In libreria “Cuore di donna” di Carla Maria Russo

Little Italy, New York, aprile 1895. Una giovane immigrata italiana di nome Maria Inez Cortese, con una terribile storia di violenze familiari alle spalle, entra in una locanda e uccide con un colpo di coltello alla gola suo marito, Cataldo Motta, l’uomo che sua madre l’aveva costretta a sposare, rinunciando al ragazzo che amava. Questa almeno è la versione che sostengono nel corso del processo i due gestori della locanda, sulla base della cui testimonianza, la donna viene condannata alla sedia elettrica e rinchiusa nel carcere di Sing Sing. Agosto 1895. A Maria Inez viene riconosciuto il diritto di ricorrere in appello. Non potendo permettersi un avvocato, la NAWSA, associazione femminile per il voto alle donne, decide di assumerne il patrocinio per salvarla almeno dalla sedia elettrica e, con una decisione che sconcerta e scandalizza, ne affida la difesa a una giovane donna, Ann Bennett, forse la prima donna degli Stati Uniti laureata in Legge e abilitata alla professione di avvocato. Attraverso momenti di forte tensione emotiva, in un alternarsi di speranze e disperazione, esaltazione e sconforto, la giovane avvocato, con l’aiuto del giornalista Charles Stevens e del poliziotto italo americano Joe Petrosino, ingaggerà una lotta contro il tempo, l’omertà, la paura, per scoprire la vera dinamica dei fatti e portarne le prove alla giuria. Un palpitante caso giudiziario, una storia umana di coraggio, di passione, di forti valori morali e civili, che conduce il lettore passo passo dentro una vicenda intricata e scabrosa e lo tiene incollato fino all’ultima pagina, anzi: all’ultima parola.

NEW YORK

25 aprile 1895

Maria Inez riemerge a fatica dall’abisso in cui è sprofondata.

Socchiude appena le palpebre, cerca di trovare un filo di saliva nella bocca riarsa.

Si guarda intorno ma quello che vede ondeggia davanti ai suoi occhi, i margini incerti e confusi.

Non riesce a figurarsi quanto tempo sia trascorso.

Un minuto? Un’ora? Alcune ore?

La memoria di ciò che è accaduto riaffiora attraverso immagini repentine, come lampi che squarciano il buio, il dolore torna a morderle le carni.

Si sente lacerata, sporca. Alcune macchie di sangue imbrattano qua e là la camicia che indossa, disegnando forme scomposte.

Un brivido di ribrezzo le agita il corpo, sempre più intenso, via via che i contorni di quanto ha subìto riaffiorano alla mente con maggiore nitidezza: la sofferenza, l’umiliazione, l’abbrutimento.

È legata alla gamba in ferro del letto ma i nodi non sono particolarmente stretti e lei, a poco a poco, riesce a liberarsi. Il suo aguzzino l’ha costretta a quella posizione soprattutto per infliggerle un ulteriore oltraggio, tanto sa bene che non ha modo di fuggire, non esiste alcun luogo in cui possa rifugiarsi, e, se esistesse, non potrebbe utilizzarlo, ora che lui la tiene in pugno anche con il più doloroso ricatto che potesse imporle.

Tenta di sollevarsi dal pavimento, stringe i denti ma, prima ancora di mettersi in piedi, le pareti della stanza si avvitano in una spirale che pare inghiottirla e trascinarla di nuovo nell’abisso.

Arranca, nello spazio angusto della stanza, poco più che un bugigattolo. Raggiunge la finestra, la apre, si guarda intorno, alla ricerca disperata di… non sa neppure lei cosa, forse un modo per liberarsi per sempre da tutto quel dolore, dal terrore in cui vive da anni, dalla disperazione.

E, proprio in quel momento, gli sembra di vederlo…

Sì, è lui, seduto al tavolino di una locanda, dall’altra parte della strada.

Batte le ciglia per mettere meglio a fuoco l’immagine, nel dubbio che la sua mente confusa la stia ingannando.

No, non sbaglia.

È lui…

Un furore cieco, assoluto, incontrollabile la invade, un fuoco interno che sembra restituirle un poco di energia.

Raggiunge la porta. Si trascina giù per le poche scale. Apre il portone.

La tiepida giornata di aprile mescola nell’aria fragranze di gemme in fiore e di afrori umani.

Sebbene siano le prime ore del mattino, Mulberry Street, cuore di Little Italy, è già affollata di venditori che espongono la loro merce esaltandone a gran voce i pregi, di compratori che mercanteggiano sul prezzo, di donne e di bambini che gremiscono i marciapiedi.

Una babele di dialetti agita l’aria – a volte un poco imbastarditi e contaminati, dopo anni di lontananza dalla propria terra – mescolata a un caleidoscopio di colori e di abbigliamenti dalle fogge più svariate, da quelle rozze e rattoppate dei più poveri – in larga maggioranza – a quelle più ricercate e all’ultima moda di chi se la passa un poco meglio: gilet e catena d’oro all’occhiello per gli uomini, gli attualissimi tailleur a clessidra per le donne.

Maria Inez, indifferente alla profusione di suoni e colori, attraversa Mulberry Street, si dirige di fronte, al numero 228, dove si apre la taverna di Carmine e Rita Mancuso, un unico locale di modeste dimensioni, piuttosto buio, con un bancone all’ingresso e alcuni tavolini distribuiti tutt’intorno. Non si rende conto di attirare l’attenzione delle persone che incrocia, le quali fissano stupite e spaventate quella figura che avanza ripiegata su se stessa, l’andatura sbilenca e zoppicante, indosso solo una camiciola ridicola e impudica, che la copre a malapena fino alle ginocchia, tutta chiazzata di macchie che paiono… cosa? Sangue? «Oh, Gesù!» esclama qualcuno, incredulo.

Maria Inez non si avvede di nulla, non è in grado di udire quei commenti, persa com’è nel suo mondo di delirio e sofferenza.

Entra e, senza pronunciare una sola parola, punta verso l’angolo più appartato, dove si trovano due uomini. Uno è seduto e ha davanti a sé un boccale pieno di un liquido che, dall’odore, si direbbe vino, nonostante l’ora mattutina. L’altro è in piedi, i pugni poggiati sul tavolino, la mole alta e massiccia del corpo che incombe verso il suo interlocutore, l’espressione del volto minacciosa e aggressiva, impegnato, si direbbe, in un confronto acceso, cui l’altro risponde esibendo soltanto un sorriso beffardo, indifferente, la mano destra nascosta nella tasca dei pantaloni, un gesto che, a Little Italy, è considerato ambiguo e pericoloso.

All’ingresso di Maria Inez, Rita, la moglie di Carmine Mancuso, non riesce a reprimere un sussulto. Di disgusto e, soprattutto, di apprensione. Più ancora dell’aspetto sudicio e indecente della donna o della succinta camicia stracciata e sporca di sangue, l’ha messa in allarme la bocca contratta in una smorfia di dolore, una sorta di grido muto, di disperazione, gli occhi vuoti d’espressione, come di chi ha sofferto al di là del sopportabile, al di là dell’umano, inconsapevole del luogo, del momento e dei gesti che sta compiendo. Cos’ha in mente, quella ragazza? Non sa che quelli sono due delinquenti, due malavitosi, uno più pericoloso dell’altro?

Maria Inez si avvicina all’uomo seduto e lo scruta con quel suo sguardo carico di orrore e angoscia, le braccia protese verso di lui, i pugni serrati così stretti che le nocche diventano bianche, come se fosse determinata a colpirlo ma una paura più grande la trattenesse.

Lui tradisce la sorpresa ma solo per un breve istante. Poi stira ancora di più le labbra nel sorriso beffardo e crudele che lo contraddistingue da sempre, lo stesso che esibiva nella trattoria di mamma Lena.

«Ancora non le è bastato…» dice, rivolgendosi alla persona con cui sta discutendo. «Eppure sono andato avanti per tutta la notte. È proprio una puttana insaziabile. Però mi frutterà tanti di quei soldi…»

E scoppia a ridere. Una risata sguaiata, volgare, piena di sottintesi.

Ma il riso gli si gela sulle labbra e, d’un lampo, si trasforma in una smorfia di sbigottimento, di pura incredulità: il movimento fulmineo di una mano, l’impercettibile bagliore della lama di un coltello, un fruscio appena udibile… fissshhhh… e niente è più come prima.

L’uomo scatta in piedi come spinto da una molla, le mani strette intorno al collo, gli occhi sorpresi, allucinati di chi percepisce che la sua fine è imminente ma ancora non crede fino in fondo all’ineluttabilità dell’evento che lo sovrasta: “Non è vero, non è possibile, non a me” dicono quegli occhi.

E, come a dimostrarlo a se stesso, si alza dalla sedia, esce dalla locanda e prende a correre in direzione di Spring Street, quasi che, fuggendo dal luogo e dalla scena, possa annullare l’accaduto, arrestare il fiume di sangue che esce dallo squarcio nella gola e scongiurare la sua fine.

Nella sua corsa, urta una bicicletta e investe una signora, che lancia un grido. Ma lui prosegue barcollando, ansimando, sputando parole e sangue: «Non è vero, non è vero».

Giunto all’angolo di Spring Street, le gambe si piegano e dalla bocca gorgoglia un fiotto di sangue e saliva.

Cade riverso sul marciapiede ed esala l’ultimo respiro, il corpo supino, gli occhi sbarrati verso il cielo terso di una calda giornata di aprile.

Maria Inez pare una statua di marmo.

Continua a fronteggiare un interlocutore che non esiste più ma che lei continua a vedere e temere.

Percepisce intorno a sé voci concitate di marionette impazzite ma quell’agitazione non la raggiunge davvero, resta lontana, come avvolta in una materia vischiosa, che rallenta i movimenti e assorbe i rumori. Si domanda da dove provenga tutto quel sangue che le è schizzato addosso, sul viso, sul petto, sulle braccia, sulla camicia, aggiungendo nuove chiazze purpuree a quelle già esistenti.

Prova a stringere forte gli occhi, nella speranza di porre un po’ d’ordine nella confusione che la paralizza, di riallacciare quel contatto con la realtà che le pare interrotto.

Un pensiero la folgora, anche questo rapido, improvviso, un lampo nel buio.

Il sangue non è suo.

Appartiene a Calogero Motta.

Forse Calogero è morto.

Quell’orrido individuo… il suo carceriere, il suo aguzzino.

Morto.

Fine.

Carla Maria Russo vive e lavora a Milano. Per Piemme ha pubblicato con successo: La sposa normanna, Il Cavaliere del Giglio, L’amante del Doge, Lola nascerà a diciott’anni, La regina irriverente, Le nemiche, Una storia privata, La bastarda degli Sforza, I giorni dell’amore e della guerra e I venturieri, questi ultimi tre dedicati alla famiglia Sforza. Nel 2018, il suo romanzo L’acquaiola è stato candidato al Premio Strega e ha vinto il Premio Pavoncella e il Premio Viadana.

Book Trailer

Caro lettore, se hai letto questo libro e vorresti condividere la tua recensione sul Blog, contattami a scrivimi@librichepassione.it

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.