quando ha iniziato a nevicare, maman non se n’è accorta. Era con due signore intente a scegliere gli animaletti di cioccolato. Signore con abiti primaverili, tacchi alti e cappotti color pastello. Una si chiama Madame Montour. Non vive qui, ma l’ho vista da queste parti. Va in chiesa la domenica. L’altra era Madame Drou, che non entra mai per il cioccolato, ma solo per essere aggiornata. Parlavano di un ragazzo grasso, che non dava retta a nessuno. Non so chi fosse. Mi sono venuti in mente due pappagalli, o due galline rosa, che chiocciavano, si pavoneggiavano e si agitavano. E ho capito che Madame Montour si chiedeva come mai non ero a scuola.

Nessuno a Lansquenet se lo chiede. Nessuno a Lansquenet si stupisce quando abbaio o grido o canto: Bam-Bam-Bam: Bam, badda-BAM! Ma notavo che maman mi teneva d’occhio. Lo so che si preoccupa per me. Quand’ero piccola c’è stato qualche Incidente. Non avrebbero dovuto succedere, ma sono successi. E ci hanno cambiate. Una volta hanno cercato di portarmi via, quand’ero appena nata. Hanno cercato di portare via anche Anouk, quando vivevamo a Parigi. Ora maman si preoccupa, ma non ce n’è bisogno. Adesso ci sto attenta.

Ho disegnato un pappagallino color rosa incarnato per Madame Montour e una gallina per Madame Drou. Solo pochi tratti per la testolina rosa, il becco semiaperto per la sorpresa. Li ho lasciati sul banco, dove maman li avrebbe visti, e sono uscita. Il vento arrivava da nord e c’erano petali per terra, ma quando mi sono fermata a guardare, ho visto che i petali erano mucchietti di neve, che vorticavano giù dal cielo azzurro di primavera come tanti coriandoli.

Il prete era fuori dalla chiesa e guardava stupito la neve cadere. Il prete si chiama Francis Reynaud. Quando sono arrivata qui non mi piaceva, ma adesso forse sì. Reynaud è quasi come renard, volpe, e non ha molto senso, perché chiunque può vedere che in realtà è un corvo, tutto nero, con il suo sorrisetto triste e sbilenco. La chiesa però mi piace. Mi piace il 

profumo del legno lucidato e dell’incenso. Mi piacciono le vetrate colorate e la statua di san Francesco. Reynaud dice che san Francesco è il santo patrono degli animali, che rinunciò a tutto per andare a vivere nel bosco. Mi piacerebbe fare lo stesso. Mi costruirei una casa sull’albero e mi nutrirei di noci e fragole. Io e maman non andiamo mai in chiesa. Un tempo sarebbe stato un problema. Ma Reynaud dice che non siamo obbligate. Reynaud dice che Dio ci vede e si preoccupa per noi, ovunque siamo.

E ora il turbinio di neve, da un cielo luminoso e azzurro, soleggiato. Un segno, forse addirittura un Incidente. Allargo i lembi del cappotto come fossero ali e grido – BAM! – perché lui sappia che non è colpa mia. Reynaud sorride e mi saluta con la mano. Ma capisco che non vede il lampo di colori sul lato opposto della piazza. Non sente il canto del vento e non nota l’odore di bruciato. Sono tutti segni. Io li vedo. Ma lui non lo sa. Neve, da un cielo limpido e azzurro. Qualcuno morirà prima dell’alba.

 

2

Sabato 11 marzo

Eccola lì. Quanto è strana, la mia bambina d’inverno; la mia bimba scambiata alla nascita. Selvatica come una bracciata di uccelli, vola ovunque in un attimo. È impossibile trattenerla al chiuso o chiederle di restare seduta buona. Non è mai stata come le altre bambine, non è mai stata come gli altri figli. Rosette è una forza della natura, come le taccole che si posano sul campanile e ridono, come una nevicata fuori stagione, come un bocciolo portato dal vento.

Le donne, le madri, come Joline Drou o Caro Clairmont, non capiscono. Il terrore di avere un figlio diverso è più di quanto possano concepire. Rosette ha quasi sedici anni e ancora 

non parla in modo normale. Ai loro occhi questo la rende un fardello, un motivo di pena, una persona incompleta. Per loro lei è la povera Rosette e, non appena giro le spalle, io sono la povera Vianne, costretta a crescere quella figlia da sola e con un padre scandalosamente assente.

Caro e Joline, però, non sanno come mi guarda Rosette quando le do il bacio della buonanotte; o come canta fra sé a letto; o della sua capacità di disegnare qualunque animale o uccello, qualunque essere vivente. Loro non vedono altro che una ragazzina che non crescerà mai e pensano che non ci sia cosa più triste. Una ragazzina che non crescerà mai non si innamorerà mai, non si sposerà, non troverà un lavoro e non andrà a vivere in città. Una ragazzina che non crescerà mai sarà un fardello per sempre e la madre non potrà mai partire per quella crociera intorno al mondo che aveva programmato, iniziare nuovi hobby emozionanti o socializzare al country club. Sarà condannata a restare qui, nella sonnolenta Lansquenet-sous-Tannes; non certo il posto dove si possa sperare di restare per sempre.

Ma io non sono Caro Clairmont o Joline Drou o Michèle Montour. È tutta la vita che accarezzo il sogno di mettere radici da qualche parte, che il vento non mi porti più via. Non ho mai avuto altro che piccoli sogni; ed è nei piccoli sogni che ripongo le mie speranze. Un posto in cui quel che semino possa crescere e diventare familiare. Vestiti appesi in un armadio. Un tavolo con graffi e cicatrici che riconosco. Una poltrona con la mia forma. Magari perfino un gatto accanto alla porta.

Visto? Non chiedo molto. Sono tutte cose facili da ottenere. Eppure ogni volta che penso di aver messo a tacere le sue pretese incessanti, il vento ricomincia a soffiare. Cambia il tempo. Gli amici muoiono. I figli crescono e si trasferiscono. Perfino Anouk, la mia bambina d’estate, con i suoi messaggini e le brevi telefonate della domenica – sempre se non se ne scorda –, gli occhi che brillano al pensiero di posti lontani, di nuove avventure. Che strano. Anouk era sempre stata quella che voleva sistemarsi, restare. Adesso la sua orbita è mutata e l’astro che la guida è diventato luiEra inevitabile, lo so, eppure a volte mi ritrovo a cullare speranze, speranze cupe…

Non con Rosette, però. Rosette è mia. Una figlia speciale, dice Caro Clairmont, con l’espressione ipocrita che tradisce un disgusto sincero. Sarà un fardello, pensa Caroline. Una figlia che non crescerà mai, una bambina che non sarà mai normale. Non immagina che è proprio questo che mi rende Rosette tanto cara.

Un gatto ti ha attraversato la strada nella neve e ha miagolato. L’Hurakan soffiava.

No. Volto la faccia al ricordo. L’inverno del gatto nella neve, della gabbia dorata e del cerchio di sabbia. Ho fatto quello che dovevo fare, mamanHo fatto quello che fanno sempre le madri. Non ho rimpianti. Mia figlia è al sicuro. È solo questo che conta.

Controllo il cellulare. Ce l’ho da quando Anouk è tornata a vivere a Parigi. Ogni tanto mi manda una fotografia, uno scorcio della sua vita. Ogni tanto mi manda un messaggino. Un husky adorabile con gli occhi azzurri fuori dalla metropolitana! Oppure: Nuova gelateria a Quai des Orfèvres! Mi aiuta sapere che posso parlarle o avere sue notizie in qualunque momento, ma cerco di non essere troppo esigente e di non darle a vedere che sono in ansia. Le nostre telefonate sono superficiali e allegre: io le racconto dei miei clienti, lei mi racconta quello che ha visto. Jean-Loup studia alla Sorbona; Anouk, che avrebbe potuto studiare a sua volta, lavora in un cinema multisala. Vivono insieme in un monolocale in affitto nel decimo arrondissementRiesco a immaginarmelo perfettamente: un vecchio edificio, con macchie di umidità alle pareti e scarafaggi in bagno, un po’ come gli alberghi da due soldi in cui alloggiavamo quando Anouk era piccola. Avrebbe potuto restare qui e lavorare con me alla chocolaterieInvece ha scelto Parigi… Anouk, che non ha mai desiderato altro che vivere in un posto come Lansquenet.

Torno in cucina. mendiants si stanno raffreddando su un foglio di carta da forno: piccoli dischi di cioccolato cosparsi di pezzetti di frutta cristallizzata, scaglie di mandorle e pistacchio, petali di rosa essiccati e lamine dorate. mendiants sono sempre stati i miei preferiti: così semplici che perfino un bambino, perfino Anouk a cinque anni, era in grado di prepararli senza aiuto. Un’amarena per il naso; una fetta di limone per la bocca. Anche i suoi mendiants sorridevano.

Quelli di Rosette sono più complicati, quasi bizantini nel loro disegno; i piccoli pezzi di frutta cristallizzata sono disposti in spirali creative. Lo fa anche quando gioca con i bottoni: li allinea contro i battiscopa, crea fantasie complesse con anelli e archetti sparsi per il pavimento di legno. È così che vede il mondo, è così che ne rappresenta la complessità. Caro fa la sapientona e parla di disturbo ossessivo-compulsivo e di quanto sia frequente in quei bambini che le piace definire speciali, ma non c’è niente di disturbato in Rosette. Gli schemi, i segni, sono importanti.

Dove è andata stamattina, così silenziosa e determinata? Fa freddo, nel cielo azzurro e inclemente trilla il vento gelido delle steppe russe. A Rosette piace giocare sull’argine della Tannes, o nei campi giù vicino ai Marauds, ma soprattutto le piace il bosco che costeggia la fattoria di Narcisse, bosco in cui è l’unica ad avere il permesso di entrare senza incappare nelle ire del proprietario.

Narcisse, che possiede il negozio di fiori davanti alla chocolaterie e che rifornisce di frutta e verdura i mercati e i negozi lungo la Tannes, è affezionato a Rosette nel suo modo burbero e intenso. Vedovo da trent’anni, ha deciso di adottarla come nipote. Con gli altri è spesso 

arcigno, rasentando la villania. Con lei invece è indulgente: le racconta storie, le insegna canzoni che Rosette canta senza le parole, ma con enorme entusiasmo.

«La mia ladra di fragole», la chiama. «Il mio uccellino con la sua voce segreta.»

Oggi l’uccellino è andato a esplorare la neve appena caduta. Non durerà, ma per il momento i campi sono cuciti di bianco, con gli alberi di pesco tutti in fiore. Mi chiedo che cosa dirà Narcisse. La neve così tardi è una rovina per gli alberi da frutto e le coltivazioni. Forse per questo il negozio è ancora chiuso, nonostante il fine settimana sia il momento migliore per vendere fiori. Sono le undici e mezzo e anche le ultime persone che si erano attardate dopo la Messa sono tornate a casa dalla famiglia sotto la neve imprevista, i cappotti, i berretti e i cappelli della domenica cosparsi di piume bianche. Anche Reynaud ormai sarà rientrato, nella sua piccola casa di Avenue des Francs Bourgeois, e la panetteria di Poitou in piazza si preparerà a chiudere per pranzo. Il cielo è azzurro e rigido. Non c’è una sola nuvola. Eppure la neve continua a cadere, come soffioni portati dal vento. Mia madre avrebbe detto che è un segno.

Io, ovviamente, so che non è così.

3

Mercoledì 15 marzo

È successo durante la notte, mon pèreL’hanno trovato al mattino. Non aveva aperto il negozio, come fa ogni domenica, e la ragazza che se ne occupa durante la settimana è andata a casa sua e l’ha trovato lì, sulla sedia del portico, gli occhi ancora aperti, freddo come una fossa. Certo, aveva quasi ottant’anni, ma una morte imprevista è sempre e comunque una sorpresa, anche per coloro che non dovrebbero avere motivi per sconvolgersene o dispiacersi.

Non che a Narcisse sarebbe importato granché del mio dispiacere. Non è mai stato praticante e non ha mai fatto mistero di quanto disprezzasse me e tutto ciò che rappresento. 

Sua figlia, Michèle Montour, invece, è un membro entusiasta della mia assemblea, nonostante lei e il marito Michel vivano dall’altra parte di Agen. Con me sono sempre educati e rispettosi, ma non posso dire che mi piacciano. Lei è una di quelle donne che Armande Voizin avrebbe definito «tifose della Bibbia», tutta sorrisi in chiesa, ma fredda e aspra quando ha a che fare con i più svantaggiati.

Michel Montour è un imprenditore edile e guida uno di quei fuoristrada che sembra non vadano mai fuori strada. Entrambi amano i soldi e sospetto che sia questa la ragione della loro comparsa nella vita di Narcisse due anni fa, nonché delle loro improvvise e avide premure. Prima, Narcisse non li vedeva mai né mai aveva accennato a una figlia. In questi due anni, Michèle avrà anche chiamato ogni domenica pomeriggio, avrà dato a vedere di preoccuparsi della sua salute e gli avrà portato cioccolatini, ma non penso che Narcisse credesse a quell’inaspettata dimostrazione di affetto. Potevo non piacergli, ma era bravo a giudicare le persone. Arcigno, con un senso dell’umorismo pungente e in qualche modo sorprendente, che saltava fuori quando trattava con la gente del fiume e con la piccola comunità dei Marauds, quegli immigrati di passaggio a cui aveva dato il permesso di accamparsi e lavorare e vivere gratis sul suo terreno. Quando trattava con Michèle e Michel era asciutto e cordiale, nulla di più. Non si era lasciato ingannare. Quella donna voleva i suoi soldi.

Sospetto che quando Michel e Michèle diventeranno i proprietari del terreno, il loro interesse per Lansquenet cesserà. Le amicizie che hanno stretto in paese sono poco più che conoscenze. La loro impazienza di far parte della mia chiesa, come le visite di Michèle alla chocolaterie, erano solo un modo per crearsi l’immagine giusta qui. Narcisse aveva messo bene in chiaro che voleva che qualcuno si occupasse della fattoria. Voleva che il negozio di fiori continuasse a far parte della nostra piccola comunità. Adesso che lui non c’è più, non c’è più neanche bisogno di continuare a fingere. La fattoria verrà smantellata, il negozio affittato, il terreno venduto a qualche costruttore. È così che funziona. Il lavoro di una vita demolito in meno tempo di quanto ne serva a terminare un raccolto.

O almeno così credevo, mon pèreNarcisse mi ha stupito. Fra tutte le persone a cui avrebbe potuto chiedere di fare da esecutore testamentario, amici, vicini e familiari, ha scelto me, con grande irritazione di Michel e Michèle, che probabilmente pensavano di avere l’eredità in tasca. Nemmeno io però conoscevo le disposizioni del testamento di Narcisse, finché non è stato letto oggi ad Agen, subito dopo il funerale. Una cerimonia semplice e discreta, che si è tenuta al crematorio, con tutta la pompa concessa dalla breve funzione. Così aveva voluto lui, ha precisato Michèle Montour in tono di disapprovazione. Lei naturalmente avrebbe preferito qualcosa di più consono al suo status. Magari l’occasione per sfoggiare un nuovo cappello, asciugarsi gli occhi con un fazzoletto. I suoi amici, i Clairmont e i Drou, hanno sdegnato la cerimonia civile, e sono rimasti solo gli amici di Narcisse, la gente del fiume che vive sulle barche, gli uomini e le donne dei Marauds, a rendere omaggio alla dipartita del vecchio.

Sono le persone che non vedo mai nella mia chiesa la domenica: individui con le trecce e i tatuaggi; con il kurta e l’hijabE naturalmente Vianne e Rosette, entrambe vestite di colori vivaci, come a sfidare la morte stessa.

Roux non c’era. Evita la città e preferisce restare ai Marauds. La sua barca è ormeggiata giù vicino alle vecchie concerie, dove la gente del fiume ha la sua comunità, dove accende falò sull’argine e cucina i propri pasti in pentole di ghisa. Un tempo ero contrario alla loro presenza qui. Ricordo con vergogna l’uomo che sono stato. Roux però non l’ha dimenticato, e si tiene il più lontano possibile. Se non fosse per Vianne e Rosette, credo che avrebbe già lasciato la regione una volta per tutte. Non ha mai avuto una casa e non è mai rimasto troppo a lungo nello stesso posto. Narcisse tuttavia gli piaceva, gli aveva offerto un lavoro e un riparo quando nessun altro a Lansquenet era disposto a farlo, per questo mi ha stupito che non si sia fatto vedere.

Roux non era presente neanche alla lettura del testamento. Conoscendolo, riceve solo la corrispondenza che decide di ricevere, il che significa che qualunque cosa abbia un timbro ufficiale non giunge a destinazione o viene buttata senza una parola in uno dei bidoni dell’immondizia sulla riva della Tannes. C’erano solo Michel e Michèle Montour con me nell’ufficio dell’avvocata ad Agen, in elegante attesa di una sorpresa prevista con discrezione. Vi è stato invece un silenzio stupefatto, seguito da voci sempre più alte e poi da una tempesta di domande incredule, tutte rivolte a me, chiaro, quando Michel e Michèle hanno preteso di sapere come avessi fatto a ingannare il povero papà per convincerlo a lasciare un patrimonio simile a un uomo che non possedeva neanche un conto corrente o una casa intestata a suo nome…

L’avvocata si chiama Ying-Ley Mak: una giovane elegante di origine cinese, il cui francese perfetto e il nome straniero avevano già suscitato scambi di occhiate eloquenti fra Michel e Michèle. Ora fremevano di indignazione e spostavano lo sguardo dal prete all’avvocata e dall’avvocata al prete, sconvolti e sempre più agitati.

«Per essere precisi, la terra non è stata lasciata a Monsieur Roux», ha spiegato Madame Mak con la sua voce tranquilla. «Lui è semplicemente l’amministratore fiduciario di Rosette Rocher, a cui suo padre ha lasciato in eredità il terreno e che è ancora minorenne.»

«È vergognoso», ha esclamato Michèle Montour. «Dev’essere un caso di captazione.»

Ho fatto notare loro che negli ultimi cinque anni Roux non aveva quasi mai visto Narcisse, tranne forse per un saluto veloce. «Inoltre», ho proseguito, «suo padre non l’ha esclusa dal testamento. Le ha lasciato la fattoria, i soldi, gran parte del terreno della fattoria…»

«Che non ha alcun valore», è intervenuto Michel Montour, «senza il bosco adiacente. Sedici ettari di bosco di querce, edificabili… per non parlare del legname stagionato, che ha un notevole valore commerciale. Perché mio suocero avrebbe dovuto lasciare tutto a un uomo che conosceva appena? Che cosa c’è sotto? E quanto ci vorrà per invalidarlo?»

Con calma, gli ho spiegato che in quanto esecutore testamentario di Narcisse, non ero nella posizione di invalidare un bel niente.

«È ingiusto!» ha protestato Michèle, e la sua facciata signorile ha iniziato a mostrare le prime crepe. L’accento che ostentava di solito, una parlata del Nord lunga e strascicata, era tornato alle inflessioni nasali e ai picchi striduli originari. «È ingiusto! Noi siamo la sua famigliaSiamo venuti qui per prenderci cura di lui. Ci siamo perfino uniti alla sua chiesa, perdio…» Ha interrotto la sua invettiva per puntarmi addosso uno sguardo sospettoso. «Vuole davvero dirmi, mon père, che non ne sapeva niente? Che mio padre non gliene aveva mai parlato?»

Le ho assicurato che era così e ho pensato, non per la prima volta, che Narcisse si sarebbe proprio goduto quella scena di crescente anarchia. Si sarebbe goduto il mio disagio, la rabbia dei suoi parenti e l’educata incomprensione di Madame Mak, che non si aspettava niente del genere.

«Deve aver lasciato qualche documento», ha proseguito Michèle. «Un messaggio per noi, se non altro.»

«Suo padre ha lasciato un documento all’attenzione di Père Reynaud», ha detto Madame Mak. «Nella lettera di accompagnamento mette in chiaro che il documento in questione è destinato esclusivamente a Père Reynaud e a nessun altro.»

«Ma è assurdo», ha gemuto Michèle. «Perché papà avrebbe dovuto farci una cosa simile? Alla sua famiglia?»

«Mi spiace», ha risposto l’avvocata. «Purtroppo non posso entrare nei dettagli. Il testamento di suo padre è chiaro. La fattoria, fatta eccezione per il bosco di querce, a voi. Il negozio in paese, anch’esso a voi. I sedici ettari di bosco, compresa qualunque struttura o oggetto ivi contenuti, in un fondo amministrato da Monsieur Roux, che passerà a Mademoiselle Rocher al suo ventunesimo compleanno.»

«Quali oggetti?» ha chiesto Michèle Montour. «Sta dicendo che c’è qualcos’altro? Una struttura? Che genere di struttura?»

Madame Mak si è limitata a scuotere la testa e mi ha passato una spessa cartellina verde, tenuta insieme da un nastro rosa, di quelli che si usano negli uffici legali, con sopra il mio nome, a penna, nel corsivo inglese di un altro secolo.

«Questa è per lei», ha detto. «Il mio cliente ha insistito sulla necessità che lei la legga fino in fondo.»

Michèle non ha deposto le armi. «Mio padre non avrebbe mai fatto una cosa simile senza qualche indebita influenza. Esigo di vedere quella cartelletta. Non può rifiutarsi di mostrarmela!»

Madame Mak ha scosso la testa. «Mi spiace, madame. Suo padre è stato chiaro sul fatto che nessuno tranne Monsieur le Curé…»

«Non mi interessa!» ha esclamato Michèle. «Mio padre era anziano. Non c’era con la testa. Non aveva il diritto di fare una cosa simile a noi, la sua famiglia, che gli volevamo bene.» Si è voltata verso di me in cerca di sostegno. «Mon pèreNoi non siamo ricchi. Abbiamo lavorato sodo per arrivare dove siamo. Andiamo in chiesa. Paghiamo le tasse. Abbiamo un figlio che richiede cure speciali che ci costano ogni centesimo che guadagniamo. E adesso, quando quel povero ragazzo stava per avere diritto all’eredità… deve capire che non lo facciamo per noi, pensiamo solo al bene del ragazzo…»

«Un figlio?» ho chiesto. Era una novità. Nei due anni in cui avevano frequentato la mia chiesa, non avevo mai sentito uno dei due nominare un figlio. Avrei voluto chiedere del …

 

Joanne Harris, di padre inglese e madre francese, vive nello Yorkshire. Si è laureata al St Catherine’s College di Cambridge, dove ha studiato francese e tedesco medievale e moderno. Oltre a Chocolat, i suoi libri, pubblicati in Italia da Garzanti, sono: Vino, patate e mele rosse (1999), Cinque quarti d’arancia (2000), La spiaggia rubata (2002), La donna alata (2003), Profumi, giochi e cuori infranti (2004), Il fante di cuori e la dama di picche(2005), Le scarpe rosse (2007), Le parole segrete (2008), Il seme del male (2009), Il ragazzo con gli occhi blu (2010), Il giardino delle pesche e delle rose (2012), Le parole di luce(2013), Un gatto, un cappello e un nastro (2014), Il canto del ribelle (2015), La classe dei misteri (2016) e, con Fran Warde, Il libro di cucina di Joanne Harris (2003), Al mercato con Joanne Harris. Nuove ricette dalla cucina di «Chocolat» (2007) e Il piccolo libro di «Chocolat» (2014)

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.