Sinossi
Una piccola libreria.
Due amiche per caso.
Una città che può cambiare la vita.
A volte una fine è soltanto un nuovo inizio…
Grace ha sempre desiderato fare un viaggio a Parigi. Perdersi nei vicoli di Montmartre, passeggiare mano nella mano con suo marito lungo la Senna…
E l’occasione perfetta sembra arrivare quando devono festeggiare il venticinquesimo anniversario di nozze. Ma poco prima di partire, David le comunica che non solo non andrà a Parigi con lei, ma che vuole il divorzio. Grace non crede alle sue orecchie, è sconvolta, ma decide di non farsi abbattere. Ha sempre voluto andare nella capitale francese e lo farà. Da sola….
Anche Audrey ha il cuore spezzato quando arriva nella Ville Lumière. Un lavoro in libreria è il suo biglietto per la libertà. Eppure c’è un piccolo, minuscolo problema: Audrey non sa il francese. E l’impresa sembra destinata a fallire.
Il destino però ha tutt’altri piani per loro… Grace e Audrey, infatti, sono vicine di appartamento nel palazzo sopra la libreria e subito diventano amiche.
Sono arrivate a Parigi per ritrovare se stesse, ma questo incontro potrebbe cambiare la loro vita per sempre.
– “Una lettura piena di gioia, humour e acume, sullo sfondo della città più romantica del mondo.” Cressida McLaughlin, autrice di La piccola casa delle farfalle
– “Preparatevi a rimanere conquistati. Una perfetta lettura per l’estate.” Veronica Henry, autrice di Quando l’amore nasce in libreria
Estratto
A Susan Swinwood, con affetto e riconoscenza
Il solo autentico viaggio […]
non sarebbe nell’andare verso nuovi paesaggi,
ma nell’avere altri occhi.
Marcel Proust
GRACE
La mattina di San Valentino, Grace Porter si svegliò felicemente sposata e beatamente ignara che tutto stesse per cambiare.
Scese in cucina e preparò dei sandwich al formaggio con il pane che lei stessa aveva cotto il giorno prima, aggiunse frutta e verdura fresche nei cestini del pranzo e controllò la lista delle “Cose da fare”.
Numero quattro: “Ricordare a Sophie della cena.”
Alzò lo sguardo. «Ricordati che questa sera papà e io siamo fuori. La tua cena è in frigorifero.»
La figlia Sophie stava messaggiando con un’amica. «Mmm…»
«Sophie!»
«Lo so, “niente cellulare a tavola”. Ma è urgente. Amy e io stiamo scrivendo una lettera da inviare al giornale, per quel nuovo complesso che vogliono costruire in periferia. Papà ha promesso di pubblicarla. Ti rendi conto che vogliono chiudere il rifugio per i cani?! Quelle povere bestioline moriranno se qualcuno non fa qualcosa, e quel qualcuno sono io. Ecco. Finito.» Sophie si decise a sollevare la testa. «Mamma, guarda che il pranzo me lo so preparare anche da sola.»
«Ci metteresti frutta e verdura?»
«No. Ed è proprio per questo che preferirei fare da me.» Sophie le rivolse un sorriso che non illuminò soltanto il suo viso, ma anche la giornata di Grace. «E comunque, attenta che cominci a parlare come Monica. Pauuura.»
Sua figlia era come il sole. Grazie a lei il mondo era più allegro. Per anni Grace aveva stretto i denti in attesa della ribellione, della droga, delle sbornie a feste cui le era stato espressamente proibito di andare, però non era mai successo. A quanto pareva, Sophie aveva preso più da David. Che sollievo! Se sua figlia aveva una dipendenza, era dalle cause. Detestava l’ingiustizia, i soprusi e tutto ciò che giudicava scorretto. In particolare, se c’entravano gli animali. Era la paladina dei cani, soprattutto di quelli meno fortunati.
Grace si lanciò subito in difesa dell’amica. «Monica è una madre stupenda!»
«Forse, ma ti garantisco che la prima cosa che farà Chrissie non appena arriveremo in Europa quest’estate sarà sfondarsi di tutte le quintalate di patatine fritte di cui la madre l’ha privata per anni.» Sophie terminò il porridge. «Cosa dicevi della cena?»
«Ti sei scordata che giorno è?» Grace chiuse i cestini del pranzo e ne fece scivolare uno verso la figlia. L’altro se lo infilò in borsa.
«San Valentino.» Sophie spinse indietro la sedia e prese la scodella vuota. «Il giorno in cui l’universo mondo scopre che non mi ama nessuno.»
«Papà e io ti amiamo.»
«Non offenderti, ma voi non siete giovani, fichi e atletici.»
Grace bevve un sorso di caffè. Fino a che punto era il caso di spingersi? «Sempre Sam?»
Il sorriso della ragazza si spense, come se qualcuno avesse premuto l’interruttore. «Sta uscendo con Callie. Se ne vanno in giro mano nella mano. E lei non fa altro che sorridermi compiaciuta. Ci conosciamo da quando avevamo tre anni, perciò proprio non capisco perché si comporti così. Voglio dire, esci pure con lui, ci mancherebbe. Fa schifo, ma è la vita. Però è come se ce la stesse mettendo tutta per farmi male.»
Grace avvertì un bruciore al petto. Acidità di stomaco? Naaa, quella era mammite acuta. Da genitore, il suo ruolo era tifare da bordo campo. Era come essere costretti a guardare una partita disastrosa senza neppure la consolazione di sapere che potevi levare le tende alla fine del primo tempo.
«Mi dispiace, tesoro.»
«Non è il caso.» Sophie mise la scodella in lavastoviglie, quindi infilò pure quella che il padre ci aveva lasciato sopra. «Non avrebbe mai funzionato. Sophie e Sam: suona patetico, non pensi?»
Il suo dolore scivolò in Grace e le si depositò nelle viscere.
«Presto andrai al college, Sophie. Un mese in California e Sam sarà storia passata, vedrai. Hai tutta la vita davanti a te, e tutto il tempo di questo mondo per incontrare una persona speciale.»
«Ho intenzione di studiare per tre, uscire con il massimo dei voti e poi via con la specializzazione in legge, almeno imparerò come fare causa a tutti questi stron…»
«Sophie!»
«Ehm… a tutte queste brutte personcine.» Con un ghigno, Sophie si issò lo zaino su una spalla e spostò la lunga coda di cavallo sull’altra. «Non preoccuparti. I ragazzi mi tirano scema. Non ne cerco uno.»
Cambierà, pensò Grace.
«Bene, allora buona giornata e buon anniversario! Venticinque anni senza sgridare papà quando lascia i calzini per terra e le stoviglie sporche sopra la lavastoviglie. Una vera impresa! Oggi vedi Mimi?»
«Sì, nel pomeriggio.» Grace sistemò il portatile nella borsa. «Le ho fatto i macaron, a Parigi li comprava sempre. Lo sai quant’è golosa, la tua bisnonna!»
«Solo perché ha vissuto a Parigi durante la guerra e non aveva da mangiare. Mi ha raccontato che a volte era talmente debole da non essere in grado di danzare. Sai che non riesco neppure a immaginarlo?»
«Lo so, e probabilmente è proprio per questo che te ne ha parlato. Non vuole che tu dia niente per scontato.» Grace aprì la scatola che aveva preparato quel mattino e mostrò alla figlia le file di dolcetti color pastello disposti ad arcobaleno.
Sophie emise un gemito strozzato. «Wow! Non è che posso…?»
«No!» Grace richiuse la scatola. «Ma forse ne troverai un paio nel cestino del pranzo» aggiunse imponendosi di non pensare agli zuccheri, o alla faccia di Monica se l’avesse vista aggiungere calorie vuote al pranzo della figlia.
«Oh, mami, sei la migliore!» Sophie le posò un bacio sulla guancia e a Grace si scaldò il cuore.
«Per caso ti serve qualcosa?»
Sophie afferrò il giubbetto. «Non essere cinica. Non sono in molti quelli che si prenderebbero la briga di dare lezioni di francese in una casa di riposo. Per me sei fantastica.»
Grace si sentì un’imbrogliona. Non lo faceva certo per bontà d’animo, ma perché quelle persone le piacevano. Erano sempre tanto felici di vederla. La facevano sentire apprezzata.
Era imbarazzante rendersi conto di avere ancora tanto bisogno dell’approvazione altrui. Alla sua età!
«Il club di francese è la parte migliore della mia settimana. E visto che oggi è San Valentino, mi sono permessa di essere creativa.» Raccolse la pila di menu che aveva ideato.
«Il personale apparecchierà con tovaglie a scacchi bianche e rosse. Mangeremo cibo francese e ci sarà della musica. Conoscendo la tua bisnonna, balleranno anche. Che ne pensi?»
«Oh là là, penso che sarà stupendo! Ricordati solo che l’età media da quelle parti è novant’anni. Non fargli venire un infarto.»
«Sai, sono quasi sicura che Robert abbia puntato gli occhi su Mimi.»
«Mimi è una gran civetta. Spero di essere come lei alla sua età. Ha quello sguardo malizioso… Dev’essere stato fantastico averla in casa quando eri adolescente, eh?»
Era stata la sua salvezza. E, naturalmente, era proprio per quello che Mimi si era trasferita da loro.
Era un periodo di cui non aveva mai parlato con la figlia. «È più unica che rara. Te la caverai, questa sera?» Controllò di aver messo tutto in ordine. «La cena è in frigo, devi soltanto riscaldarla.»
«Ho diciott’anni, mamma. Smettila di preoccuparti per me.» Sophie guardò fuori dalla finestra. Un’auto aveva appena accostato. «È arrivata Karen, devo andare. Ciao!»
Dire a Grace di non preoccuparsi era come chiedere a un pesce di non nuotare.
Due minuti dopo che la figlia era uscita, Grace infilò il cappotto, recuperò le chiavi e si avviò all’auto.
Alzò il riscaldamento e si concentrò sulla guida.
Quattro mattine a settimana, insegnava francese e spagnolo alle medie del quartiere. Seguiva anche alcuni bambini in difficoltà, e talvolta dava ripetizioni a qualche adulto che desiderava migliorare le proprie conoscenze linguistiche.
Percorse le stesse strade di sempre, fiancheggiate dalle stesse case, dagli stessi alberi, dagli stessi negozi. Il suo panorama mutava solo al cambiare delle stagioni, ma a Grace andava benissimo così. Apprezzava la routine, la prevedibilità. Trovava conforto e sicurezza nel sapere cosa sarebbe successo.
Quel giorno la neve era alta, ammantava tetti e giardini di spesse lastre bianche. In quell’angolino di Connecticut spesso durava per settimane e settimane. A molti piaceva. A Grace no. Ora di marzo, l’inverno era un ospite che era rimasto troppo a lungo. Grace bramava il sole, gli abiti estivi, le gambe nude e le bibite ghiacciate.
Stava ancora fantasticando sull’estate quando le squillò il cellulare.
Era David.
«Ciao, Gracie.» La sua voce la faceva ancora sciogliere. Profonda e roca, ma abbastanza pacata da guarire le ferite lasciate dalla vita.
«Ciao, bell’uomo. Sei uscito presto, stamattina.» E hai lasciato i piatti sopra la lavastoviglie.
«C’è un sacco di lavoro.»
David era cronista al giornale locale, il Woodbrook Post, e ultimamente era stato parecchio impegnato tra lo straordinario successo della squadra di tennis femminile, la nascita di un coro di voci bianche e una rapina alla stazione di servizio del paese, in cui l’unica refurtiva erano stati una scatola di ciambelle e una bottiglia di rum. Quando finalmente la polizia aveva individuato il colpevole, le prove erano già state digerite.
Ogni volta che leggeva il quotidiano, Grace ricordava tutti i motivi per cui viveva in quella pittoresca cittadina che contava appena 2498 abitanti.
Al contrario di altri giornalisti che avevano mire ambiziose, David era sempre stato soddisfatto di lavorare in quel centro minuscolo di cui si erano innamorati entrambi.
Per quanto lo riguardava, lui era la voce della comunità. Era ossessionato dalle notizie, ma era anche convinto che a interessare i lettori fosse quel che accadeva proprio lì, nel loro paesino. Spesso scherzava dicendo che per riempire il giornale gli bastava trascorrere un pomeriggio al barbecue di qualche vicino e prestare orecchio ai pettegolezzi. Era amico del capo della polizia e del comandante dei vigili del fuoco, il che significava scoop assicurati.
Naturalmente a Woodbrook, un posto di cui la maggior parte della gente non aveva mai sentito parlare, c’erano più novità tra i gusti in gelateria che in tutta la cittadina, e pure quello a Grace stava benissimo.
«Buon San Valentino, caro, e buon anniversario!» Avvicinandosi a un incrocio, Grace rallentò. «Non vedo l’ora di uscire a cena.»
«Vuoi che prenoti da qualche parte?»
Giusto un uomo poteva credere che si potesse trovare un tavolo libero a San Valentino senza prenotare in anticipo. «Già fatto, tesoro.»
«Certo. Senti, dovrei rientrare abbastanza presto. Penso io a preparare qualcosa per Sophie, tu non ti preoccupare.»
«Ho già fatto, il frigorifero è pieno da scoppiare. Tu rilassati.»
Ci fu una pausa. «Sei proprio Wonder Woman, Grace.»
Lei gongolò. «Ti amo.»
Per Grace, la famiglia era la cosa più importante al mondo.
«Sulla strada del ritorno mi fermerò a comprare un regalo di compleanno per Stephen. Lui dice che non dobbiamo disturbarci, ma secondo me qualcosa dovremmo prenderglielo, non pensi?»
«Eccome. Ed è per questo che, la settimana scorsa, gli ho comprato il regalo mentre ero in giro per commissioni.» Grace attese un varco nel traffico, quindi svoltò nel parcheggio della scuola. «Il pacco è sotto il letto, nella stanza per gli ospiti.»
«Gli hai già preso il regalo?»
«Non volevo farti perdere tempo. Ricordi quella foto stupenda di Stephen con Beth e i ragazzi?»
«Quella che gli ho scattato alla Fiera estiva?»
Grace si infilò in una piazzola e sganciò la cintura di sicurezza. «Ne ho fatto fare una stampa e ho acquistato la cornice adatta. È venuta benissimo.»
«Ma che… bel pensiero.»
«L’ho già incartata. Devi solo aggiungere la tua firma sul biglietto.» Grace si allungò a recuperare cappotto e borsa. «Ascolta, sono arrivata a scuola. Ti chiamo dopo. Mi sembri stanco. Sei stanco?»
«Un po’.»
Grace si bloccò con una gamba fuori dall’auto. «Lavori sempre fino a tardi, ultimamente. Devi rallentare. A casa non c’è più niente da fare, stenditi un po’ a riposare prima che usciamo.»
«Non ho novant’anni, Grace.»
La voce era insolitamente dura.
«Voglio solo viziarti, tutto qui.»
«Scusami.» L’asprezza era sparita. «Non volevo sbottare. È un periodo pesante. Prenoterò un taxi per questa sera, così possiamo bere senza preoccuparci della guida.»
«Già fatto. Arriva alle sette.»
«Hai una memoria infallibile, eh?»
«Merito delle liste, lo sai. Se le perdessi, sarei morta.»
Le venne in mente che, se fosse morta davvero, bastava che qualcuno si prendesse carico delle sue liste delle “Cose da fare” e avrebbe potuto portare avanti la sua vita come se lei non ci fosse mai stata.
Era piuttosto inquietante. Un’esistenza dovrebbe essere legata all’individuo, no? Se qualcuno avesse letto le sue liste, avrebbe scoperto qualcosa di lei? Avrebbe capito che le piaceva il profumo delle rose e che quando era in casa da sola si strafogava di film francesi? Avrebbe capito che mentre stava ai fornelli ascoltava i concerti di Mozart per pianoforte?
«Ma c’è almeno qualcosa per cui ti servo?»
Grace fece un sorrisetto che la figlia avrebbe definito molto simile a quello di Mimi. Malizioso. «Ecco, in effetti ci sarebbero un paio di cosette… Volevo giusto parlartene più tardi.»
David chiuse la chiamata mentre lei entrava a scuola, salutando un paio di genitori che avevano appena consegnato i preziosi carichi.
Venticinque anni. Era sposata da venticinque anni.
Ebbe un moto d’orgoglio.
Alla facciaccia tua, universo!
Lei e David erano una squadra perfetta. Avevano avuto i loro alti e bassi, come ogni coppia, però erano riusciti a risolvere tutto gestendoli insieme. Grace era diventata esattamente la persona che voleva essere, e se talvolta una vocina le mormorava che sotto sotto lei era molto diversa, si limitava a ignorarla. Aveva il matrimonio che voleva. La vita che voleva.
Quella giornata meritava un festeggiamento speciale, e quindi aveva prenotato al Bistrot Claude, l’esclusivo ristorante francese. In realtà Claude era del Texas, ma aveva saputo intercettare quella lacuna nel mercato, si era esercitato con l’accento e aveva arredato il locale basandosi su ciò che una volta aveva visto in un film francese.
Perfino Grace, purista e francofila, doveva ammettere che quel posto trasudava fascino. Le sarebbe piaciuto portarci Mimi, ma ormai sua nonna non amava più mangiare fuori.
Bistrot Claude era lo sfondo ideale per quella serata, perché Grace aveva in serbo una sorpresa con i controfiocchi. Organizzarla era stata una vera impresa, ed era dovuta stare attentissima a coprire le sue tracce.
Per fortuna negli ultimi due mesi David aveva lavorato sempre fino a tardi, o non le sarebbe stato possibile mantenere il segreto.
Grace aprì la porta ed entrò a scuola…